Milano e Provincia

 

               Sulla fondazione di Mediolanum bisogna sfatare un mito, in quanto come abbiamo già visto, Belloveso non sarebbe il nome di un principe gallico, ma un toponimo ligure con il significato di “Dimora di Bel”, in oltre la data della sua fondazione: 600 a.C., ci porta a un periodo precedente alla cultura di La Thene, mentre l’arrivo dei latheniani, cioè i galli senoni, è datato con certezza due secoli più tardi, quindi il mito farebbe riferimento a una migrazione di liguri, provenienti dalla valle del Rodano.

Le leggende raccontano che avrebbero aiutato i marsigliesi nella guerra contro i salvi, ma in realtà in quel periodo, il nord della Francia era soggetto alla pressione esercitata dai galli che provenivano dalla riva destra del Reno per cui si era innescato un processo migratorio, che due secoli più tardi porterà anche i galli sul territorio italiano.

Sulla fondazione effettiva di Mediolanum, bisogna ponderare l’unione di numerosi villaggi situati sulle rive dei tre fiumi milanesi, i quali facevano capo a un centro spirituale chiamato: “Belloveso”, “Dimora di Bel”, la fusione di questi villaggi sarebbe avvenuta per effetto delle tradizioni vediche, secondo le quali, ogni centro spirituale faceva capo ad almeno quattro villaggi, da ciò il toponimo “Mediolanum” ad indicare il centro delle comunità.

A Milano la prima traccia delle tradizioni vediche si può riscontrare in una colonna riutilizzata nel palazzo del Broletto, sulla quale è raffigurata una scrofa semilanuta, si trattava dell’animale totemico degli insubri, che rimase il simbolo di Milano fino all’avvento dei Visconti.

Anche piazza Santa Maria Beltrade è un toponimo di origine pre cristiana, in quanto l’omonima chiesa fondata in età carolingia, non fa altro che tramandare un toponimo ariano, che indicava un luogo di mercato sacro a Bell.

Si può supporre che nel luogo ci fosse un tempio sacro al sole, davanti al quale si vendevano i prodotti dei campi e degli animali che gli erano sacri; una tradizione che si estinse nel 700, quando re Liutprando abolì i vigano (l’Ager pubblico dei romani) donando i terreni agli istituti religiosi.

Ma anche il biscione Visconteo che ingoia il bambino, e che ha sostituito la scrofa, pur essendo un bottino di guerra frutto della prima crociata, è un simbolo di origine vedica, in quanto raffigura un alter ego di Varuna che divora il proprio figlio, forse l’ellenico Uranos il quale come Varuna veniva identificato con la costellazione del Serpentario la quale è rimasta esclusa dallo zodiaco proprio perché veniva identificata come un simbolo diabolico.

In merito al significato saraceno del simbolo, bisogna dire che la vittima del serpente, porta i capelli rossi, che un tempo erano un segno distintivo delle popolazioni persiane ed indoeuropee, pertanto possiamo supporre che il guerriero saraceno, che portava come stemma il Biscione, poi ucciso da ottone Visconti, essendo un semita e uomo di mare, nella sua fantasia si immedesimava con un demone marino che sterminava gli indoeuropei.

A Milano tracce delle tradizioni vediche si possono trovare in zona Lambrate, dove c’è una via Vallazze, la quale procedendo completamente fuori asse con la rete viaria circostante, giunge in piazza Gobetti, dove confluisce nella strada provinciale cassanese, un lungo rettilineo che conduce a Cassano D’Adda, purtroppo su Cassano d’Adda non ho trovato notizie che riguardano i Celti, invece numerosi indizi li trovo lungo la provinciale, la quale apparentemente sarebbe un moderno rifacimento dell’antica via delle Vallazze.

Infatti il primo indizio lo troviamo nell’attraversamento del Parco Lambro, del quale Cesare Cantù (storia di Milano), racconta della memoria ancora presente al suo tempo, di riti vedici celebrati sulla riva del fiume fin oltre il V secolo d.C., dunque via Vallazze era sicuramente una strada che conduceva presso svariati centri spirituali indoeuropei, sempre a Lambrate è da segnalare la cascina Acquabella forse una risorgiva sacra a Bel, mentre lungo le rive del Lambro troviamo località i cui toponimi hanno origini vediche, come Vedano, Veduggio e Verano, dove una collinetta è chiamata “Beldosso”, un palese ambone o verone naturale, sacro a Bel.

Sempre in riva al Lambro, ma a monte del parco, c’è la località del Monluè, il toponimo si riferisce a un’antica cascina ora disabitata, i cui terreni sono diventati il parco del Monluè.

Sul significato di “Monte dei Lupi” sono tutti d’accordo, tuttalpiù, considerando il sostantivo dialettale “luessa”, ritengo che il toponimo andrebbe interpretato al singolare femminile, in ogni caso il riferimento è alla divinità lunare Artemide o alla madre Latona, delle quali la lupa era l’animale totemico, in ogni caso si trattava di un luogo sacro a una divinità lunare.

A Milano si segnala presso Porta Vercellina una chiesa consacrata a San Pietro in Sala dove officiavano i monaci di San Vincenzo in Prato, nella lingua dei celti “Sala” aveva il significato di “Casa o capanna”, mentre Prato” è un riferimento a un pascolo sacro, poi divenuto Pasquee con il cristianesimo, e sul quale è stato costruito un Monastero.

Sempre a Milano nei pressi di Porta Comasina, in casale “Mojazza”, c’è la chiesa di “Santa Maria della Fontana”, il cui altare è costruito sopra una sorgente “miracolosa”, il toponimo Mojazza è comparabile con il nome della sorgente Mojenca di Rondineto (Como), pertanto, anche il casale Mojazza sorge ai margini di una antica sorgente sacra, dalla quale ha preso il nome sul quale con ogni provabilità i romani hanno costruito un loro tempio, poi sostituito da una chiesa cristiana.

 Proprio a causa della creduta miracolosità delle sue acque, nel cinquecento Santa Maria Alla Fontana, era uno dei tre luoghi di cura di Milano.

Via Olmetto è una lunga viuzza, che con Via della Chiusa forma un unico asse stradale, che partendo da porta Ticinese arriva in via Amedei, un altro vicolo antico, proprio all’imbocco del portone di un caseggiato posto tra i vicoli Fieno e Zebedea, e che sul lato opposto si affaccia su piazza Missori, l’antica piazza San Giovanni In Conca.

Nell'allora Piazza san Giovanni in Conca sorgeva l'omonima chiesa romana, risalente al III o IV secolo a.C., della quale oggi esiste solo la cripta, quindi considerando che     il toponimo Olmetto fa riferimento a un olmo, sacro al dio greco dei sogni: "Morfeo”, si può ritenere che nel sito dove oggi è collocato il caseggiato all’interno del quale termina via Olmetto, anticamente esisteva un tempio romano, dove un sacerdote di Morfeo interpretava i sogni della gente.

Le vie "Zebedea" e "Fieno", sono due vicoli che congiungono via (vicolo) Amedei con piazza Missori, dalla quale ha inizio "Corso di Porta Romana".

Da considerare il toponimo di via Zebedea, in quanto è originato dal nome di un carcere romano chiamato "Zebedeo", dove morì sant’Alessandro, in onore del quale nel 1600, in luogo del carcere, venne costruita l'attuale chiesa consacrata a san Alessandro in Zebedia.

Zebedeo è un nome strano da attribuire a un carcere, ma essendo un nome di persona molto diffuso tra le popolazioni siro-palestinesi, fa pensare che i detenuti fossero originari di quella regione; nei vangeli Zebedeo è il padre degli apostoli Giacomo e Giovanni.

Oggi il nome Zebedeo è usato per fare delle volgari allusioni, un’usanza che evidentemente è iniziata allora, con l'abitudine di chiamare Zebedei la gente di origine orientale, forse dovuta al fatto che i figli di Zebedeo sedevano alla destra e alla sinistra di Gesù.

In conseguenza dei consueti tumulti di quartiere, che scoppiavano tra gente di etnia e religione diverse, e che vedevano gli orientali come i principali protagonisti o vittime, in una città abitata prevalentemente da gente di etnia gallica, è probabile che a pagare fossero sempre gli orientali, per cui in prigione ci finivano solo loro, da ciò il carcere avrebbe preso il nome di Zebedeo.

     Ma siccome non voglio alimentare il tradizionale vittimismo cristiano ed ebraico, devo dire che la causa dei tumulti di quartiere era quasi sempre dovuta all’intolleranza religiosa della gente di cultura biblica, continuata ancora oggi dagli islamici e segretamente anche dal cristianesimo, una cultura che a quei tempi portava gli orientali a profanare i templi pagani e ad impadronirsi dei tesori sacri che vi erano custoditi.

            In ciò si distinse san Calimero, vescovo di Milano dal 270 al 280 d.C. il quale fu condannato a morte e gettato a testa in giù in un pozzo sacro a Beleno, perché istigava i fedeli a profanare i templi pagani e a battezzare la gente con la violenza.

            Anche san Giulio giunto a Milano ai tempi di Sant’Ambrogio, già ai tempi in cui viveva in Grecia si era distinto per il suo fanatismo religioso, e giunto in Italia si rese protagonista della distruzione di templi pagani, nel novarese e nel varesotto.

Generalmente agli autori di simili misfatti, in alternativa alla pena capitale veniva chiesta la celebrazione di un rito riparatore in favore della divinità offesa, e non il ripudio del cristianesimo, una verità che la storiografia cristiana ci ha sempre nascosto.

In realtà il fanatismo religioso che oggi contraddistingue i musulmani, non è altro che la continuazione del settarismo che caratterizzava il comportamento di cristiani ed ebrei in epoca romana, in quanto figli di una cultura comune.

Un esempio sul più elevato concetto sociale dei romani, rispetto alle persone di cultura biblica, può essere la conquista di Vejo avvenuta nel 396 a.C.

