Varese
Pagina aggiornata il 12/10/2023
Sull'origine del toponimo Varese, dopo svariate conclusioni legate al nome romano “Varo”, gli storici hanno finalmente accettato l'ipotesi della radice sanscrita “var", sinonimo di acqua, e quindi Varese dove di acqua ce n'è molta, sembra proprio adattarsi a questo lemma.
Ma nelle tradizioni indoeuropee il prefisso "var" ha molto più importanza di quanto si vuol far credere, infatti il prefisso "var" è originato dal teonimo Varuna il primitivo signore delle acque della cultura indoeuropea.
Dal prefisso var hanno origine toponimi persiani come "Varahi", sinonimo di "Centro Spirituale”, e Varaha” il quale indicava la “Terra del Cinghiale” l’animale sacro a Varuna, i quali sono anche all'origine del toponimo dialettale lombardo "Valascia", che, dando l'impressione di essere un dispregiativo è stato italianizzato in Vallazza, quindi in origine, Varese era un Varahi o un Varaha.
Il varahi era posto su un’altura spesso artificiale, ed era costituito da una quercia sacra posta al centro di un recinto all’interno del quale pascolava la scrofa sacra, il cinghiale totemico di Varuna e Lug, i quali venivano indicati anche come Mocco.
Il prefisso “Var” mi fa pensare a un legame con la cultura di Varna, attestata nel 4400 a.C., in Bulgaria, terra di origine dei potentissimi e ricchissimi traci, i quali sarebbero penetrati nella pianura Padana dopo aver risalito il Danubio, attirati dai metalli presenti sulle Alpi, e avrebbero sovrapposto la loro cultura alle precedenti della Ceramica Cardiale e dei Vasi a Bocca Quadrata, le quali erano seguaci della cultura indoeuropea più primitiva, che vedeva nella Grande Madre Danu la creatrice dell’universo, con il primogenito Varuna nato per partogenesi, cioè senza accoppiamento.
Nel sanscrito moderno, la lingua scritta più antica ancora in uso, dalla quale derivava anche il greco pre ellenico, e quindi il principale riferimento alle lingue indoeuropee primitive, il nome Danu ha ancora il significato di acqua, pioggia, o fiume.
La necropoli di Varna, il cui nome è una palese corruzione per difetto di pronuncia del teonimo Varuna, a conferma della potenza di quella cultura, ci ha reso 297 tombe, gran parte delle quali contenevano molti oggetti preziosi in oro e rame.
La grande pianura rumena che caratterizza il percorso finale del Danubio è chiamata Valacchia proprio per l’antica presenza della cultura di Varna, che in ossequio a Varuna gli aveva conferito il toponimo “Terra del Cinghiale”.
Anche in Transilvania troviamo toponimi traci con il prefisso Var come la città di Oradea Mare, anticamente chiamata Gran Varadino, Magnovaradinum dai romani, Nagyvàrad dagli ungheresi e Großvardein in tedesco, quindi possiamo supporre che l’arrivo della cultura di Varna nella pianura Padana non è stato problematico, soprattutto se consideriamo l’oro del monte Rosa e del Ticino, come miraggio di questo popolo di origine caucasica, non a caso i toponimi Alagna farebbero riferimento all’antica Alania una regione del Caucaso oggi chiamata Ossezia, mentre le Alagna presenti sul monte Rosa e sulla riva del Ticino sarebbero villaggi fondati dai cercatori d’oro provenienti dal Caucaso.
Varuna era una divinità vedica, che tra la fine del Paleolitico e l’inizio dell’età del rame ha sostituito il culto della grande madre; successivamente accusato di essere un demone serpente, uccisore della Grande Madre venne sconfitto da Indra e imprigionato sulla montagna nera.
Indra diventerà il primo re degli dei i cui attributi divini saranno continuati da Zeus Giove, Teshup, e anche da Gesù Yaweh, Geova ecc., in quanto si tratta di teonimi etimologicamente uguali, in quanto i primi israeliti adoravano Teshup con il nome tribale di Yaweh.
Quindi Varese era un centro spirituale sacro a Varuna, le abbondanti sorgenti di acqua, fonti di vita, gli erano sacre, il "Campo Dei Fiori", una montagna il cui nome è traducibile nell'indoeuropeo: "Magus Elision", cioè: "luogo destinato alle anime buone", La Motta Rossa, la Martica il monte Monarca ci dice che siamo in presenza di luoghi che appartengono al simbolismo sacro della tradizione vedica, ai quali bisogna aggiungere il monte Velate, Sacro Monte, che i cristiani hanno consacrato alla Madonna ma che in precedenza era sacro alla Grande Madre Danu, della quale Varuna era il figlio primogenito.
In merito bisogna precisare che il toponimo Velate è originato dal greco antico Elate, nome dell’abete bianco, chiamato: Cedro del Libano albero sacro alla Grande Madre.
A Dimostrazione della sacralità del Campo dei Fiori, nei pressi della cima troviamo la sorgente principale del Tinella, un idronimo che sarebbe originato da Tinne, nome celtico dell’agrifoglio, albero sacro ad Apollo, che nella tradizione celtica è legato ai culti del sole, al quale possiamo aggiunge anche Tinia, una divinità che gli etruschi assimilavano a Giove del quale troviamo traccia anche nella toponomastica francese con il fiume La Tinee e l’omonima valle in territorio alpino marittimo.
Ad ulteriore conferma della sacralità del Campo dei Fiori troviamo anche la sorgente del Ceppone, che testimonia anche la presenza del culto di Kephisos, il dio ittita delle acque, giunto in Italia con la cultura del ferro.
Il Ceppone è un affluente del rio Arianna, a sua volta tributario del Tinella, Arianna sarebbe la corruzione del dialettale “Riana”, vale a dire “Rio della regina”.
In base alle incisioni rupestri e alla toponomastica, è chiaro che i nostri antenati liguri adoravano il sole chiamato “Bel”, “Belenu”, o Beleno”, oppure Helios ma altre divinità, come poteva essere il dio delle sorgenti Bormanus, o le divinità delle vette come Penninus, Albiorix e Sommano, tra le dee madri presenti nel territorio bisogna citare “Matuta”, la stella del mattino, chiamata anche “Lucina”, e Leukotea dai i greci, “Belisama” e “Rethia Phora” nomi tribali della luna e la “Morrigan”, la Regina della Palude, portata in Europa dai galli assieme al loro dio Lug nipote di Balor una divinità solare, dal quale gli derivava il soprannome di Lucente.
In ogni caso tutte queste sovrapposizione di culture avvenute in modo pacifico per via della supervisione dei druidi, non hanno prodotto grossi mutamenti linguistici se non dovuti agli errori di pronuncia, un esempio lo possiamo avere nel confrontare uno scritto in inglese con uno simile in dialetto varesotto, dove molte parole si differenziano solo dalla pronuncia.
Madre Matuta (Lucina) è una divinità molto antica, la cui origine del culto risalirebbe addirittura al neolitico (6000 a.C. e oltre), i popoli primitivi la associavano al pianeta Venere, la stella del mattino, poi sostituita da Varuna come divinità suprema, ma rimasta dea madre e come tale adorata anche dai romani, mentre Giunone era una divinità etrusca, per corrompere la quale, allo scopo di porre fine al decennale assedio di Vejo, città della quale era matrona, nel 396 a. C Marco Furio Camillo, fece celebrare dei riti propiziatori per accattivarsi le simpatie della dea, e le promise di portarla a Roma con tutti i suoi tesori per essere adorata dai romani.