Allora i romani per rispetto della comunità etrusca che faceva parte della popolazione romana, trasportarono sull’Aventino, con tutto il suo tesoro la statua della matrona di Vejo Giunone, dove gli costruirono un tempio (Giunone Regina) e la introdussero nel pantheon divino dei romani come la massima divinità femminile.

Lo stesso fecero con Cibele la Grande Madre dei frigi, adorata anche dagli insubri e da tutti i popoli indoeuropei, per la quale costruirono l’Ara Pacis, nella quale fu custodita la Pietra Nera, la reliquia della dea, che acquistarono dai frigi.

Da Porta Ticinese partiva via Sambuco, albero chiamato Ruis dai celti, una strada che oggi si perde nel reticolo urbano, si tratta di un toponimo che faceva riferimento all’albero della tredicesima luna e della purificazione, quindi è ipotizzabile che nelle vicinanze dell’attuale Porta Ticinese, i celti celebravano l’Imbolc, cioè il rito della purificazione che tradizionalmente si officiava con le acque sacre dell'Olona, provenienti proprio dalla Motta Rossa della Rasa.

  Il quartiere Carrobbio prende il nome dal lungo asse stradale a doppio senso, che partendo dalla piazza Duomo con via Torino, arriva fino a porta Genova, lungo il quale transitavano le merci dirette o provenienti dalla Liguria, ragion per cui contrariamente alle usanze di allora, quella strada venne costruita in modo che i carri potessero incrociarsi senza ostacolarsi.

Nei pressi del Carrobbio passa il canale Vetra, il quale congiungendosi con il canale Molino delle Armi nei pressi di Porta Ticinese, forma il Vettabbia, il cui toponimo indica appunto due Vetra, nel quale i romani hanno fatto confluire le acque dell’Olona e del Seveso per renderlo navigabile e farlo confluire nel Lambro, in modo da ottenere un canale navigabile fino al Po.

Quindi la strada del Carrobbio serviva anche il traffico commerciale proveniente dall’Adriatico.

Piazza santa Maria Beltrade è uno spazio stradale ricavato dalla demolizione dell'omonima chiesa, fondata dai longobardi nel VIII secolo a.C.

Beltrade indicava un emporio o una fiera sacri a Beleno, dove probabilmente si celebrava anche il Beltaine, la popolare festa del Sole, che per tradizione nella notte tra il trenta aprile e il primo maggio si accendeva un grande falò sacro, che i fedeli dovevano attraversare, allo scopo di purificarsi.

Al toponimo Bellingera è affine il sostantivo "lingera", che nella tradizione lombarda indicava un bandito

     In realtà lingera è un sinonimo del francese "lingerì", il quale fa riferimento alla biancheria intima, infatti il sostantivo è composto dal greco "jerarkès", sinonimo di capo e dal teonimo greco "Lindo", una corruzione dell'anatolico "Windo", dal quale si è originato l'inglese "White", sinonimo di bianco, quindi lingera indicava un capo di abbigliamento bianco, praticamente le "braghe di tela", in cui rimanevano coloro che nei tempi antichi, si facevano sorprendere dai ladri, in luoghi isolati o di notte per le strade.

       Pertanto a causa dell'abitudine di lasciare le loro vittime in braghe di tela i banditi lombardi furono chiamati lingera.

    Lo stesso si può dire per l'appellativo più pittoresco, "balabiot", ovvero balla nudo, apparentemente sembra indicare una persona dalle abitudini libertine, ma potrebbe anche essere una corruzione di "bel e biot", sempre in riferimento a un bandito che lascia le proprie vittime nude, con Bel che ha lo stesso significato di Lindo.

     Da ricordare anche il più popolare "Magüt", un sostantivo ancora oggi comunemente in uso nel settore dell'edilizia.

    In realtà Magüt è originato dall'indoeuropeo magus, sinonimo di campo e dal gallico aùt oppure ùt sinonimo di aiuto, quindi aiuto nei campi, termine poi arrivato nell'edilizia in quanto questo settore è sempre stato la prima alternativa al lavoro nei campi, pertanto si può anche pensare che il Magüt costituiva una classe sociale di lavoratori stagionali che si alternavano in vari settori.

        Altri omphalos milanesi si trovavano al “Precotto” che indicai: “prati dei Coti” , popolazione ligure alpina, che si insedierà lungo le rive dell’Olona, la “Bellingera” = “Chiesa di Bel” (dal greco hieròs = a sacro), come anche la cascina “Mirasole”, il quartiere “Bovisa”,  dal celtico “Bö Weso”, “Dimora del Bӧ”, un villaggio abitato dagli Orumbovi o adoratori del toro, come anche la Bovisasca,  il cui toponimo si riferisce ad un luogo di culto nascosto agli occhi dei cristiani, da considerare la sicura origine antica della strada Bovisasca, la quale sembra far parte di un antico asse stradale che partiva in prossimità del centro storico di Milano, oggi interrotto dal cimitero Monumentale e dall’area ferroviaria di Porta Garibaldi, e si dirigeva verso nord.

Con la Bovisasca si attraversa Senago, Senàch in dialetto, città fondata da un clan di galli Senoni, i quali in ricordo della terra natia  gli avrebbero dato il nome della “Senna”  ovviamente il centro spirituale era una sorgente, oppure un lago o una palude sacri a Sequana, la dea delle acque e personificazione della “Senna”, Varedo era un antico Varahi, mentre Bovisio Masciago, è un toponimo che indica due località distinte, oggi riunite in un unico consesso, per il toponimo Bovisio vale quanto già detto per la Bovisa, per Masciago (Masciach), il suffisso ago fa pensare a un lago, quindi come Maghnach e Masnach, indicherebbe un campo allagato, ma  potrebbe essere anche una corruzione di Casciago, cioè; “quercia nel lago”; da considerare anche il latino medioevale “masca”, sinonimo di strega, quindi il riferimento sarebbe a un lago sacro a divinità dell’acqua vedica, divenuto con il cristianesimo il “lago della strega.

Altro quartiere di Milano è Crescenzago, il suffisso “ago”, ancora una volta indica un lago, infatti il quartiere è attraversato dal Lambro, quindi è provabile la presenza di un bassopiano allagato dove il livello dell’acqua saliva con il crescere del Lambro, quindi “lago che cresce; nel IV secolo d.C., la località era già nota con il nome di Crescentiacum.

 

L’origine del nome della vicina Gorla sarebbe da attribuire a un’antica sorgente chiamata “Fonte Acqualunga”, per via del suo bacino stretto e lungo, come una forra.

Nei paraggi di Gorla e Crescenzago troviamo Turro, anticamente nel territorio c’era un luogo chiamato “Taurus Turris”, vale a dire:” Torre del Toro”, un luogo dove certamente si celebravano riti in onore del toro, rimasto nella toponomastica cristiana come Turris.

Nei pressi si trova anche “Prato Centenaro”, “Centenarj” in dialetto e longobardo, che come la Centenate di Besnate era un centro amministrativo longobardo.

Per quanto riguarda il quartiere “Greco”, è attestato un insediamento di legionari greci al tempo di Giulio Cesare.

Anche Lampugnano “Lampugnan in milanese è un toponimo che fa riferimento ai romani, in quanto il prefisso “lam” sarebbe originato dal latino “lama” sinonimo di “pantano” o “palude”, mentre per evitare confusioni preciso che la forma italiana di lama è derivata dal francese “lame”, generato a sua volta dal latino “lamina”.

Il suffisso “gnano”, “gnan”, in milanese, sembra indicare il dio Giano protettore dei passaggi, ed il fatto che dal prefisso “lam” deriva il latino “lampas”, sinonimo di lucerna o fiaccola, dal quale si originano poi gli italici lampada lampadario lampo, ecc., ecc., possiamo considerare che lampo ci porta ai fuochi fatui, provocati dai gas prodotti dalla decomposizione della materia organica, i quali si infiammano quando vengono a contatto con l’ossigeno, un fenomeno che si manifesta nei pressi delle paludi e nei cimiteri antichi, tanto che, fino a qualche anno fa, i più superstiziosi credevano che fossero spiriti maligni, quindi si può supporre che i latini, abbiano denominato queste fiammate con il sostantivo “lampas”, derivato dalla radice “lama”.

Per scrupolo voglio sottolineare l’ipotesi che anche: il latino lamina, il francese lame e l’italica lama, traggano l’origine del loro nome dalla lucentezza del metallo.

Queste antiche credenze portarono i nostri antenati ad erigere nei pressi delle paludi dei monumenti o tempietti sacri a divinità come: Giano, Mercurio, Ecate e la ligure Rethia, i quali avevano il compito di proteggere la gente dagli spiriti della palude.

Anche se non ha origini preistoriche, trovo Interessante il toponimo Ghisolfa, che fa riferimento a una cascina scomparsa.

            Dai dipinti rimasti appare evidente che in origine si trattava di una struttura militare composta da una torre centrale alta e massiccia, con due ali alte 3 piani come facciata, e altre strutture a chiudere il cortile quadrato.

            Chiaramente in un’epoca in cui si andava a cavallo non potevano mancare le stalle, i fienili e gli alloggi per la servitù.

Sull’origine del toponimo possiamo riferirci al toponimo Ghisallo nome di una località situata sul fianco orientale del Triangolo Lariano, dove è posto un valico dal quale si domina il ramo di Lecco del Lario, dove secondo la leggenda, in epoca medioevale un tale di nome Ghisallo sarebbe riuscito a scampare da un’aggressione banditesca, ragion per cui fece costruire una cappella alla quale diede il nome di Madonna del Ghisallo.

Nella bassa bergamasca troviamo una località chiamata Ghisalba si tratta di una città dove si sono trovate tracce di un tempio dedicato a Giove, quindi devo supporre che il luogo fosse abitato in epoche molte antiche, come mi fa supporre la radice etimologica Alba, la quale potrebbe fare riferimento al territorio che divide il fiume Serio dall’Oglio, al centro del quale sorge la città; in oltre nel luogo sarebbe esistito un castello distrutto due volte dai milanesi nell’ambito delle guerre tra guelfi e ghibellini.

Nel 992 d.C. La bergamasca era il feudo di un Gisalberto conte palatino e signore di Bergamo, in seguito la signoria passò al figlio Lanfranco, per poi arrivare nelle mani del nipote Gisalberto II, il quale diventò anche vescovo di Bergamo.

Da questa famiglia deriva il cognome bergamasco Ghisalberti.

Quindi il toponimo Ghisalba potrebbe essere una corruzione del nome Gisalberto; il quale però nella lingua dei franchi aveva il significato di “abile con la lancia”, quindi con gisa e poi ghisa si indicava la lancia, pertanto considerando che a Milano i vigili urbani sono soprannominati “Ghisa”, devo supporre che toponimi come Ghisolfa, Ghisalba e Ghisallo facessero riferimento a luoghi dove erano posti corpi di guardia formati da lanceri.

Da considerare anche i ghibellini, in quanto Milano non era proprio una città di guelfi, come sostengono gli storici, partito del quale facevano parte il clero i nobili e i loro clienti, mentre i popolani di cultura insubre erano schierati in favore dell’imperatore, quindi è ipotizzabile che al di fuori delle mura milanesi si annidassero i principali oppositori al potere clericale, come suggerisce anche la caratteristica merlatura a coda di rondine della torre, tipica delle fortificazioni ghibelline.

Il nome della città di Meda è di origine greca e potrebbe derivare dalla preposizione “meta-“, luogo di destinazione, o  direttamente dall’aggettivo “meda”, sinonimo di segnale, come avrebbe potuto essere un tempio.

Ciò e dovuto alla posizione del nucleo primitivo della città, il quale dall’alto di una collina dominava tutta la pianura attorno a Milano, quindi era sicuramente un punto di riferimento geografico, ma anche religioso, in quanto il toponimo Meda, potrebbe anche essere una corruzione dei latini “Media” o “Medium”, di conseguenza avrebbe le stesse origini delle varie Mezzana.

Che fosse un importante luogo di culto vedico ce lo dimostra la divertente leggenda sulla fondazione del Monastero di San Vittore, avvenuta nel lontano 780 d. C., e destinato a luogo di clausura delle monache benedettine.

Si narra che i santi Aimo e Vermondo, conti Coiro di Turbigo (due torri), mentre cacciavano sulla collina di Meda finirono per essere cacciati da due cinghiali (animali sacri a Lug), e trovarono rifugio su due allori (alberi sacri ad Apollo).

Nel momento del pericolo i due santi chiesero aiuto a Dio, alla Madonna, e a san Vittore, promettendo in caso di salvezza, la costruzione in quel luogo di un monastero.

Questa leggenda esalta la regola del due, infatti abbiamo: due conti, due cinghiali, due allori, e la città delle due torri.

Si può ipotizzare che la leggenda è ispirata da un evento che rientrava nel contesto della lotta tra cristiani e celti, con gli adoratori di Apollo a fare da pacificatori, una lite avvenuta in un’epoca precedente alla proibizione dei culti pagani, e la causa sembra essere l’insediamento di un clan di cristiani, in un territorio abitato dai celti.

Per ipotesi i cristiani potrebbero aver occupato, un campo sacro a Lug, un’appropriazione che avrebbe scatenato una reazione violenta dei celti, con i romani a redimere la lite.

In questo caso il toponimo meda trarrebbe origine dall’opera di mediazione compiuta dai romani per dividere il territorio.

Nei pressi di Meda c’è Seveso, Sèves in dialetto, la cui etimologia indica la “dimora di Sequana”, la dea della Senna, lo stesso vale per la sua frazione Baruccana, la cui etimologia sarebbe: “sorgente della “regina”.

Sempre al confine con Meda troviamo Giussano, il cui toponimo  sembrerebbe riferirsi alla “giusquiamo”, una pianta velenosa che cresce spontanea in terreni grassi come ad esempio attorno alle cascine, dove il letame abbonda; anticamente era utilizzata come erba magica, ma i semi e le foglie, ed in piccole dosi trovavano uso anche come medicinali, in quanto avevano proprietà sedative, analgesiche, spasmolitiche e narcotiche.

Oltre all’assonanza con Giussano del giusquiamo è interessante il suo nome greco: “hyoskýamos”, che significherebbe “fava di porco”, quindi all’ ipotesi giusquiamo sull’origine del toponimo Giussano, trovo prevalente il solito disprezzo della regina Teodolinda, verso i consumatori di carne di maiale.

Alla periferia nord ovest di Milano c’è la città di Pero, il cui nome ha origine da “Cassina del Pero”, un toponimo attestato da una pergamena datata 12 febbraio 962, nella quale si cita un vigneto a Cassina del Pero, l’attuale denominazione risale al 1894.

Quindi come per il Pero di Cassano Magnago possiamo pensare all’antica presenza di un pero sacro a Cernunnos.

Da citare anche la frazione Cerchiate il cui nome deriverebbe dalla antica presenza di un cerreto.

A monte di Pero c’è la città di Rho, il cui nome antico “Vico Rhaudo”, ci porta ai celti “ruad” e “rhudd”, entrambi con il significato di rosso, ciò sembra confermato dal quartiere “Santa Maria Rossa”, ai tempi antichi con rosso s’intendeva una varietà di colori che andava dall’arancio al marrone scuro, a rosso si aggiungeva un altro aggettivo per specificare la tonalità, per esempio il rosso vivo, veniva indicato con vermiglio, un altro esempio è il sanscrito “aruna” sinonimo di “aurora” il quale veniva utilizzato anche per indicare l’arancio; oltre al bianco al nero e al rosso, l’ultimo  colore era il verde, il quale comprendeva una gamma di tonalità che andava dal giallo al blu.

Il culto della Madonna Rossa, mi suggerisce l'ipotesi di una tradizione vedica, legato all’adorazione della Motta Rossa, un’altura artificiale in argilla rossa, che aveva la funzione di pulpito o altare, sul quale gli ariani celebravano i riti in onore della Grande Madre.

Altri riferimenti al rosso,  possono essere i terreni, rossi per i depositi di argilla, che si formavano durante le alluvioni dell’Olona e dei suoi affluenti, ma si può ipotizzare anche il greco “rhòdon”, sinonimo di “rosa”, da ricordare anche Santa Maria Rossa, patrona del non lontano quartiere milanese Crescenzago, quindi si può riscontrare la diffusione sul territorio, di una devozione molto particolare nei confronti della Madonna rossa, una tradizione sulla cui origine si potrebbe pensare alla rossa Morrigan, dea gallica della morte, ma che diventava rossa quando vestiva i panni della dea della fertilità.

Essendo il luogo in aperta pianura, si può pensare anche a un masso erratico di color rosso, utilizzato come altare votivo, in natura ne sono stati trovati molti che riportavano incisioni votive, anche al culto di Beleno.

  Sull'originedel toponimo Rho si può prendere in considerazione anche il celtico "Ruis", sinonimo di sambuco, l'albero della tredicesima luna e della purificazione, che troviamo come toponimo nella Milano dei celti.

Quindi, considerando che tanto Rho che la via Sambuco a Milano sono bagnate dalle acque sacre dell'Olona, provenienti proprio dalla Motta Rossa della Rasa, si può pensare a due luoghi dove i celti celebravano "l'Imbolc", vale a dire: il rito della purificazione.

Anche l'eventuale presenza di un masso erratico di colore rosso, farebbe pensare che il ghiacciaio lo abbia staccato proprio dalla Motta Rossa, un evento che gli antichi possono aver attribuito alla volontà della dea, e quindi creduto che lei fosse presente nel masso.

Da citare anche la Chiesa Rossa che dà il nome all’omonima parrocchia di Milano, si tratta di un edificio antico costruito in mattoni rossi a vista, sopra la struttura di una chiesa romana, al suo interno sono presenti affreschi che risalgono anche al XII secolo, anticamente era nota come “Santa Maria la Rossa”, “la Rossa” era l’epiteto alla manifestazione positiva della Morrigan, la chiesa era nota anche come “Santa Maria alla Fonte”.

Il toponimo Rho potrebbe anche essere una corruzione del gallico “Rue”, un riferimento alla strada del Verbano, oppure dovuto al passaggio del fiume Olona, in quanto dal greco “rheino”, = “acqua che scorre”, hanno origine gli idronimi dei fiumi Reno e Rodano (Rhoene), da considerare anche gli idronimi comuni celto liguri: Ri, Rino, Reino, Reno, quindi Rho potrebbe essere un idronomo antico dell’Olona, o un nome comune di fiume.

La frazione Biringhello, ripropone l’ipotesi del ritrovamento di un tesoro ligure   e quindi la presenza dei Liguri, infatti il suffisso del dialettale “Biringhel”, “ghel” ha il significato di: soldo, che con la corruzione del prefisso “gir”, in “bir”, avrebbe avuto il significato di: “Soldi in Giro”.

In particolare bisogna sottolineare che il centro storico della frazione è costituito da un lungo e stretto rettilineo denominato via Biringhello sul quale si affacciano quattro cortili caratteristici lombardi.

In realtà, cortile lombardo è di una definizione arbitraria in quanto allo scopo di proteggere gli animali dai lupi, una cascina deve essere obbligatoriamente chiusa sui quattro lati.

In oltre l’architettura delle cascine lombarde non è altro che la continuazione dello schema delle ville romane, e non a caso la via Biringhello prosegue con lo stesso nome anche nel territorio di Lainate, attraversando il confinante quartiere di Cascina Villa.