Da allora Giunone divenne la regina del panteon romano delle divinità, dividendo con Leukotea (nome greco di Matuta), il ruolo di protettrice dei parti.
Contemporaneamente alla costruzione del tempio di Giunone fu restaurato anche quello di Matuta, tanto per non suscitare l’ira della più antica matrona.
Da citare anche Brighit, il suo nome significa Altissima, dea Madre dei Cozii, i quali la portarono con loro durante l’invasione delle isole Britanniche avvenuta nel VI secolo a.C., dove grazie alla sua natura fu accolta da tutti con molta benevolenza, tanto da essere poi introdotta nel cristianesimo come: “Santa Brigida”, e soprattutto Druantia, la regina dei druidi, alla quale era sacro il fiume Druentia (latino) o Druantia, oggi Durance, tra l’altro il fiume sorge sul Monginevro, dove troviamo la radice ginevro forma maschile di ginevra, sinonimo di regina.
Lungo le rive della Druentia si insediarono anche i galli cavari i fondatori di Cavaria in provincia di Varese, la cui capitale era Cavaillon, i quali avrebbero occupato il territorio lasciato libero dai cozii migrati in Bretagna o in Italia, introducendo nel contempo il culto di Druantia, in onore della quale avrebbero cambiato il nome del fiume della Ginevra, mentre più a valle vivevano ancora i liguri salluvi.
La chiesa parrocchiale di Rasa, situata ai piedi del Sacro Monte è consacrata alla "Madonna Regina degli Angeli", è un’altra continuazione del culto legato alla grande Dea Madre, che nel neolitico, era anche regina del Firmamento".
Il toponimo "Rasa" con la sua parrocchia e la sorgente dell'Olona ci dicono molto sulla cultura indoeuropea presente nel nostro territorio, infatti "rasa" è il sinonimo dialettale dell'italiano regia o ragia, che deriva dal sanscrito "rajà", = "re", "rani" al femminile, perciò diventa evidente che "Rasa" è un riferimento alla sorgente dell'Olona, situata alla Rasa, proprio ai piedi del sacro Monte, la cui acqua era considerata: “Acqua della Regina”, pertanto erano sacre alla Grande Dea Madre come Matuta, e poi Danu.
Pertanto durante la festa della purificazione chiamata “Imbolc”, che coincideva con la Candelora dei cristiani, gli insubri si immergevano nelle acque sacre dell’Olona per purificarsi e battezzare i neonati.
Non dimentichiamo che nella lingua sanscrita abbiamo anche l’aggettivo “rasā”, sinonimo di “oceano celeste”, inteso come “cosmo primordiale” sul quale regnava la “Grande Dea Madre” e poi il figlio Varuna, rappresentato dalla costellazione del serpentario, detto Ofiuco, oppure Ofione.
Da notare anche l’etimologia del nome Serpentario, il quale indica in modo chiaro il serpente degli ariani, per questo escluso dallo zodiaco.
Il nome del fiume Olona, con il medioevale Urona sarebbe da mettere in relazione all’aurora in quanto sorge sul versante Est della montagna sacra, e quini si rivolge direttamente alla stella del mattino, identificata come Madre Matuta, chiamata anche Aurora o Lucina, in oltre la sorgente si affaccia anche sulla Motta Rossa, la “Aruna Chala”, della tradizione vedica, sulla quale si celebravano i riti in onore della Grande Madre, ai piedi della quale passano le acque che sgorgano dalla montagna sacra alla Grande Madre.
Ma l’idronimo Urona richiama anche la femmina dell’Uro (Boss Indicus), il bue sacro per eccellenza che reincarnava Indra e i suoi alter ego con le corna, quindi la sua femmina oltre che animale totemico poteva anche simboleggiare la reincarnazione della Grande Madre.
La Motta Rossa, oggi chiamata Chiusarella è interessante anche per la presenza di un ipogeo, un lungo cunicolo stretto ed alto a sufficienza da permettere il passaggio di un uomo in piedi, e dotato di alcune diramazioni, che si sviluppa per una distanza complessiva di circa tre chilometri.
Si presume che sia stato scavato in epoca tardo romana, ma non vi si trovano tracce che possano indicare la sua utilità, e considerando che penetra all’interno di una montagna sacra a una dea madre, si può pensare che in realtà si tratta di un tempio preistorico. Come la sorgente Mojenca di Rondineto (Como) e alle sorgenti monumentali della Sardegna, le quali sono state scavate dall’uomo, allo scopo di realizzare templi sacri alla “Grande dea Madre”.
Nel caso della Motta Rossa si trattava della casa della dea, quindi più si penetrava nella roccia e maggiormente ci si avvicinava ad essa.
Sicuramente fu frequentata anche in epoca cristiana fino all’arrivo dei franchi, in quanto il luogo permetteva di celebrare segretamente i riti vedici, come il culto di Mitra per esempio, che si celebrava nelle grotte, mentre la mancanza di tracce di culti è da attribuire alla manomissione compiuta da ignoti visitatori, che da sempre frequentano il luogo.
L’unico ipogeo preistorico del quale è stato attestato l’uso come luogo di culto, è quello di Hal-Saflieni 3200/2500 a.C., sull’isola di Malta, scoperto per caso mentre si scavava una cisterna, nel quale sono state ritrovate statue e statuine della dea.
Da sottolineare anche l'importanza spirituale della Martica, la quale con le sue rocce magmatiche nere assomiglia a un vulcano, in quanto nel paleolitico i vulcani erano considerati una manifestazione della Grande Madre Terra, e pertanto montagne sacre.
In seguito, le divinità ariane(?) chiamate: Deva, sconfiggeranno gli Asura, che erano le divinità primordiali e pertanto i vulcani diventeranno la Montagna Nera il regno delle streghe e luogo di punizione delle anime malvagie, dove Indra, dopo averlo spodestato imprigiona il demone serpente Varuna.
In ciò bisogna sottolineare che di fronte alla Martica troviamo il monte Monarca, il quale simboleggia Indra che sorveglia il prigioniero Varuna, un toponimo che richiama un soprannome di Indra, il quale spodestato Varuna, era diventato il nuovo re degli dei.
A conferma di ciò ai piedi del monte Monarca troviamo la località di Induno il cui toponimo significa “Forte di Indra”, in quanto contiene il nome del monarca e la radice celtica dunum, sinonimo di forte; da tenere presente che la montagna e la località di Induno Olona oltre a dividere la Valganna dalla Valceresio sono poste proprio allo sbocco delle due valli nel Valle Olona, quindi a quei tempi il monte Monarca era un importante centro strategico per il controllo militare delle valli.
Rimane la contraddizione sul fatto che Indra e Mitra erano divinità Asura che conserveranno il potere spirituale anche con le divinità Deva, ma tutto ciò è relativo alle varie religioni derivate dall’arianesimo primordiale infatti l’induismo pur appartenendo alla cultura ariana, vede in Shiva la divinità suprema, Brahama il creatore, e Vishnu il preservatore
Siva si manifesterà in India solo nel XV secolo a.C., con l'arrivo, o l’affermazione degli ariani sciti provenienti dalla steppa, ma non arriverà mai in Europa.