Essendo un quartiere di recente edificazione, è chiaro che il toponimo fa riferimento a un’antica villa romana, ora scomparsa, o forse facente parte del complesso edilizio della vecchia Biringhello.

Perciò diventa interessante il toponimo Lainate, in quanto il nome antico “Locus Ladenate”, potrebbe significare: Luogo latinizzato, o dei Latini.

La presenza della cultura latina è testimoniata anche dalle frazioni di Lainate, la prima delle quali: Barbaiana è un toponimo che farebbe riferimento alla femmina del Barbagianni un rapace notturno che per i latini era il simbolo totemico di Minerva, diventata strega per i cristiani e di conseguenza simbolo del malaugurio, appunto come il Barbagianni.

Ma il toponimo Barbaiana contiene la radice “iana”, derivante dal latino “Ianua”, sinonimo di porta, da cui il maschile “Ianus”, ovvero Giano il dio romano delle porte.

Si trattava di una divinità pre latina che veniva raffigurata bifronte, con aspetti contrapposti, giovane e vecchio con la barba, in quanto era il dio del passato e del futuro, per questo era il nume delle porte e dei passaggi, e i suoi luoghi di culto erano posti lungo le vie più importanti a protezione dei viandanti.

In realtà nella lingua latina Ianus è anche un sostantivo maschile con il significato di porto, da cui il toponimo Genova, mentre l’origine femminile del nome mi fa ritenere che Ianus fosse la continuazione latina di una divinità femminile preistorica come poteva essere “Rethia Phora”, teonimo originato dal greco “Phoros”, sinonimo di passaggio, dal quale deriverebbe l’italico “ porta; infatti Rethia Phora era la divinità delle porte e dei passaggi dei reti e degli italici, giunta in Italia dalla Grecia prima o durante l’epoca minoica, e che con la maschilizzazione dei culti è  stata poi sostituita dal latino Ianus, e dall’etrusco “Culsans”, che in gergo volgare si può tradurre in: “Colui che ti protegge le …spalle”.

La sostituzione del culto di Rethia Phora con il culto di Ianus mi sembra una testimonianza di latinizzazione della cultura celtica che avrebbe dato origine a etnonimi come: “ladini”, sulle alpi, e a toponimi come Ladenate (forse ladenati?) nei pressi di Milano.

Identico discorso vale per la frazione Grangia, il cui toponimo fa chiaramente riferimento a una cascina appartenente ai frati cistercensi, i quali notoriamente ristrutturavano e si insediavano nelle ville romane diroccate, situate lungo le vie di comunicazione.

Nelle adiacenze di Lainate troviamo anche Arese il cui nome dialettale “Ares” ci porta al dio della guerra greco, “Ares”, ipotesi suffragata anche dalla vicinanza del quartiere milanese Greco, fondato da legionari di origine ellenica; non è però da escludere il celtico “are”, sinonimo di: “presso”.

Anche Arluno sembra indicare presso, forse un luogo sacro alla dea lunare, che poteva essere la divinità greca Artemide.

Il nome delle due Paderno deriverebbe dal ligure “padi”, o “padus”, sinonimi di pino silvestre uno dei primi alberi a ricoprire le terre liberate dai ghiacciai, quindi sacro alla grande dea Madre e a Dionisio, il dio del vino e dei frutti, mentre il nome della frazione Dugnano sarebbe originato dal ligure “Dugia” sinonimo di doppia ed indicherebbe due villaggi o paludi.

Nella vicina Garbagnate, un comune facente parte del parco delle Groane, una zona boscosa e umida, per cui il toponimo potrebbe fare riferimento al gallico “garro”, una specie di quercia ibrida, che cresceva spontanea sui ceppi delle querce appena abbattute, mentre nel toponimo Garbagnate, il suffisso nella forma dialettale diventa “bagnaa”, e indica chiaramente una zona umida come il parco delle Groane, il toponimo fa riferimento a querce  che crescono nella palude, come anche le acacie, chiamate “gagia” nella lingua dei celti e gli ontani; la stessa situazione la troviamo nella vicina Vanzago, dove il suffisso “ago” indica la presenza di una zona paludosa, oggi conosciuta come oasi di Vanzago.

Nelle vicinanze di Lainate c’è Corbetta il cui nome significherebbe cuore della betulla, dall’irlandese antico “Beth”, la betulla era un albero della saggezza, sacro alla divinità gallese Ceridwen (la Scrofa Bianca) e a Brigid, la grande madre dei cozii, in seguito trapiantata nelle isole britanniche dove era molto amata, Entrambe erano celebrate nella festa dell’Imbolc, e si può ipotizzare che Ceridwen fosse il nome gallese di Brigid.

La betulla era anche un albero sacro alle divinità solari e del fuoco, per la facilità con la quale la sua corteccia si accende, anche se umida.

Nei presi del parco comunale di Villa Frisiani, c’è un’attività commerciale che ha preso il nome Pasquee, testimonianza del ricordo ancora vivo della tradizione dei Paquèe; si tratta di un parco di ragguardevoli dimensioni situato nel centro storico del paese, ed è collegato al vicino santuario arcivescovile di “Santa Maria dei Miracoli” da una strada chiamata via della Madonna, nei pressi anche una via Col di Lana, un possibile riferimento a un altura artificiale sacra alla scrofa semi lanuta, quindi una traccia sulla presenza un antico centro spirituale.

Prima di arrivare sulla riva del Ticino s’incontra Magenta, un altro toponimo derivato dal celtico Magus, mentre il suffisso “enta” mi fa pensare al latino “gentiana”, vale a dire Genziana, un’erba con le cui radici si può ottenere un decotto dalle proprietà digestive e depurative, quindi sicuramente usata dai druidi nelle loro pratiche mediche mentre per i greci era sacra ad “Esculapio”, il dio della medicina.

Ma il toponimo potrebbe derivare da Magera un soprannome che nelle tradizioni pre latine, i fedeli rivolgevano alle divinità della terra, che venivano festeggiate al primo maggio, il giorno del risveglio della natura, da cui il nome Magera, “Portatrice di Frutti”, che poteva essere identificata con “Maia”, una delle divinità pre elleniche della fecondità e del risveglio della natura.

Da considerare l’antica presenza in località Ponte Vecchio, di una cascina denominata “Bovisa”, omonima del quartiere milanese, presso la quale si sono avuti dei ritrovamenti archeologici risalenti al I secolo d. C, quindi il toponimo ci riconduce al culto del bue, in quanto nella lingua dei celti Bovisa “Bö Weso” significava: “Dimora del Bue”.

Etimologicamente Magenta è un toponimo che può anche essere originato dal teonimo “Mogetius”, un dio della guerra che i romani assimilavano a Marte, quindi Magenta poteva essere un campo sacro a Mogetius, successivamente romanizzato in Marte.

Ciò sarebbe da mettere in relazione all’esistenza di una cittadella fortificata insubre che controllava il guado sul Ticino, chiamato dai romani: “Vadum Tercantinum” (Trecate).

A nord di Magenta si trova Mercallo con Casone, se il prefisso del primo nome “Mer” si riferisce a una distesa d’acqua il suffisso “callo” fa pensare al latino “callis” sinonimo di strada campestre, forse una strada che attraversava una palude, ma anche strada per il lago, in quanto Mercallo al Casone è attraversata dalla statale Magentina, che collega gli appennini liguri con Gallarate, per poi imboccare la strada del Verbano, quindi una strada antica percorsa dai mercanti che volevano raggiungere o provenivano da Golasecca e Angera.

La frazione Casone “Casoo” in dialetto sembra un accrescitivo lombardo di casa, una forma celtica per indicare per indicare i templi romani i quali al contrario dei centri spirituali che erano all’aperto, questi erano dotati di un tetto ma si potrebbe mettere in relazione con il latino “Cassus”, sinonimo di vuoto, ma il toponimo potrebbe essere messo in relazione anche a una proprietà di un “C. Cassius”, che abitava nella vicinissima Mesero.

Anche Mesero è un nome di luogo da mettere in relazione con un centro spirituale, in quanto il toponimo sarebbe originato dal greco “mèsos”, sinonimo di mezzo, o medio, quindi indicherebbe la presenza di una mediatrice spirituale.

A Mesero in particolare bisogna citare la cascina sant’Eusenzio, il nome locale di sant’Innocenzo, in quanto si tratta del sito più antico di Mesero, dove sono avvenuti i ritrovamenti archeologici risalenti all’epoca romana.

In oltre, Eusenzio apparteneva alla legione tebana, della quale facevano parte anche San Maurizio, San Martino e Sant’Antonino, fatta sterminare da Massenzio nel III secolo d.C., la legione tebana era stanziata nel magentino, quindi Mesero era un luogo frequentato dai tre santi.

Nelle vicinanze troviamo anche Casorezzo, il cui toponimo è formato da due radici, casa e orezzo, sinonimo di brezza, aria fresca originato da aura, ma bisogna considerare anche il suffisso “rezzo”, il quale deriverebbe dal latino rete o retis, infatti dai numerosi nomi antichi di Casorezzo: Casuesu, Casobrecio, Caxcorizio, Coxcoretio, Cosorezio Casourezio, emerge con preponderanza l’aggettivo rete, da ciò gli storici sono concordi nel riconoscere nel toponimo il significato di “Casa dei Reti

In alternativa al latino Domus Retium, si può ipotizzare un villaggio abitato da un clan di reti, oppure da orezzo, sostantivo di aura, Casorezzo potrebbe indicare un tempio alla dea Aurora.

Dal toponimo Casorezzo possiamo estrarre anche l’aggettivo greco “òros”, sinonimo di “monte”, il che metterebbe Casorezzo in relazione con la vicina Asmonte, una frazione di Ossona, in quanto Asmonte indicherebbe un monte artificiale o un masso, sacri all’Aurora, in quanto il prefisso “As”, sarebbe originato dall’indoeuropeo “Usbas” sinonimo di aurora, dal quale si origina anche il verbo “ascendere”, vale a dire “il sole che sale dal monte”.

Quindi è possibile che nella preistoria sul sito fosse presente un omphalos, che fungeva come punto di riferimento, per datare il sorgere del sole.

Il toponimo del capoluogo Ossona, lo troviamo anche in provincia di Alessandria, come nome di una valle collinare e del relativo torrente.

Si tratta di un territorio dove l’origine ligure della toponomastica è predominante, pertanto l’origine del toponimo Ossona è sicuramente da attribuire alla tribù ligure degli “Oxsubii”, originariamente stanziata nei pressi di Marsiglia, e probabilmente giunta in Italia con l’ondata di popoli liguri che nel VI secolo a.C., che portò alla fondazione di Milano.

Con la provinciale Cassanese si arriva a Segrate, il toponimo ha il prefisso “seg”, sinonimo celta di forza o anche di vittoria, quindi Segrate era una città fortificata, nel luogo sono presenti le cascine “Olgia” vecchia e nuova che come Olgiate si riferiscono a un luogo di culto, da segnalare anche il lago Redecesio, il cui prefisso “rede”, indica un luogo dove si allevavano i cavalli, ciò è dovuto all’ambivalenza di Epona, la matrona dell’acqua, dei cavalli e cavalieri.

Dopo Segrate si passa per Cernusco sul Naviglio, l’antica “Cisnaculus Asinarius”, un palese insulto cristiano (Teodolinda?), a una città sacra a Cernunnos; si vuole che Asinarius derivi dal nome del senatore romano “Gaio Asinio Gallo”, allora intendente della zecca, reggente della provincia Insubre, morto in prigione perseguitato da Tiberio nel 33 d.C., la cui tomba è stata ritrovata da Monsignor Luigi Biraghi a Cernusco sul Naviglio presso la cascina Lupa nel 1849.

Della lapide che nessuno ricorda di aver visto, rimane solo un disegno fatto dal Biraghi, ma gli storici più insigni, non credono all’autenticità della scoperta, anche se Cascina Lupa sembra un toponimo fatto apposta per la casa di un romano, in ogni caso Asinio era pagano e ciò, ha sicuramente stimolato la fantasia di Teodolinda, nell’affibbiare ai cernuschesi l’appellativo di Asinarius.

Nelle vicinanze di Cernusco c’è Inzago, “Insàch” in dialetto, “Anticiacum” per i romani, “Campo insubre”, per i celti, ma il dialettale Insàch con il suffisso “ach” e il romano Anticiacum con il prefisso “anti” mi fa pensare a una forma ligure, indicante un luogo “prima del lago” o “nel lago” nei pressi troviamo anche Bellinzago, il cui prefisso “Bel” si potrebbe associare a Campo Insubre, quindi “Campo Insubre di Bel”, o un lago sacro a Bel, la presenza di fornaci conferma che nel territorio si estraeva l’argilla depositata in tempi antichi da un lago preistorico.

Lo stesso possiamo dire per la vicina Cambiago, che nel linguaggio insubre indicava una curva del lago, o forse una riva ricurva.

Il toponimo Gessate, deriverebbe invece dal nome tribale dei galli “Gesati”, alleati degli insubri e provenienti dalla valle del Rodano, una provenienza che mi fa pensare più a una tribù ligure che gallica.

Di Gorgonzola, “Gurgunzőla”, in dialetto, famosa per il suo formaggio non trovo notizie storiche, ma il prefisso del suo toponimo “Gorgo”, mi fa pensare a una sorgente, mentre la radice dialettale  “zőla” dovrebbe derivare da una forma antica germana di “zolla”, come per esempio l’alto medioevale “zolle”,  massa compatta di “sterco”, da considerare anche il dialettale lombardo “ső” sinonimo di “suolo”, da cui anche “sőla” sinonimo di “suola”, e ipotizzare una forma arcaica che indicava un suolo umido dal quale sgorga l’acqua; dalla corruzione per difetto di pronuncia di “sőla”, potrebbe derivare anche la forma dialettale di  “zőla”.

Curiosamente c’è da notare che nel comune di Zola Predosa, in provincia di Bologna, ci sono due frazioni chiamate “Gessi” e “Gesso”, un'altra analogia con il comune di Gorgonzola, il quale confina con il territorio di Gessate, pertanto è da ritenere che entrambe le località sono state fondate dai galli Gesati, provenienti dalla valle del Rodano e che la radice “zőla”, faceva parte della loro lingua.

Zola Predosa è collocata su una collina di modesta levatura, mentre il nome romano era “Ceula Petrosa”, sinonimo di: “Cellula Petrosa”, poi divenuto “Zola Predosa”, quindi se consideriamo che una zolla di terra è paragonabile a una cellula del terreno, possiamo concludere che il lombardo “Zőla corrisponde all’italiano Zolla.

Da considerare anche il passaggio nelle vicinanze del fiume Reno, un idronomo di origine ligure e la presenza di una frazione chiamata: “Madonna dei Prati di Tomba”, un toponimo che ci riporta a Tarabara dove si celebrava il culto di Proserpina.

Di questa località comunque non trovo notizie, mentre ai piedi della collina si trova Anzola Dell’Emilia, quindi un prefisso “an” con il valore di un articolo indicativo, unito all’aggettivo “zőla”, quindi: “La Zolla?”.

Vale la pena ricordare che nel territorio comunale di Anzola sono state ritrovate tracce di un villaggio di terramaricoli, vale a dire coloro che incontrarono i primi umbri che scendevano dalle Alpi.

Gorgonzola è attraversata dal torrente Molgora il quale dà il nome a svariate località situate a monte, anche loro attraversate dal torrente che sorge ai piedi delle prime colline brianzole.

L’idronomo Molgora ha come prefisso la radice dialettale “Mol”, sinonimo di molle, ma potrebbe essere una corruzione delle radici indoeuropee “mur, mor, o mar” sinonimi generici di distesa d’acqua,  mentre la radice ligure “gora”,, è l’equivalente di canale, quindi un torrente che  alimentava una palude o un lago, infatti, subito a monte di Gorgonzola c’è Bornago, “Burnagh” in dialetto un etimo di sicura origine ligure che indicava una sorgente che formava un lago, forse si trattava di un fenomeno stagionale, ma ancora più a monte troviamo Caponago “Capunagh”, sinonimo di Capolago un altro lago.

Quindi possiamo pensare che il territorio di Gorgonzola come quello di Caponago fosse soggetto al fenomeno delle risorgive alimentate dal torrente Molgora che formavano piccoli stagni.

Scendendo più a valle s’incontra Melzo, il cui toponimo, nonostante la mancanza di reperti archeologici e di testimonianze storiche, è considerato di origine etrusca.

Ma osservando che “Melphum” sorge in prossimità delle colline brianzole, non voglio escludere il celtico “Mellum”, sinonimo di collina.

Il nome della Brianza è formato dal prefisso “brig”, sinonimo di collina e “anza”, l’equivalente di davanti, pertanto ritengo che Brianza doveva indicare: le colline davanti al lago.

      A sud dell’aeroporto di Linate passa la strada Paullese, la quale è il rifacimento dell’antica via Regina, una strada romana che collegava il porto fluviale di Cremona con Chiavenna, ai piedi dei passi dello Spluga e del Maloia, passando per Milano e Como.

          Il nome Regina sarebbe dovuto a Rethia Phora la grande madre dei reti, in quanto la via raggiungeva il loro territorio.

       Ciò è confermato dalla presenza lungo la Paullese del toponimo Foramagno, il quale sarebbe l’italianizzazione del celtico “Phora Magus”, vale a dire: “Campo di Phora”.

       Il toponimo è ripetuto in tre località: Foramagno, Zeloforamagno e Bettola Zeloforamagno tutte appartenenti al comune di Peschiera Borromeo, tra i quali spicca la radice “Zelo”, “Zelum” in Latino “Zelos” in greco sinonimi di emulazione, brama, desiderio, da cui: “Zès-ma” sinonimo di devozione, quindi si trattava di un luogo di adorazione.

Nello stemma della città è presente un basilisco, un drago mitologico appartenente alla cultura greca, il quale sarebbe il simbolo più antico del centro, il che ci riconduce alle tradizioni ariane.  

Da sottolineare anche il toponimo Bettola, il quale deriverebbe dalla presenza di una betulla sacra,” Beith”, nella lingua dei celti, per i quali era sacra alla Grande Madre ed era l’albero della saggezza, per apprendere la quale, i druidi vi si arrampicavano ed usavano i suoi rami come bacchetta magica.

Sulle betulle si arrampicavano anche le mezzane, in quanto essendo le intermediarie tra il druido e la dea dovevano abbracciare la betulla e salire più in alto possibile per avvicinarsi alla divinità.

Da questa ritualità è nata la tradizione cristiana della Befana e delle streghe, che volavano su scope fatte con i rami di betulla.

La Betulla era “La Guardiana della Porta”, rappresentava Colei che apre le vie del cielo, il cui simbolo era la luna e non a caso nella tradizione contadina la scopa era sempre posta dietro alla porta d’ingresso.

Anche Linate che fa parte del territorio di Peschiera Borromeo ci riconduce alla luna e ai reti, infatti la forma dialettale del suo toponimo è “Linà”, che oltre a ricordarci la luna, è un sinonimo del greco antico “Rete”, a ciò bisogna aggiungere un'altra frazione del comune di Peschiera Borromeo, situata al centro del territorio, “Mezzate”, un toponimo che deriva da Medium o Medianum o anche Mediolanum, vale a dire un centro spirituale, il quale era a capo dei villaggi circostanti.

Infatti ancora nel Medio Evo, prima dell’arrivo dei Borromeo, Mezzate era la capo pieve; pertanto possiamo supporre che i villaggi facenti parte del territorio di Peschiera Borromeo siano stati fondati da popolazioni retiche.