Una Motta Rossa la troviamo anche nell’entroterra di Belgirate dove sulla cima della collina, un masso erratico dotato di inequivocabili incisioni rupestri, testimonia che anticamente il colle era sacro a Bel.
Ma ancora più eclatante è la presenza di una Motta Rossa in valle Poschiavo, nella Svizzera grigionese, un picco che si incontra prima di arrivare sulla cima del Piz Varuna (3453m. slm.), altra testimonianza dell’adorazione di quella divinità sulle Alpi, la quale dà il nome anche alla valle che scende in Italia.
Ai piedi della Motta Rossa sul versante val Ganna, troviamo la località di "Bregazzana", toponimo costruito sulla radice celtica "Brig", sinonimo di altura o monte, mentre il suffisso “ana”, è il corrispondente di “regina”, quindi Bregazzana potrebbe significare “Montagna della Regina”?
Ma il toponimo Bregazzana m’induce a fare altre considerazioni, in quanto se il suffisso “Ana è un riferimento alla Grande dea Madre, la radice gazza mi porta a considerare il greco “gaza”, = “tesoro”, quindi tesoro della regina, forse Bregazzana indicava il ripostiglio del tesoro della regina? E l’ipogeo serviva a nasconderlo? Bregazzana significava: “Montagna del Tesoro della Regina”?
Da citare come esempio la città di Gäncä o Ganja, in Azerbaigian, l’antica Albania, la terra dove si insediarono i primi contadini persiani (danai) che migravano in cerca di nuovi campi da coltivare.
Infatti la città benché sia stata fondata dagli arabi nel 860 d. C, ha preso il nome della collina sulla quale fu costruita, grazie al ritrovamento di un cospicuo tesoro, sicuramente appartenente a una divinità vedica.
Altre testimonianze che confermano l'origine vedica del nome di Varese le troviamo in Liguria, dove i toponimi con il prefisso "Var", abbondano come nel varesotto, in Piemonte e nella Francia Occidentale, in pratica il territorio dei liguri prima dell'arrivo dei galli.
Innanzi a tutto possiamo citare la val di Vara con l'omonimo fiume e la sua città più importante, Varese Ligure, si tratta di una valle che risale la montagna fino al passo "Cento croci", dove si congiunge con la val di Taro (Taranis? Un dio del tuono), che la collega con la pianura Padana, tra Parma e Alessandria, quindi un passaggio obbligato per le merci che andavano o arrivavano dal nord; in val di Vara è da citare anche la località di Cassana, un altro riferimento alla quercia, facente parte del comune di Borghetto Val di Vara, sicuramente un antico villaggio fortificato.
Oltre alle solite caratteristiche incisioni che facevano riferimento al sole e al toro, la val di Vara è dominata dal monte Penna, dove oggi troviamo un santuario consacrato alla "Madonna della Penna", una sovrapposizione cristiana a un luogo sacro al dio ligure "Penninus", il quale assieme al celtico "Albiorix" e all'umbro "Summano", era il dio delle vette.
Successivamente, Summano "colui che sta in alto", dopo un periodo di transizione, durante il quale veniva considerato come una manifestazione di Giove, venne adottato come dio delle vette anche dai romani.
Sul Monte Penna sorge il fiume Taro il quale scende verso la pianura Padana seguendo l’omonima valle, quindi bisognerebbe domandarsi se l’idronimo Taro fa riferimento a Taranis o se invece è una corruzione di Vara o Varo.
Il passo delle Cento Croci è dominato dal monte "Dragnone", sul quale la costruzione di un tempio Mariano ha cancellato le tracce di un luogo di culto ligure, sempre in val di Vara, sulla cima del monte Zignago, sotto il pavimento di una torre medioevale è stato ritrovato un fondo di capanna senza focolare, il fondo era in argilla battuta, dello spessore di trenta centimetri con al centro un foro di venticinque centimetri di diametro, che scendeva fino a toccare la roccia sottostante, nel foro era inserita un'olla rovesciata databile attorno al VIII secolo a.C., che conteneva ghiande abbrustolite, con tutt'intorno cocci di anfora conficcati verticalmente nel battuto di argilla. (I Liguri e la Liguria B.M. Gianattasio).
Tra le montagne sacre della Liguria possiamo mettere anche il monte Ceppo, la cui altezza supera i 1600 m. il toponimo è sicuramente originato dal teonimo Kephisos, il dio luvico delle acque, forse giunto in Italia con la cultura del ferro.
Sulle pendici del Monte Ceppo non si segnalano ritrovamenti archeologici, ma il capoluogo del territorio, Baiardo (900 m s.l.m.) è indicato come centro abitato già nel 1000 a.C., ed essendo situato su di un’altura davanti al monte Ceppo, penso a una Bajadera, la ballerina sacra che secondo la tradizione vedica danzava nel tempio.
Come conferma sull’l’origine del toponimo posso usare come riferimento anche il messapico “bauria” sinonimo di casa, ed il celtico “ar “, o “ars”, i quali avevano il significato di “davanti” o “Presso”, quindi Baiardo indicava un luogo “Davanti alla Casa di Kephisos?”, dove una Bajadera danzava in onore del dio.
Da segnalare in Italia anche la valle Varaita ed il suo fiume omonimo, le varie Varallo e Varano, e anche la località di Verrès, situata all'imbocco della valle d'Ayas, lungo la riva sinistra della dora Baltea.
Tracce dei liguri e dei celti nella toponomastica di Varese, si possono riscontrare innanzitutto in piazza "Madonnina in Prato", un luogo dove sicuramente si celebravano riti in onore di Cernunnos o di qualche divinità legata alle tradizioni agricole e poi cristianizzato, nella piazza esiste una chiesa che fa riferimento alla Madonna come protettrice dei campi, che come l'omonima chiesa di Busto Arsizio, sorge ai margini del centro storico, in ogni caso si tratta di una piazza circondata da uno stretto reticolo di strade, per cui è difficile ricostruire con certezza l'antico asse stradale che la collegava ad altri centri spirituali, anche se viale Belforte, sembra un antica strada della Mezzanella, la quale risalendo dalla valle del fiume sacro "Olona", raggiunge piazza della "Madonnina in Prato", il provabile Pasquee di Varese e quindi luogo dove il due di Febbraio gli insubri celebravano l’Imbolc", cioè: il giorno della purificazione nelle acque sacre e il ringraziamento al dio delle mandrie e della fertilità, Cernunnos.
Allo stesso modo viale Milano e via Cavour sembrano dirigersi proprio al "Nifontano", cioè le "Nove Fontane", sorgenti miracolose, dove nel X secolo d.C. i cristiani, tanto per non sbagliare, hanno pensato bene di costruire un ospedale, non si sa mai.
Altre voci parlano delle Bustecche come sede di un bosco sacro, e al momento il toponimo mi suggerisce il gotico "Busk", = "Bosco", con "stika", = "bastone, oppure il longobardo “stek "palo", i quali hanno la stessa radice etimologica di "steccato", quindi un "Bosco Sacro recintato con uno steccato", luogo di culto tipico della tradizione ariana. Il toponimo Velate, etimologicamente richiama il greco antico "elate", = "abete", albero sacro alla "Grande dea Madre" di tutte le religioni e simbolo dell'anno nuovo che nasce, una tradizione che si è tramandata dal neolitico fino ai giorni nostri, a quei tempi per i popoli di tutte le culture, l'anno nuovo era il fanciullo divino che nasce e si festeggiava danzando, tenendo in mano un ramo d'abete adornato con il vischio e una pigna fissata sulla punta.