Da ricordare che il culto della betulla e della Grande Madre guardiana della porta del cielo ha raggiunto i celti del nord Europa, la Bretagna e l’Irlanda con il nome di “Brigit”, il quale sarebbe originato proprio dal nome della betulla Beith, dalla quale deriva anche il nome tribale dei Britanni o Britoni.

A sud di Milano va citata Melegnano, i cui nomi antichi “Merignano” per i francesi di Filippo I, capitanati dal Milanese Gian Giacomo Trivulzio, e: “Marignano” per gli italiani, sono originati dalla radice indoeuropea “mor “, indicante una distesa d’acqua generica, dalla quale si sono originati il lombardo “mar”, il francese “mer” e l’italico “mare”, un’ipotesi confermata dall’antica esistenza di un lago molto vasto chiamato “Gerundio”, mentre il suffisso “gnano” potrebbe riferirsi  alla divinità romana dei passaggi Giano, in questo caso tra le due radici possiamo ritrovare anche la particella “rig”, che avrebbe il significato di “righeta”, (righetta), un sostantivo dialettale lombardo, usato anche per indicare un vicolo dritto, quindi Marignano indicherebbe un tempietto o un passaggio  che attraversa la palude, sotto la protezione dagli spiriti della palude da parte di una divinità.

Lungo la riva milanese del Ticino si può citare la chiesetta campestre di Santa Maria in Binda, XIII secolo, situata nel territorio di Nosate, la dedica “Binda” dovrebbe essere una corruzione al femminile del celtico: “windo”= “bianco”, un nome che rientra nella tradizione delle numerose cappelle dedicate alla Madonna della Neve, considerando la sua costruzione sopra a una sorgente, l’origine del culto dovrebbe essere dovuto all’adorazione di “Madre Matuta”, la dea della luce mattutina e protettrice dei parti”, “Leukotea” per i greci, ma con ogni provabilità esisteva una divinità della neve ancora ignota, infatti l’unica divinità della neve che sono riuscito a trovare è la greca “Chione, e il vedico Himalaia, il nome della catena montagnosa più alta del mondo.

A valle di Nosate c’è Turbigo un toponimo la cui origine è stata identificata nel latino “Turris bis” confermato anche dal dialettale “Turbigh”, il riferimento sarebbe alle due torri che in epoca romana costituivano i posti di guardia che controllavano il guado o il ponte sul Ticino; nelle vicinanze c'è anche Robecchetto, con Induno, due villaggi confinanti, situati sul ciglio di un ronco che si affaccia sul Ticino, riuniti in un unico comune.

Per quanto riguarda Induno come abbiamo già visto si tratta di un toponimo che fa riferimento a un luogo fortificato sacro a Indra, una divinità vedica, della quale i vari Zeus, Giove, Taranis, Odino, Lug, ecc. sarebbero delle forme sincretiche.

            Si può supporre che in epoca pre romana Induno costituisse la base di controllo sul guado, e che in base al teonimo Indra, si può attribuire l’origine del sito all’età del rame.

Il toponimo Robecchetto è invece il diminutivo di Robecco, che la distingue dalla vicina Robecco sul Naviglio, Si tratta di un toponimo diffuso lungo l’asse del Po, al quale vanno aggiunte alcune Rebecco, il quale fa pensare a un dispregiativo cristiano.

A parte il Femminile Rebecca di origine ebraica, il quale significa: “Avvince con le sue grazie”, Robecco fa riferimento al romano Robur, sinonimo di quercia, albero sacro a Giove, quindi Robecco sarebbe un insediamento romano che con Giove continuava il culto preistorico di Indra.

Da sottolineare che la radice becco potrebbe avere la stessa origine etimologica dell’inglese “Beck”, sinonimo di: “Segno”, “Cenno”, o “Ruscello”, quindi Robecco indicava un centro spirituale dove si adorava una quercia o un ruscello sacri.

Da citare anche la frazione Arese il cui nome dialettale “Ares”, richiama il dio della guerra greco, ma molto più importante è il toponimo “Cascina Padregnana”, italianizzazione del dialettale e più primitivo “Casìna Padrignàa”, situata ai piedi del ronco, il quale anticamente era anche il nome di Robecchetto, quindi possiamo pensare a un altro riferimento al padre degli dei, o a Lüg, il padre dei galli.

Infatti il toponimo Padregnana deriverebbe da san Paterniano, presunto vescovo di Fano, terra abitata dai senoni, morto nel 340 d.C. sull’esistenza del quale non si hanno prove, quindi il nome attuale sarebbe una sovrapposizione cristiana a un toponimo sacro ai galli.

Il toponimo “Cascina Padregnana”, potrebbe anche essere un sinonimo di “Cassinetta di Lugagnano”, “Lügagnàa”, nella forma più antica, il toponimo è un chiaro riferimento a “Lüg”, il figlio di Beleno e padre dei galli; da ricordare il “Lughnasadh”, la festa di Lügh che si celebrava il primo agosto, in concomitanza con le “Feriae Latinae” in onore di Giove.

Nel territorio di Lugagnano ci sono stati ritrovamenti risalenti all’epoca golasecchiana, mentre nelle vicinanze troviamo il comune di Robecco sul Naviglio, sul cui toponimo vale quanto già detto per la non lontana Robecchetto.

Da citare la frazione Casterno, località che trae origine dall’antica presenza di un accampamento romano, poi trasformato in castello.

Sull’origine del toponimo di Inveruno, parla il suo nome latino,” Eburonum”, il quale ci dice che la terra di Inveruno era abitata dagli eburoni.

            Si tratta di una tribù di origine germana alleata dei galli, e come tale si era insediata in Belgio lungo le rive del Reno, quindi a diretto contatto con gli insubri.

            Il loro nome è originato da “eburos”, sinonimo gallico di “ tasso”, l’albero sacro del dio dei germani “Dagda”, quindi il toponimo Inveruno sarebbe originato dalla forma antica dell’attuale nome tedesco del tasso “ich vergebühre”, dove “ich” nel linguaggio moderno significa “io”, ma sicuramente davanti a un nome comune assume il valore di “il” o “in”, mentre da “vergebühre”, dovrebbe derivare anche il toponimo “Veruno”, nome di un’altra località in provincia di Novara, situata nei pressi di Varallo Pombia.

          Veruno e Inveruno sarebbero la continuazione del toponimo Virunum (Viruno), località della Carinzia fondata dai galli, poi divenuta capoluogo di provincia romana; la Carinzia era popolata dai galli di cultura norica, quindi gli adoratori del tasso, albero sacro al Dagda.

Per la storia, gli eburoni sarebbero stati sterminati dai romani, per ordine di Giulio Cesare nel 54 a.C., ciò tuttavia è possibile che alcuni clan si fossero già trasferiti in Italia al tempo della seconda guerra Punica, 225 a.C., e fossero alleati degli insubri.

Il Dagda era adorato dai galli norreni (germani), che lo definivano il “dio Buono”, in quanto era colui che faceva i miracoli, compresa la resurrezione e riassumeva in sé tutte le forze delle altre divinità, quindi si ratta di una forma di monoteismo, che in ogni caso era un doppione di Lug, il dio supremo dei galli Lugdunesi (francesi).

L’ampiezza e lo carso popolamento del territorio attorno ad Inveruno, mi fa suppore anche l’ipotesi che siano stati schiavizzati e trasferiti in Italia per lavorare i campi, infatti il territorio si presenta abbastanza arido e privo di torrenti e risorgive, quindi è provabile che la lavorazione dei campi richiedesse un impegno troppo elevato per i comuni coloni, in quanto l’acqua per l’irrigazione doveva essere prelevata dal sottostante Ticino.

Ma non bisogna dimenticare che i romani hanno costruito acquedotti in grado di scavalcare le colline quindi mi sembra impossibile che abbiano rinunciato alle abbondanti acque del Ticino, pertanto anche se mancano tracce archeologiche e documenti che lo attestino ritengo che opere come il Villoresi e il Naviglio Grande fossero già state realizzate da loro e poi deteriorate dalla mancanza di manutenzione a causa della ritrosia della nuova società cristiana a partecipare alla spesa pubblica.

Un esempio di questa volontà politica ci viene dalla vicenda di Beno dei Gozzadini un podestà eletto a furor di popolo nel 1252 d.C. e linciato dai nobili, perché dopo aver completato il Naviglio Grande ebbe l’ardire di far pagare l’utilizzo delle acque per l’irrigazione.

Boffalora Sopra Ticino è un toponimo enigmatico, in quanto è originato dalla radice dialettale “Bofa”, sinonimo di  “soffia”, ma trovandoci in aperta pianura mi risulta difficile pensare a un luogo dove il vento possa soffiare con un’intensità maggiore rispetto ai luoghi circostanti; pertanto posso pensare a una corruzione del ligure “bhor”, sinonimo di gorgogliare, dal quale ha origine il nome Bormanus dio ligure delle sorgenti, quindi “bhor” si potrebbe associare al nome della sorgente Lora di Recoaro, dove abbiamo anche il passo della Lora, mentre il toponimo Recoaro contiene il prefisso gallico “rix”, a ciò possiamo aggiungere il fiume francese “Loira”, e la regione alpina “Lorena”, quindi si può pensare a una divinità ligure  delle acque, a noi sconosciuta.

Archeologicamente Boffalora sopra Ticino è uno dei siti più antichi, in quanto i ritrovamenti archeologici ci portano ad un’epoca tra il III mila a.C., e il VI mila.