In prossimità della cima del Sacro Monte (Velate per i cristiani. Elate per gli ariani) sorge il torrente Vellone anticamente sacro alla dea.
A Valle del Vellone troviamo il quartiere "Avigno", il cui prefisso "av", era frequentemente usato dai galli nella nomenclatura dei fiumi, dal quale abbiamo "Aveyron" in Francia e, "Avisio", affluente di sinistra dell'"Adige", quindi il quartiere Avigno prese il nome dal passaggio del torrente Vellone che evidentemente i galli chiamavano Avisio o Avigno.
Il prefisso av si associa alla particella “ad” che ritroviamo negli idronomi Adige, Adda e In Adamello, quindi possiamo pensare a una pronuncia corrotta di un teonimo sconosciuto.
Altre Avigno le troviamo in luoghi alti, come l’Avigno sul monte Sette Termini e il monte Avigno in Valduggia (Vercelli), mentre in Liguria lungo il fiume Recco troviamo Avegno.
In Francia lungo le rive del Rodano c’è Avignone, Avignoun o Avinhon, secondo i dialetti francesi i quali in ogni caso riconducono al lombardo “Avignoo”, da contare anche Avigny, quartiere di Parigi attraversato dalla Senna e le numerose (almeno 30) Savigny, compreso un lago canadese.
Volendo cercare l’origine del toponimo tra le divinità dei fiumi, possiamo citare Aventia, alla quale era sacra la capitale degli elvezi “Aventicus” oggi Avenches
Tra Velate e Avigno, immersa nel verde lungo l’antico sentiero pedemontano del Campo dei Fiori troviamo la chiesa romanica di San Cassiano, la cui presenza è attestata già nel XI secolo, un’altra palese cristianizzazione di un luogo sacro al dio della quercia.
Piazza della Motta è un altro riferimento alla presenza celtica, in quanto è situata ai piedi di un’altura a torma triangolare forse artificiale, sulla quale sono situati i Giardini Estensi, e villa Mirabello, una costruzione settecentesca oggi adibita a museo archeologico.
Si tratta certamente di una cosiddetta “Mota Rusa” una collina sacra che considerando il toponimo settecentesco sarebbe precedente alla costruzione della villa e farebbe riferimento alla divinità solare Bel, mentre la pianta a forma triangolare mi fa pensare al triscele simbolo di una divinità della terra, di epoca primordiale quando gli uomini contavano solo 3 stagioni e adoravano una divinità come Ecate, il culto della quale lo possiamo rintracciare nei pressi di Cocquio Trevisago.
Di origine romanica, a Varese troviamo altre due chiese, San Imerio a Bosto e Santo Stefano a Bizzozero.
Il toponimo Masnago, come testimoniano i depositi di argilla presenti nel suo territorio è originato dalla presenza di un antica palude formata dal ristagno delle acque del Vellone (Avigno), da cui il prefisso corrotto "mas" derivante dai prefissi indoeuropei "Mur" o Mor", dai quali si origina "morga", = "palude", da ricordare la mitologica "Morgana", "regina della palude", ma merita di essere considerata anche la radice dialettale "nag" che potrebbe derivare dal ligure "lak" sinonimo di "lago", tanto il prefisso "mur", che il suffisso "nag", sono presenti anche nel toponimo "Murnag", o "Murnog" secondo la pronuncia locale, senza dimenticare che la pronuncia ligure prevedeva un "ch" finale al posto della "g", sia per Mornago che per Masnago, Murnoch e Masnach.
Da segnalare la presenza del maestoso faggio rosso che sovrasta la collina di Masnago, il quale potrebbe essere il retaggio dell’antica presenza di una popolazione asiatica, in quanto oltre ad occupare una posizione dominante sul territorio circostante, appartiene a una specie di origine asiatica, molto comune nella steppa, ma un tempo totalmente assente in grecia e Turchia, mentre in Italia e nell’Europa proliferava il faggio selvatico.
Nella cultura indoeuropea primitiva il faggio rosso era la massima manifestazione spirituale della Grande Madre, in quanto principale fonte di cibo e per questo gli era sacro.
Infatti prima della nascita della civiltà cerealicola, i frutti di questi alberi la così detta frutta secca, costituivano la principale fonte di sostentamento del genere umano, in quanto di facile conservazione, e quindi venivano immagazzinati come scorte per i periodi più difficili, tanto che il faggio veniva chiamato “phègòs”, il quale aveva il significato molto esplicito di: “mangiare”, mentre la forma greca era “phàgein”, che manteneva sempre lo stesso significato mentre la forma latina era ed è “Fagus”.
Da notare come il nome di alcune fabacee (leguminose) come il fagiolo, la fava e il pisello non sono altro che una pronuncia corrotta del primitivo phègòs (mangiare).
I primi persiani e caucasici che colonizzarono la l’Anatolia e la Grecia non trovando faggi chiamarono phàgein le querce sacre, mentre In seguito i loro discendenti “pelasgi”, complice anche la maschilizzazione della principale divinità, migrando nell’europa occidentale introdussero definitivamente il culto della quercia come l’albero sacro al re degli dei.
Da notare tra l’altro che il faggio selvatico pur essendo presente nell’Europa occidentale, non essendo rosso, come il sangue della grande madre, era privo della spiritualità che simboleggiava la presenza della dea.
Per mezzo di profughi orientali in Italia arrivò anche il culto del Giove dei faggi celebrato dai romani, ed in seguito, anche i galli, essendo originari della steppa, è possibile che nel culto della Morrigan, attribuissero al faggio rosso un simbolismo spirituale legato alla dea Rossa la grande Madre, mentre la Morrigan Nera annunciatrice di morte poteva essere simboleggiata dall’ontano.
Sulla collina di Masnago questo simbolismo pre cristiano lo possiamo ritrovare non solo nella presenza del faggio ma anche nella vicina quercia, con la quale forma una coppia reale, sia tra gli alberi che tra le divinità indoeuropee.
Da Masnago iniziano due vie che scendono su un altipiano situato a mezza costa sopra il lago, dove troviamo i toponimi cascina “Carnaga”, sinonimo di: “sassi nel lago”, e la località “valle Luna” un sito dove si adorava la luna.
Il toponimo della valle si può collegare al quartiere sovrastante: Bobbiate, il cui nome sarebbe originato da una tribù ligure chiamata “Bebiani”, provenienti dalle Alpi Apuane, che Strabone chiamava “Lunae Montes”, (Monti della Luna), perché la popolazione locale adorava la luna, comunque adorata dagli italici nella sua forma naturale e introdotta nel panteon divino romano dai sabini. Mentre il popolo retico la chiamava Rethia Phora.
Da citare anche la località di Bobbio situata ai piedi del monte Penice nei pressi delle Apuane sulla cima del quale Teodolinda fece costruire un santuario sui resti di un centro spirituale ligure del quale sono stati ritrovati alcuni oggetti votivi. La valle luna è percorsa dall’omonimo torrente, il quale passa per Lissago, “Lissàgh”, in dialetto, un toponimo composto dal greco “lissòs”, sinonimo di liscio e dal ligure “lak”, quindi “Lago Liscio”,
Casbeno è un toponimo molto italianizzato il cui prefisso sembrerebbe indicare un castello, infatti da Casbeno si dominano le strade che dal lago di Varese salgono in città, mentre il suffisso “beno” potrebbe derivare dal gallico “benna” =” carro a quattro ruote”, quindi si può ipotizzare un luogo fortificato con i carri, tanto più che nel sito c’è una strada che sale a Masnago, chiamata appunto via Campigli, quindi sinonimo di campi presi”, nei pressi di Masnago, a via Campigli si aggiunge anche via “Faido” un toponimo derivato dal latino Faggetum”, quindi un luogo sacro, dove i romani celebravano lo “Jupiter Fagutal”, il Giove dei Faggi.
Sempre a Casbeno c’è una via Arese, vista la singolarità del riferimento toponomastico, si può pensare a un luogo sacro al dio della guerra Ares, che i romani chiamavano Marte, tanto più che la strada si ferma davanti a una proprietà residenziale, situata a poche decine di metri da una grotta naturale, chiamata della “Madonnina di Bobbiate”, si tratta di una grotta scoperta solo nel primo novecento, quindi non si può parlare della continuazione di un culto, in ogni caso nella preistoria sarà stata sicuramente un luogo di culto.
Le due Biumo hanno il prefisso “bi” mentre la radice dovrebbe derivare dal latino” udus”, vale a dire umido, oppure da “humus”, = “terreno” con ogni provabilità due terreni che emergevano dalla palude, mentre per Bosto posso pensare al bosco germanico, vale a dire “busk”, o il celtico “bos”, sinonimo di bue, con ogni provabilità si tratta di toponimi originati in epoca medioevale.
All’inizio di via Arese, angolo via Ciro Menotti, c’è il santuario della “Schirannetta”, dedicato alla: “Purificazione di Maria Vergine”, si tratta di un edificio che fino a pochi decenni fa, era completamente isolato nel verde, la cui costruzione è iniziata nel 1200, con una cappella, la quale, con i successivi ampliamenti è rimasta come Abside, quindi anche in questo caso, come per la vicina Mirasole possiamo parlare di antiche tradizioni cultuali.
Anche la Schiranna, come dice il suffisso “Anna” deve il suo nome a una divinità femminile, sicuramente legata al culto delle acque, infatti siamo di fronte alla “Madonnina del Lago”, di Azzate e la leggenda del cavaliere che attraversa il lago ghiacciato mi incute un sospetto, in quanto nella lingua inglese la radice “Ski”, partecipa alla formazione di numerosi aggettivi e sostantivi, per esempio “Skid”, corrispondente di sciare o scivolare, oppure Ski-lift, sinonimo di passare scivolando, oppure “Skiff”, piccola barca a remi, da comparare anche con skipper, equivalente a capitano della nave, mentre il suffisso “anna” deriverebbe dal sanscrito “ranja”, sinonimo di regina, quindi c’è da supporre che nell’antichità la Schiranna fosse il punto di partenza di un traghetto che congiungeva le due rive del lago, il quale era sotto la protezione di un luogo sacro ad Epona, la quale era la matrona che creava la magia di far galleggiare le cose, ed era anche protettrice di cavalli e cavalieri, quindi un culto continuato con la chiesa della Madonnina del Lago di Azzate, in considerazione della vicinanza delle due rive, il traghettamento continuava per mezzo di slitte anche quando il lago era ghiacciato, da ciò la leggenda cristiana del cavaliere che attraversa il lago ghiacciato.
Da Capolago si sale verso Bizzozero, seguendo un ripido rettilineo, a metà del quale c’è la località di Cartabbia, un toponimo che ha origine dal celtico “car”, sinonimo di “carro” mentre il suffisso “bia” è una corruzione di “bi”, quindi si può pensare a un Carrobbio, vale a dire una strada dove possono transitare due carri, in quanto con la durezza della salita, chi saliva aveva bisogno di fermarsi a far riposare le bestie da soma e quindi ostacolava il transito di chi scendeva o saliva senza carico.
Il toponimo Bizzozero sembrerebbe derivare da Besogolo, citato in un documento di Liutprando.
Il prefisso “Be” fa pensare alla presenza di due centri di culto, in quanto presso la chiesa di santo Stefano è stata ritrovata una lapide romana con la quale: “Tertullo figlio di Censorino scioglieva il voto a Silvano dio delle selve, mentre la chiesa di San Evasio, anche lei antichissima, ed è stata costruita sul ciglio dello sperone roccioso che si affaccia sulla valle Olona perpendicolare a una grotta carsica dove oggi si celebra il culto della Madonna di Lourdes.
Anche se non esistono ritrovamenti archeologici a dimostrare che il sito fosse sacro, le tradizioni celtiche sono chiare e inequivocabili, tutte le grotte erano sacre a una divinità, e a conferma di questo, ai piedi della parete rocciosa troviamo la località di Gurone, un toponimo che indicava la presenza di un gurù.
Da non escludere la radice “Golo” che potrebbe essere una corruzione di gora sinonimo di sorgente qui il toponimo indicherebbe due sorgenti, ma nella forma più estesa “sogolo” si possono intendere le due gole poste ai piedi dello sperone roccioso che le divide, pertanto il toponimo Besogolo indicherebbe lo sperone roccioso che domina le due gole.
Il toponimo Orino, località posta sul versante nord del Campo dei Fiori, nella forma dialettale si può pronunciare in due modi “Orìi” oppure “Urìi”, ma mantiene sempre il suffisso “rìi” sinonimo ligure di “rio”, quindi il prefisso “or” pensare a “oros”, sinonimo greco di monte, pertanto Orino avrebbe il significato di “Rio che Scende dal Monte”.
La Orino moderna è dominata da una rocca posta su uno sperone di roccia che sporge a 540 s.l.m. dominando la val Cuvia; e tra ricostruzioni e restauri, la fortezza continua ad occupare lo spazio di quella primitiva, provabilmente in legno risalente al IV secolo a.C., mentre nei pressi della fortificazione esiste un masso erratico nero (carbonato di calcio) che secondo i geologi sarebbe proveniente dalla valle di Blenio, e trasportato fin lì dal ghiacciaio che ricopriva il territorio.
La pietra era sicuramente un menir, o un omphalos di un centro spirituale, ma è stata oggetto di estrazione di lastre ad uso funerario, pertanto le eventuali incisioni preistoriche sono state cancellate, ma in ogni caso le leggende che la circondano ci riconducono alle tradizioni ariane.
Infatti l’orsa che sarebbe stata uccisa dall’esercito cristiano assieme allo stregone, altro non era che l’animale totemico di Artios, l’orsa che protegge dalla frana e dall’alluvione, ed Orino essendo situata su di un crinale molto ripido era molto esposta a questi rischi.
Mentre quello che l’arroganza cristiana chiama stregone, era il druido, cioè il depositario del massimo sapere scientifico di quel tempo, che naturalmente i cristiani essendo di cultura semita definivano stregoneria.
Non a caso lo sterminio dei druidi portò l'Europa all'oscurantismo del Medio Evo.
A monte di Orino, oltre la quota di ottocento m slm., c’è la Fontana Rossa, e considerando che da una roccia calcarea non può scaturire acqua ricca di ferro oppure oro, devo pensare che oro e rossa facevano riferimento a una divinità antica, come potevano essere la persiana Danu e la gallica Morrigan entrambe con i capelli rossi, precisiamo che la Morrigan aveva una doppia manifestazione pertanto era rossa come fonte di vita e nera se annunciatrice di morte.