In particolare possiamo citare la località “Magnana”, un  toponimo che ci ricorda la “Magana” di Cassano Magnago, ipotesi sostenuta anche dalla presenza di un santuario dedicato alla “Madonna dell’Acqua Nera”, quindi abbiamo un riferimento ad una antica torbiera forse sepolta da depositi sabbiosi depositatisi in epoca successiva, la quale sprigionava dei gas prodotti dalla decomposizione organica, che mettevano in pressione la falda idrica, provocando la fuoriuscita dell’acqua per mezzo di soffioni da cui il dialettale Bofalora, o la “Regina che Bofa l’Acqua Nera”.

Un esempio di questi soffioni lo possiamo trovare sull’Appennino Forlivese, sul monte Busca, dove una fuoriuscita di gas mantiene accesa una fiamma perenne.

L’ipotesi di una divinità delle sorgenti, può essere sostenuta anche dal fatto che il nome Lora è divenuto un nome proprio femminile diffusissimo in tutti i suoi vezzeggiativi

Sempre in tema di torbiere ricordiamoci che Boffalora Sopra Ticino, è praticamente situata sopra ai giacimenti petroliferi di Trecate, pertanto la falda idrica è sicuramente perturbata dalla pressione degli idrocarburi che si è sviluppata nel corso dei millenni, non a caso nei pressi di Trecate, troviamo il comune di “Sozzago”, un toponimo ligure provenzale originato dal provenzale “Sotz” e dal ligure “lak”, quindi “Lago Sozzo”.

Ciò mette in dubbio l’ipotesi di Lora come teonimo, in quanto Acqua nera e Lago Sozzo potrebbero portare al fiume comasco Lura, il che significherebbe che Lura o Lora erano una forma antica per indicare una cosa sporca.

Per continuare la tradizione gallica c’è da segnalare che nei pressi della Magnana esiste una cascina Cattabrega, facente parte del comune di Bernate, un altro toponimo originato da Bormanus, il dio ligure delle sorgenti.

Ma la Madonna dell’Acqua Nera potrebbe essere una sovrapposizione cristiana al culto greco delle “nereidi”, le cinquanta figlie di “Nereo”, ninfe del mare.

Ciò ci porta a Dafne, la quale essendo molestata da Apollo, gli dei la trasformarono in un alloro, ragion per cui l’alloro o lauro divenne l’albero sacro del Febo, e a lui farebbero riferimento i nomi delle sorgenti che contengono la radice “lora”.

Quindi possiamo anche ipotizzare la presenza di una sorgente sacra ad Apollo.

Un altro albero che potrebbe aver originato il nome di Lora sarebbe il “loranto”, meglio conosciuto come “vischio quercino”, un albero infestante, ma che rappresentava l’attributo sacro della quercia.

Nella tradizione druidica, la quercia sacra si distingueva per il vischio che cresceva lungo il suo tronco, un rametto del quale veniva tagliato dal druido con un falcetto d’oro; un rito beneaugurante per celebrare l’inizio dell’anno nuovo; una tradizione sopravvissuta fino ai giorni nostri.

Il taglio del vischio ha un simbolismo molto antico che arriva fino all’età della pietra; per i greci simboleggiava l’evirazione del dio Urano da parte del figlio Crono, a sua volta evirato dal figlio Zeus, mentre in tempi più antichi simboleggiava il cannibalismo rituale, un rito durante il quale, si uccideva il re sacro, il quale veniva divorato dai suoi sudditi affinché trasmettesse a tutti i suoi poteri divini.

Alcuni studiosi sostengono che anche Romolo, in quanto figlio di Marte, sia stato vittima di un uso strumentale di queste tradizioni.

A sud ovest di Milano, nei pressi di Rozzano, c’è Macconago, il cui toponimo è un palese riferimento al mocco e a un lago, quindi un lago sacro a Lug, ancora oggi esiste una ex cava riempita di acqua risorgiva.

Il nome di Rozzano deriverebbe dal tedesco medioevale “ròzza”, sinonimo di destriero, quindi con il suffisso “ano” sinonimo “lago” il toponimo dovrebbe indicare un: “Lago dei cavalli”, forse un luogo romano sacro ad Epona.

Che rozza à il significato di cavalli, ce lo dice anche il sostantivo italico carrozza, formato appunto dall’unione della radice gallica “car” con “rozza”, quindi: carro trainato dai cavalli.

Sempre nei pressi di Rozzano troviamo Buccinasco, Bücinàsch in dialetto, un toponimo che indica una bùccina nascosta, infatti la bùccina, il cui nome deriva dal latino “bucina”, uno strumento musicale ottenuto da un corno di bue, quindi Buccinasco era un luogo nascosto dove si celebravano riti in onore del bue, da sottolineare il prefisso “bü” del dialettale, il quale è un riferimento diretto al bue.

Assago, Asàgh in dialetto, a sua volta dovrebbe essere una corruzione di Arsago cioè “presso il lago”.

A sud est di Melegnano, lungo la riva destra del Lambro troviamo Cerro al Lambro, mentre sulla sponda sinistra c’è Ceregallo, frazione di san Zenone al Lambro due toponimi che fanno pensare a una foresta Cerrina, ma il suffisso gallo e lo stemma di Cerro:” un cerro dalla chioma dorata”, ci dicono in modo inequivocabile che si tratta di due toponimi di origine celto ligure, facenti riferimento a un tesoro sacro nascosto sotto a un cerro sacro.

Il nome di san Zenone è palesemente di origine cristiana, e nulla si sa del suo nome antico ma anche le altre due frazioni “santa Maria in Prato”, e “Villabissone”, infatti se la Madonna in Prato è chiaramente un centro spirituale celtico, il toponimo Villabissone è la duplicazione di quello del confinante “Vizzolo Predabissi”, due toponimi che contengono la radice lombarda “bisa”, quindi indicherebbero un luogo infestato dalle bisce, ma i due suffissi potrebbero essere anche la corruzione di “bis”, quindi, dal latino “villa”, sinonimo di “casa di campagna, potremmo avere “Villabissone”, cioè “due ville”  il prefisso “Vizzo” sarebbe un sinonimo di vicus, e come per Vizzola Vicino, Vizzolo indicherebbe due villaggi uniti.

Il toponimo Morimondo è molto curioso, in quanto farebbe pensare a un luogo nefasto, ma in realtà come abbiamo già visto, nelle lingue indoeuropee il prefisso “mor” è sinonimo di distesa d’acqua, e non a caso in dialetto Morimondo diventa “Marmund”, con la radice “mund” che sarebbe originata dal latino “mundus”, sinonimo di pulito.

Quindi si può pensare a un lago formato dalle acque del Ticino, infatti Morimondo è situata in asse con il vertice di un’ansa del fiume, pertanto si può ipotizzare che in passato il Ticino debordava creando un lago, il quale tra le numerose paludi, si distingueva per le sue acque pulite.

A conferma dell’ipotesi di un bassopiano allagato, tra l’abitato di Morimondo e la riva del Ticino, troviamo la cascina “Cerrina di Sotto”, quindi un luogo basso, e la cascina “Lasso”, un toponimo forse originato dal latino “laxus”, sinonimo di lento o allentato, come un terreno inzuppato di acqua; forse le acque del Ticino si infiltravano nel sottosuolo alimentando un fontanazzo o una risorgiva.

Nei pressi di Morimondo troviamo Besate, Besà in dialetto, essendo la località situata nei pressi del Ticino, il suo toponimo potrebbe essere originato dalla presenza di una “bessa”, vale a dire un deposito alluvionale ricco di minerali auriferi.

In alternativa si può pensare al sanscrito “satem”, dal quale deriva il latino “centum” sinonimo di cento, che con il prefisso “be” indicherebbe “duecento”.

Con ogni provabilità Besate potrebbe indicare due località composte da cento famiglie che i longobardi riunivano in un’unica amministrazione.

A valle di Besate c’è Motta Visconti La Mòtt, in dialetto, che probabilmente è anche il toponimo originale, quindi mi sembra evidente l’esistenza di un’antica collina artificiale, la Mota Rusa, sacra a qualche divinità celtica sulla quale in seguito si sarebbero insediati i Romani e oggi scomparsa, come nel caso di Motta di Livenza.

Nel medio evo, l’insediamento romano divenne sede della signoria de Campesis, originari della vicina Campese, ora scomparsa, ed in seguito anche gli abitanti del villaggio si trasferiranno alla Motta, ed in seguito il luogo sarà acquistato da un ramo della famiglia Visconti.

Da rilevare la presenza di una antica cascina chiamata Caiella, un toponimo riconducibile a Caelus o Coelus da cui il latino Caelum, una divinità primordiale del cielo.

In epoca imperiale, con la diffusione del culto di Mitra il dio del sole persiano, nell’arte Caellum viene frequentemente messo in relazione con Mitra, pertanto suppongo che Caelus fosse un teonimo primitivo o tribale di Elios.

Attraversato il Ticino scopriamo Vigevano, il cui toponimo sarebbe originato dal nome romano di una sua frazione: “Buccella”, anticamente chiamata “Viginti Columnae”, il cui significato sarebbe “ventesima colonna”.

Le colonne in questione sarebbero dei pilastrini sacri a Mercurio protettore dei mercanti, i quali venivano collocati agli incroci tra le strade più importanti, e a Vigevano si incrociavano la strada che da Genova portava a Milano e quella che da Pavia si dirigeva a Novara, quindi a Vigevano era situata la ventesima colonna sacra a Mercurio.

Nel toponimo Vigevano ritroviamo la radice viginti, mentre il suffisso potrebbe riferirsi a Genova, ma anche al minoico wanax sinonimo di re o alla divinità norrenica “Vanadis”, indicata come dea dei vani, ma anche del sesso, della bellezza, della seduzione, della fertilità, della magia, della profezia, della guerra della morte e dell’oro, elemento che la collega alla presenza dell’oro nel Ticino.

Vanadis era chiamata anche “Freyja”, il che ci porta al paese, al monte, al passo, alla valle e al torrente, chiamati Frejus, un toponimo che viene fatto risalire all’antica “Forum Julii”, fondata da Giulio Cesare, ma “Forum”, potrebbe anche indicare una miniera d’oro.