Tra l’altro nei pressi della fonte troviamo il passo del “Scurbat”, il nome dialettale della cornacchia, uccello sacro alla Morrigan, con il quale annunciava la morte e al dio della resurrezione degli eroi Bran.
Etimologicamente “scurbat” contiene la radice dialettale “scür” e la radice inglese “bat” sinonimo di pipistrello forse di origine gallica, comunque un volatile considerato nefasto
Da non escludere il greco “batrachos” sinonimo di rana, quindi si avrebbe: ”Rana Scura” , e la rana ancora oggi è considerata la regina della palude, quindi è palese il riferimento alla Morrigan.
Nella mitologia gallica si credeva che la Morrigan si accoppiasse ritualmente con il progenitore divino, il Daghda, per i galli norreni, Lug per i galli Lugdunesi, stando a cavalcioni di un fiume con un piede appoggiato su ogni sponda, una posizione che sicuramente ha stimolato la fantasia dispregiativa dei cristiani, portandoli ad affermare che i galli si immergevano nell’orina dei loro dei, quindi il toponimo Orino sembra adattarsi anche a una forma dispregiativa cristiana.
Risalendo il versante est della valle Olona prima di arrivare a Induno Olona si passa per la frazione di San Cassano, un'altra testimonianza dell’antico culto della quercia, il centro storico di Induno Olona è situato all’interno di una gola, che divide il monte Monarco da una collina chiamata Mirabello, dalla quale si domina la fascia di confine tra il comasco e il Varesotto, quindi essendo Mirabello rivolto verso Est era sicuramente un luogo sacro dove si adorava il sorgere di “Belenu”.
Sempre a Varese troviamo la località di Belforte, situata su un altro sperone roccioso che domina il collegamento tra la valle Olona e la val Morea, che lo rende una roccaforte naturale, da cui deriva il toponimo del sito, nel quale spicca il prefisso “Bel”, a indicare un antico centro spirituale insubre, e un luogo fortificato, forse “Beldunum”, italianizzato in Belforte, che in ogni caso tradisce il significato di "fortezza del Sole", anche perchè rivolto a est, quindi un luogo dove il gurù invocava il sorgere di Bel.
Nel fondovalle c'è "Velmaio", corruzione per difetto di pronuncia di "Magus Bel", cioè: "Campo di Bel", un fondo allora appartenente al demanio pubblico e poi salendo sul versante opposto della valle troviamo Gurone, il cui toponimo deriva direttamente dal sanscrito "Guru", del quale abbiamo già parlato in merito alla grotta della Madonna di Lourdes della vicina Bizzozero.
Gurone è una frazione di Malnate, situata sull’altipiano di fronte a Bizzozero e Belforte; si tratta di un toponimo che dovrebbe essere originato dal dialettale “Malnat”, vale a dire “persona prepotente”, un’ipotesi suffragata dal fatto che il versante opposto della valle Olona è chiamato “Malcollina”, per via di alcuni briganti, che ancora nel settecento aggredivano i viandanti sulla strada “Milano Varese”, mentre Malnate si trova sulla strada “Como Varese”, dove c’erano altri viandanti da derubare, ma la presenza nel territorio di depositi marnosi porterebbe far pensare a una mutazione della pronuncia iniziale “Marnà”, in Malnà.
A Malnate di rilevante sull’argomento preistoria, va segnalata la località Rovera, raggiungibile da via Col di Lana, due toponimi che fanno riferimento a una quercia sacra a Lug, posta su un altare costituito da un’altura naturale o anche artificiale, chiamato appunto Col di lana in riferimento alla femmina del cinghiale semilanuto animale totemico di Lug e Varuna, che troneggiava all’interno del recinto sacro.
Nei pressi troviamo anche la cascina Diodona, un toponimo vedico cristianizzato, che fa riferimento a un’antica sorgente, in quanto nella cultura pagana le acque che vi sgorgavano erano considerate un dono divino, da ciò il culto delle montagne, come dimostra il vicino monte Generoso, il quale deve il suo nome alla “generosità del dio delle acque.
Dalla località Rovera, si sale sul monte Morone sulla cima del quale c’è una chiesa sacra alla Madonna della Cintola, ciò potrebbe essere messo in relazione con la ninfa greca del gelso “Morea” una protettrice primitiva dei parti, sembra che un tempo le donne partorissero nei tronchi cavi dei gelsi per avere la sua protezione, come una specie di ostetrica spirituale che aiutava la Grande Madre a proteggere il parto; non a caso la chiesa è sovrapposta a un luogo di culto romano, tra i resti del quale sono state ritrovate pietre da reimpiego, sulle quali spiccano le caratteristiche incisioni rupestri dei liguri.
Reperti di origine romana sono stati ritrovati anche in località Rogoredo, un altro toponimo che tradisce l’antica presenza di un bosco sacro, che riforniva di legna la comunità.
Risalendo la val Ganna verso nord, s'incontra il Pian Bello, una montagna che con i suoi 1250 slm domina tutto il territorio collinare e pianeggiante del Seprio da est a ovest, e quindi irradiata dai raggi solari dall’alba al tramonto.
Che il Pian Bello era una montagna sacra, ce lo dimostra anche il toponimo Boarezzo, il nome di un villaggio situato poco prima di arrivare sulla cima, si tratta un toponimo derivante dall’italianizzazione del dialettale “Boarez”, il quale era la continuazione del gallico “Bö a Rix”, sinonimo di: Bue del re, quindi possiamo dedurre che Boarezzo era un alpeggio nel quale si custodivano i buoi sacri al re sole.
Da ricordare che Lug, il Lucente, era figlio di Ethniu a sua volta figlia di Balor il sole, re delle divinità fomoriane, dalla cui discendenza Lug ha ereditato il titolo di Lucente; mentre nella mitologia greca si cita Ercole che si reca a Tartesso per rubare i buoi di Gerione i quali erano sacri al sole e lo stesso sacrilegio viene compiuto in Sicilia da Euriloco il vice di Ulisse.
I buoi sacri erano destinati a essere sacrificati sugli altari del dio, e al termine della cerimonia, le loro carni consacrate, venivano mangiate dal popolo.
Sul versante nord del pian Bello, troviamo una cima più bassa del gruppo chiamata Monte Marzio, un nome che richiama il romano Marte o qualche dio marziale dei Celti, mentre poco più in basso c'è l'omonimo paese, dove nella memoria popolare è rimasto il ricordo di un antico bosco sacro," mentre nella sottostante val Ceresio troviamo Arcisate, un altro prefisso sinonimo di città fortificata, sarebbe interessante scoprire se l'idronimo Ceresio si riferisce alla dea "Cerere o alla presenza di cerri sulle sue rive, dove tra l’altro troviamo “Brusimpiano” e “Brusino Arsizio”, due toponimi con lo stesso prefisso, “Bru” e considerando che le due località sorgono su due penisole formatesi a causa di frane staccatesi dalla montagna, si può pensare al francese e italiano di origine incerta “Bruire”, = “fare rumore”, quindi considerando l’origine franosa del loro territorio, il riferimento sarebbe la rumorosità delle frane, da cui anche il ligure “trona”, continuato anche dal dialetto moderno come sinonimo di tuona.
A Brusimpiano il fenomeno franoso è stato molto vasto pertanto si è creato un discreto altipiano che giustifica il suffisso “piano”, mentre per Arsizio oltre al gallico “ars”, sinonimo di città fortificata, si può pensare al greco “syzygìa” = unione.
Da citare anche Marchirolo, toponimo il cui sinonimo dialettale “Marchirő” è sicuramente di origine germanica ricostruibile attraverso il franco “markon” da sinonimo di “imprimere il passo”, da cui il germanico “Marsch” a fare da prefisso, mentre il suffisso “rő” sinonimo del dialettale ruote”, origina il francese rue” = “strada”, quindi il toponimo si riferisce al passo stradale, ampio e facile da risalire, da qui il toponimo Marchirő, passo che divide il gruppo del Pian bello da quello del “Sette Termini”.
Sul fronte sud ovest, del Pianbello subito dopo il passo che collega la Valganna con la Valceresio c’è un minuscolo villaggio chiamato Alpe del Tedesco, forse un antico alpeggio, ma molto più provabilmente una roccaforte presidiata da guardie imperiali germaniche, con il compito di garantire la sicurezza lungo le strade importanti, non a caso il passo transita ai piedi del Poncione di Ganna, una vera e propria torre naturale dalla cima della quale si può osservate tutta la Valganna e anche parte della Valceresio
Che la zona fosse sotto il controllo di armigeri tedeschi sarebbe confermata non solo dal toponimo germanizzante Marchirolo, ma anche dal toponimo Quasso, distribuito in 3 località: Monte, Piano e Lago, in quanto alcuni studiosi ritengono che il toponimo sia la corruzione dialettale di un lemma che indicava località più vicina al passo, il quale sarebbe originato dalla fusione del latino covum e dal germanico medioevale Sachsum-i che significava: spada sassone, ma a mio parere è più provabile che per spada si intendeva il corpo di guardia sassone, da cui la corruzione dialettale Quasso, che indicava un castello o una casa dei sassoni.
Lungo la strada che da Marchirolo conduce ad Ardena, in località valle Luera sono avvenuti ritrovamenti archeologici attribuibili alla civiltà di Golasecca.
Il toponimo Luera è originato dalla radice dialettale “lu”, = “lupo”, “lua”, o “luèsa” al femminile, considerando, che la valle si trova lungo le pendici del monte Marzio, si tratta sicuramente di un luogo sacro a Marte e alla lupa, il suo animale sacro, che allatta i due gemelli, In ogni caso con Luera si indicava la terra del lupo
Sulle pendici est del monte Marzio c’è Ardena, dalla quale si può osservare il sole che sorge da dietro alle montagne che fanno da corona al Ceresio, quindi il toponimo Ardena avrebbe come riferimento il culto solare, in particolare la festa di Beltaine, durante la quale nella notte del primo maggio, si accendevano fuochi sulle cime dei monti in onore di Bel, una tradizione che potrebbe spiegare anche l’origine del nome della sottostante Brusimpiano e della ticinese Brusino Arsizio.
Ma il toponimo Ardena presenta una forte affinità etimologica al nome delle Ardenne la grande foresta che domina l’Europa Centrale della quale in epoca gallica la Grande Madre era Arduina adorata dagli eburoni, un popolo di stirpe germanica che la raffigurava nelle vesti di cacciatrice, mentre cavalcava un cinghiale.
Degli eburoni in Italia troviamo traccia dell’antica Eburonum, nome latino dell’attuale Inveruno in provincia di Milano, mentre sulla riva opposta del Ticino, in località Pombia, nel 995 d.C., nasceva Arduino, che diventerà duca d’Ivrea e poi re d’Italia, al quale viene attribuita l’appartenenza alla stirpe franca, il che mi sembra evidente vista la mancanza di un cognome, che allora contraddistingueva i discendenti delle famiglie romanizzate.
In oltre il prefisso ard, ci porta anche al germanico forte o guardia, infatti Ardena oltre a dominare il Ceresio e l’imbocco della Valceresio, è anche un valico collegato alla val Ganna da un breve rettilineo, che permette di intercettare rapidamente chi risale dal Ceresio percorrendo il valico del Marchirolo, quindi nel sito c’era sicuramente un corpo di guardia imperiale.
Scendendo da Orino verso il Lago di Varese, prima di iniziare la discesa verso Cocquio Trevisago s’incontra la frazione di Cerro la cui origine risale al 1200 ed è consacrata “all’Annunciazione di Maria Vergine, San Bernardo e Sant’Antonio Abate”, qui gli storici sono concordi nell’attribuire al Quercus cerris, l’origine del toponimo, quindi considerando anche la posizione dominante sulla vallata sottostante siamo di fronte a un altro luogo dove i celti praticavano il culto degli alberi.
Il comune di Cocquio Trevisago nasce dalla fusione dei due villaggi dai quali deriva il doppio nome.
Al toponimo Cocquio viene attribuita un’origine gallica di “Coccum” con il significato di piccola collina, ma a mio parere è più provabile il persiano “Kusck” dal quale deriva l’italico chiosco, un belvedere, una casupola o un tempietto, in quanto Trevisago deve il suo nome a un trivio dove era presente un omphalos o un tempio sacri alla dea dei tre volti “Ecate”, una divinità pre ellenica, adorata dai traci come dea della natura, in quanto con i suoi tre volti da bambina, da donna e da vecchia raffigurava le tre stagioni, come era diviso l’anno in epoca primordiale, semina, raccolto e rigenerazione, le quali erano personificate anche nelle sue tre figlie chiamate empuse, le quali si alternavano sulla terra per favorire il naturale decorso della natura.
In seguito quando gli uomini scoprirono che i cereali i potevano seminare anche in autunno venne sostituita da altre divinità legate alle quattro stagioni, come la romana Cerere e la greca Demetra.
Ecate continuò ad essere la protettrice delle donne e dei viandanti, perciò la sua statua con i tre volti, veniva posta nei trivi a loro protezione, in quanto le tre empuse erano diventate spiriti maligni della notte che aggredivano i viandanti, perciò veniva evocata la protezione della dea.
Il trivio era situato in contrada Intelo, nel punto in cui la “Strada Brughiera”, si dirama dalla “Strada Costere”, per risalire lungo la montagna in direzione di Orino e Varese; si tratta di veri e propri sentieri antichi, sopravissuti all'urbanizzazione selvaggia.
Nel sito è tutt’ora presente una cappella dedicata alla Madonna, continuazione cristiana di una tradizione antica di almeno 3000 anni, se non risalente almeno all’età del Rame.
Considerando il toponimo “Strada Costera” si può supporre che si trattava si un sentiero che fin dalle epoche primordiali aggirava la palude che si estendeva tra il fianco del Campo dei Fiori e la collina di Besozzo, un fondovalle antica estensione del lago di Varese, oggi percorso dal fiume Bardello, suo emissario.
Bardello è anche il nome della località dove il fiume defluisce dal lago, i tratta di un toponimo che contiene la radice di due teonimi Bar di Bormanus il dio delle sorgenti e ello di Elios,il dio solare.
Pertanto ritengo che il lago fosse sacro a Elios individuato anche come Barman il principale appellativo di Bormanus.
Dal Mirabello di Induno Olona si osserva il paese di Cantello, un nome sostitutivo dell’originario “Cazono”, che etimologicamente: per i galli significava casa recintata, quindi un tempio romano, in quanto i galli e gli ariani in genere essendo abituati a celebrare i riti all’aperto o in grotte, chiamavano “ca” (casa) gli edifici coperti che per i romani erano templi, mentre zono era il classico recinto sacro degli ariani.