In un diploma imperiale di Ottone I del 963 d.C., viene citato un Castrum Vicogebuin, che alcuni storici ritengono sia il nome primitivo di Vigevano, in realtà il toponimo fa riferimento a un sito fortificato sacro al bue, risalente all’epoca preromana; come esempio si può ricordare che il nome ligure di Angera era: vico Gebuinus, poi diventato Stationa in epoca romana, e Angleria con l’arrivo degli angli al servizio dei longobardi.

Dopo Vigevano non poso esimermi di citare Garlasco, in quanto la cittadina pavese deve l’origine del suo toponimo a un luogo sacro, infatti il suo prefisso “Gar”, ci porta alla Garonna, al Garda e Garlate, idronomi riconducibili al dio delle sorgenti e della salute identificato con il nome latino di Grannus, o a una delle matrone dell’acqua indicate come sue mogli.

Pertanto “Gar”, con aggiunto il suffisso asco indicava un luogo nascosto dove si adorava una divinità della salute.

In particolare a Garlasco si può indicare la località “Bozzola”, un luogo paludoso ricco di risorgive, quindi una “boza”, sinonimo ligure di stagno.

Alla Bozzola sorge il santuario dedicato alla “Madonna della Bozzola”, eretto in ringraziamento alla miracolosa guarigione dell’ennesima pastorella sordomuta, la quale durante un temporale aveva trovato rifugio sotto una Cappelletta dedicata alla Madonna, realizzata da un pittore della zona, in ringraziamento per la grazia di essere stato salvato dall’annegamento, perciò si può pensare che alla Bozzola esisteva già una tradizione antica, legata alle guarigioni miracolose.

La presenza del culto di Grannus nel pavese, sarebbe dovuta all’arrivo nel territorio di clan appartenenti alle tribù di salassi e graioceli, la cui migrazione dalla val d’Aosta, verso il canavese e il vercellese, è storicamente attestata.

Nei pressi di Garlasco vi si trovano toponimi di origine celtica molto interessanti, come ad esempio Gambolo, Zerbolo, Belcreda, e l’idronomo Terdoppio.

Il nome primitivo di Gambolo era Gambolate (999 d.C.), allora forse già corrotto, poi latinizzato in Campus Latus, per cui avrebbe avuto il significato di: Campo Grande, oppure Recintato, o di Lato (al fiume), ma in realtà le radici “bolo”, o bolatè, potrebbero indicare una bolla d’acqua alimentata da una sorgente, con la radice gam a indicare la presenza di gamberi, oppure la vicinanza ad una curva del Terdoppio.

Lo stesso possiamo dire di Zerbolo, Zerbolate nel medio evo, il quale dovrebbe significare: Campo Gerbo o Gerbone, vale a dire un “bolos di terra arida, come potrebbe essere la sabbia del Ticino che scorre nei pressi. Del Terdoppio non si conoscono nomi antichi, ma possiamo pensare che anticamente il fiume segnava il confine tra i territori di due tribù diverse, e quindi il suo nome indicava appunto la divisione del territorio in due parti, in quanto il Terdoppio scorre tra il Ticino e L’Agogna, creando la stessa situazione idrografica di Trigabolos (Ferrara) luogo dove un’antica biforcazione del Po divideva il territorio in tre parti.

In particolare merita attenzione il territorio di Gambolo, in quanto i ritrovamenti archeologici hanno dimostrato che il sito era già frequentato dai cacciatori fin dal 4000 a.C., mentre la frazione Belcreda è sito di necropoli, con ritrovamenti che variano dal III secolo a.C al VI d.C. (guerrieri di Alboino). In particolare si cita un ‘urna cineraria del III secolo a.C., sulla quale si nota la scritta “Vindonidius”, la quale è stata indicata come il nome del defunto.

In realtà Vindonidius e il toponimo Belcreda ci indicano un luogo dove si celebrava il culto solare.

Non conosco altri dettagli su quell’urna cineraria, pertanto la mia opinione potrebbe non essere esatta, ma la scritta Vindonidius significa “Vindoni dio”, e farebbe riferimento a Vindos il dio solare dei troiani chiamato Elios dai greci e dai romani, mentre per i liguri era Bel da cui il toponimo Belcreda.

I guerrieri di Alboino erano di cultura vedica quindi hanno continuato ad usare quel sito come luogo di sepoltura.

        Sulla riva sinistra del Po bisogna citare Belgioioso Il cui nome antico era Tabernelae, forse di origine romana e indicava un esercizio commerciale mentre gli storici ritengono che Belgioioso sia il nome che Galeazzo Visconti impose al castello che aveva fatto ricostruire al posto del precedente acquistato dai Cazabove, una nobile famiglia, il cui nome è chiaramente di origine ariana, e significa Casa del Bove, e fa riferimento a una località dove si adorava il bue.

       Ma probabilmente Belgioioso era un toponimo pre esistente ai due castelli, e faceva riferimento a un Campo della Gioia, dove al primo di maggio si celebrava il “Beltaine”, con un immenso falò, vale a dire la festa del sole.

       Il fuoco di Beltaine era una tradizione contadina che in molti luoghi, si è tramandata fino alla metà del secolo scorso, e non a caso ancora oggi gli abitanti di Belgioioso sono chiamati: “Brüsacrist”, (Bruciacristo), un soprannome che la tradizione cristiana fa invece risalire al 1766 quando i parrocchiani si ribellarono alla sostituzione del parroco bruciando un crocefisso.

        A mio avviso bruciare un crocefisso era una reazione esagerata, che nulla aveva a che vedere con le malefatte di un parroco, e che avrebbe potuto causare processi per stregoneria, pertanto ritengo che la vera origine del soprannome fosse legata alla tradizione pagana tramandata per secoli.

    La caratteristica di essere situata su una collina unica nel territorio, alta 147 metri che degrada dolcemente verso est, e i 60 metri di altitudine del fiume Lambro, il quale da millenni, con l’aiuto della pioggia la sta erodendo lentamente, fa di San Colombano al Lambro un sito preistorico di notevole importanza.

            Nella preistoria, l’unicità di questa altura posta al centro dell’immensa pianura Padana ha sicuramente ispirato il pensiero spirituale degli umani, facendola apparire come una manifestazione divina, per cui il luogo sarebbe stato considerato come una montagna sacra tra le piu importanti, tanto che il sito sarebbe stato cristianizzato nientemeno che da san Colombano, monaco di origine celto irlandese, che si distinse proprio per il suo lavoro di mediazione tra le religioni.

       L’importanza primitiva del luogo è dimostrata anche dalle terme di Miradolo che con i ritrovamenti archeologici e la natura delle acque termali: salsobromoiodiche-litio magnesiache e sulfuree, oltre a dimostrare che attraversano rocce di natura vulcanica, atipiche del territorio circostante, mi fanno pensare a un luogo di cura primitivo, a ciò possiamo aggiunger anche le numerose sorgenti che sgorgano sul fianco ovest della collina.

      Tutto ciò è confermato anche dal toponimo Miradolo, in quanto sarebbe una corruzione del celtico: “Idolo di Mitra”, una divinità solare vedica che possedeva anche doti di guaritore.

Infatti il toponimo Miradolo sarebbe originato dalla radice greca eidolon, sinonimo del latino idulo, e dell’italico idolo.

 

 

Rino Sommaruga

 

 

 

 

Bibbliografia

 

L’Indoeuropeo Lingue Popoli E Culture                                          Andrè Martinet

Noi Celti E Longobardi                                                                    Gualtiero Ciola

I Celti E Milano                                                                                 Marco F. Barozzi

Imperatrix                                                                                          Edgarda Ferri

I Liguri E La Liguria                                                                           B. M. Giannattasio

I Celti                                                                                                 Roberto Corbella

La Dea Bianca                                                                                   Robert Graves

I Druidi E I Loro segreti                                                                      Morgan Brooks

Minoici E Micenei                                                                               Leonard R. Palmer

I Celti d’Italia                                                                                      Venceslas Kruta

                                                                                                          M. Valerio Manfredi

Gerusalemme                                                                                    Karen Armstrong

Il Segreto dei Pitti                                                                              Roberto D’Amico

Storia Della Provincia di Milano                                                         Cesare Cantù

Storia Naturale                                                                                   Plinio Il Vecchio

Storia Di Roma Dalla Sua Fondazione                                              Tito Livio

Le Storie                                                                                             Polibio

Storie                                                                                                  Erodoto

Agricola                                                                                               Tacito

Storia di Milano                                                                                   Pietro Verri                  

De Bello Gallico                                                                                   Giulio Cesare

De Bello Civili                                                                                      Giulio Cesare

La Gente E Il Territorio di Cassano Magnago Nel Settecento             Giuseppe Fimmanò

                                                                                                             Alberto P. Guenzani

Tre Secoli Fa … A Cedrate                                                                  Giuseppe Fimmanò

                                                                                                             Alberto P. Guenzani

Antiche Testimonianze del Territorio Varesino                                     Daria G. Banchieri

Profilo Storico Di Gazzada Schianno                                                   Egidio Gianazza

Olgiate Olona 1895-1943 Mezzo Secolo Della Nostra Vita                  Natale Spagnoli

Gallarate Nella Storia e nella Tradizione                                               Luigi Aspesi

Sommario di Storia Bustese                                                                  L. Belotti, L. Caldiroli

                                                                                                              R. Rogora,                

                                                                                                               S.Ferrario,

Alle Origini di Varese e del Suo Territorio                                               Autori Vari

Somma Lombardo Da Borgo Antico a Città Moderna                             A. Rossi

Vecchie Osterie Milanesi                                                                         Luigi Medici

Dizionario Etimologico                                                                             Vallardi

Enciclopedia                                                                                            Treccani

Wikipedia

 

 

 

 

 

 

Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”

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