La radice ca è continuata tuttora nel dialetto lombardo italianizzata in casa, mentre domus era la forma latina
Quindi Cazono era solamente un luogo di culto al quale facevano capo vari villaggi, non a caso una strada chiamata Via “Crugnole”, da colognole, piccole colonie, sembra collegare le varie frazioni poste sulla fascia orientale della collina, dove tra le altre troviamo la località Aurora, un palese riferimento alla dea della luce mattutina, Matuta per i liguri.
L’importanza storica di Cantello la troviamo nella frazione di “Ligurno”, un toponimo di sicura origine ligure originato dal nome della tribù dei libui, chiamati anche liburni, attestato dal ritrovamento di reperti relativi alla civiltà di Golasecca, datati VII, VIII secolo a.C. particolarmente antica la chiesa della Madonna in Campagna, il cui campanile sarebbe originato da una torre romana.
A est di Cantello, situato su un’altura, circondato dal torrente, Lanza e dal suo affluente il Rio dei Gioghi, c’è Rodero, “Rődur” in dialetto, Rodeira nel XII secolo e Rodoli nel 1600.
Senza scartare l’ipotesi sull’antica presenza di un rovere sacro, la località, essendo situata su un’altura circondata dallo scorrere di due torrenti mi viene spontaneo pensare che il toponimo sia originato dall’indoeuropeo Röne, sinonimo acqua che scorre, mentre dalla presenza di due mulini storici mi fa pensare a “Rö”, plurale di” Röa”, sinonimo di ruota; da ricordare che anticamente, nella valle Olona le ruote dei mulini erano chiamate “Rodigini”. Provabile pronuncia “Rödi, poi italianizzato in rodigini.
Il paese è dominato dalla rocca di san Matteo sulla quale esiste un torrione romano dalla forma quadrata, alto dieci metri.
Il toponimo Arcisate è caratterizzato dal prefisso "Arci", una particella abitualmente in uso nei titoli gerarchici della chiesa, infatti "Arci", è originato dal greco "Archein", sinonimo di: "a capo".
Pertanto nella sua forma dialettale, "Arcisà", potrebbe essere la corruzione di una forma più antica che indicava una "arcisala", quindi un tempio dal quale dipendevano templi di minore importanza, infatti se nella forma dialettale: casa diventa "cà", è plausibile che l'antico sinonimo: sala diventi "sà".
L'importanza di Arcisate nelle gerarchie clericali, mi viene suggerita anche dalla presenza nel territorio di un sentiero di montagna chiamato: "Passo del Vescovo", quindi è ipotizzabile che in epoca romana Arcisate fosse sede di un'autorità religiosa la cui giurisdizione era molto ampia.
Ma l'importanza religiosa del sito doveva risalire all'epoca celtica, in quanto sempre nel territorio di Arcisate è presente una frazione chiamata "Brenno Useria", un toponimo di chiara matrice celtica, in quanto Brenno sarebbe un titolo nobiliare gallico, che, stando alla tradizione legata alla conquista di Roma, da parte dei senoni, dovrebbe trattarsi di un ambasciatore o di un ministro degli esteri, ruoli riservati esclusivamente alla casta sacerdotale dei celti.
Etimologicamente Useria invece è affine all'inglese "User", sinonimo di "uso", pertanto, considerando anche la presenza di una collina chiamata "Useria", sulla quale è oggi è situato un santuario cristiano, ritengo che originariamente il luogo fosse a disposizione di un sacerdote pagano, poi sostituito da un vescovo cristiano.
Useria è da comparare anche con il toponimo Usseglio, derivato dal celtico "Uxeilos (Posto in alto), da cui anche "uccello".
Usseglio è situata 1200 m. slm., sulle Alpi Graie, in val di Viù, facente parte della comunità montana delle valli di Lanzo, un toponimo che ritroviamo nel torrente che confluisce nell'Olona e in valle D'Intelvi, nella provincia di Como.
Nel territorio di Usseglio sono da citare anche i toponimi Malciaussia (Malga Alta?), Ceres, Varisella, il monte Uja di Bessanese con la cittadina francese di Bessans che ritroviamo anche in val Ceresio con Besano.
Bessans con Besano e Bessanese sono toponimi derivati dal sanscrito "Weso" sinonimo di dimora, ancora oggi continuato dal francese "Maison" (pronuncia meson).
Sulla collina a sud est del lago di Varese, la più alta fra le colline che gli fanno da corona è situato il comune di Gazzada Schianno, due località da sempre accumunate nella storia, etimologicamente per il nome di Gazzada si può pensare che sia originato dal greco “gaza”, = “moneta”, continuato nel latino nella forma di “tesoro”, quindi come nella vicina Ghiringhello: un tesoro nascosto, ciò sembra confermato anche dallo stemma dei nobili “Da Gazzada” (codice Trivulziano 1390) nel quale appare una quercia sradicata dalle ghiande dorate, cimata da una gazza, la quale tiene nel becco una ghianda di rovere d’oro, un palese riferimento a un tesoro (gaza in latino) ligure, nascosto come da tradizione, sotto a una quercia, e quindi ritrovato, o forse rubato dal capostipite dei Da Gazzada.
È noto che la gazza è un volatile attratto da oggetti luccicanti, da cui il nome e la tradizione di ladra di oggetti d’oro; in alternativa possiamo considerare anche il celtico “gagia”, sinonimo di “acacia”.
Il toponimo Schianno invece se consideriamo la sua forma dialettale “Sc’iàn”, troviamo il suffisso “an”, che potrebbe essere la classica corruzione per difetto di pronuncia, della vocale “ӓ” oppure “àa” che si pronunciano nella forma “ǽ “che nella lingua dei celti si potrebbe tradurre in “Sciàa” pronunciato all’inglese Sciǽ., dal persiano Scià, ad indicare la presenza di un centro spirituale sacro a una divinità vedica.
A Schianno c’è una via chiamata “strada per piana di Luco”, la quale si congiunge alla statale Milano Varese, nei pressi di un antico convento situato ai margini di un breve tratto in pianura, lungo la salita che porta a Varese, oltre al toponimo “Luco” che indicherebbe un “bosco sacro”, pur senza saper indicare il luogo è rimasto il ricordo di cerimonie religiose praticate dai celti in quel bosco, ma con ogni provabilità il vecchio convento corrisponde alla Piana di Luco, luogo dove si adorava lo scià.
Da citare un documento del 1436, dal quale risulta che tra i beni posseduti dal monastero delle Umiliate di San Martino Varese a Gazzada Schianno, i fondi di Gazzada, hanno toponimi prevalentemente cristiani, mentre tra i fondi di Schianno spiccano i toponimi ariani come “Margorasca”, un terreno paludoso nascosto, “Brigarolo”, “Brigarӧ”, in dialetto vale a dire: “Strada Alta”, “Lugurono”, “sacro a Lug”, in particolare “Cereda”, il quale contiene la radice gallica “reda”, sinonimo di “domatore, pertanto il toponimo potrebbe indicare un cerro sacro ad Epona matrona di cavalli e cavalieri, ma va considerato anche il gallico ker sinonimo di paese.
Al confine di Gazzada con Brunello c’è un altipiano chiamato “Campi di Maggio”, dal quale inizia la Valle Arno il riferimento ai celti e alla festa in onore di Bel (Beltaine) è palese.
Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, Capitolo VI
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