Pagina revisionata il 08/04/2024
Il Verbano
Il nome del Verbano è di origine celto-ligure, ed il suo prefisso “Ver”, porterebbe al culto dell’ontano chiamato Vernos o Fearn nelle lingue celtiche, il quale proliferando copiosamente lungo le rive di laghi, paludi e fiumi era considerando l’albero sacro alla Morrigan, la regina della palude.
Considerando che in origine il signore delle acque era Varuna, si potrebbe pensare anche a una corruzione di “Var” oppure il prefisso Ver deriverebbe da Verro, nomignolo con il quale Varuna veniva spesso chiamato,
La radice “Banus”, invece deriverebbe dal persiano “Ban”, e avrebbe il significato di Signore, quindi: "Varuna Signore".
Ma non bisogna dimenticare che il vernos era sacro anche a Bran, il dio dei guerrieri celti, il quale resuscitava gli eroi morti in battalia, immergendoli nel calderone magico, quindi banus poteva anche indicare un bagno miracoloso.
Tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro, il territorio del novarese e la parte bassa del Verbano erano abitati dai Vertamocori, una tribù ligure appartenente alla cultura di Golasecca,
Secondo i i linguisti l’etnonimo sarebbe composto dall’aggettivo celtico “uertamos” che significa eccellente o superiore, e dal sostantivo “corios” sinonimo di armata o truppa.
Quindi Vertamocori avrebbe avuto il significato di: Armata superiore, cosa che ritengo molto improvabile, soprattutto nel significato del sostantivo corios, il quale non presenta nessuna affinità con i termini: armata o truppe, ma considerando che Plinio li indicava come un clan dei voconzi, propenderei per un difetto di pronuncia del celtico Kora o Koria che significavano appunto clan o tribù, da cui il latino curia, che ai tempi di Romolo indicava appunto la tribù.
Allo stesso modo possiamo ipotizzare anche il latino “Chorus” in quanto l’adorazione delle divinità avveniva tramite cantilene alle quali partecipava tutta la comunità.
Da sottolineare che il latino Chorus è continuato in 4 lingue centum, come quella parlata dai liguri, cioè italiano, francese, spagnolo e inglese, con il significato di coro, e anche dal tedesco Chor che invece è una lingua satem.
Quindi a mio parere corios aveva il significato di adoratori, o al limite di popolo, mentre uertamos avrebbe indicato la divinità suprema, quindi il vero significato sarebbe: “Adoratori del Supremo”, quindi ancora una volta ricompare l’ombra di Varuna, sempre che con Uertamos non si indicasse l’ontano.
Ma non possiamo dimenticare Kore la Persefone dei greci e la Proserpina dei Romani, cioè, la dea della primavera, ma anche moglie di Ade, il dio degli inferi, alla quale poteva essere associata la Morrigan, una divinità dei celti che si manifestava come: Madre Natura nella sua entità Rossa, e Annunciatrice di Morte quando si rivelava nella sua essenza nera.
Con ciò voglio precisare che i liguri come gli umbri e i latini sono popoli di origine persiano-caucasica, che durante le loro migrazioni sono transitati dalla Grecia durante l’età del bronzo e anche prima, quindi hanno diffuso la loro cultura e le loro tradizioni anche in quella regione, tradizioni, che poi ci sono state tramandate dalla letteratura classica, non a caso lo studio del latino porta a una comparazione sistematica con l’origine greca delle radici etimologiche.
Da ciò si può dedurre che in origine Kore fosse una divinità tribale preistorica, poi introdotta dagli elleni nel loro pantheon divino, come figlia di Demetra.
Da ciò possiamo stravolgere i concetti precedenti e partendo dal prefisso Ver, cercare di ricostruire un toponimo fondato sul teonimo Kore e il suo albero sacro: l’ontano, cioè Vernos.
Tralasciando Golasecca, Sesto Calende e i loro siti archeologici, sui quali non posso aggiungere niente, devo però segnalare la presenza in Irpinia di due tribù liguri, chiamate “Bebiani” e, “Corneliani”, una notizia interessante che ci arriva da Tito Livio; il quale afferma che nel 180 a.C., i consoli M. Bebio Tamfilo e P. Cornelio Cedego avrebbero deportato in Irpinia 47000 liguri apuani, provenienti dalla zona di Luni, ai quali avrebbero dato il loro nome.
Tito Livio lo posso considerare la mia principale fonte, ma come per gli eventi legati alla conquista di Como, non posso escludere vanterie tendenti alla facile gloria di molti consoli romani, sostenuti poi da storici e annalisti compiacenti e sciovinisti, perchè la storia ci insegna che i liguri pur sconfitti, non rinunciavano mai alla loro identità, in oltre i Scipioni sono un esempio lampante del fatto che, erano i consoli ad assumere il nome delle tribù sottomesse, un altro esempio è stato il prefetto della zecca della provincia insubre, il senatore “Caio Asinio Gallo”, così chiamato perché viveva in Gallia, il padre che nacque a Chieti si Chiamava “Gaio Asinio Pollione.
Oltre alla cifra esagerata di deportati, bisogna considerare il fatto che durante la seconda guerra punica, Annibale trovò in Italia numerosi alleati, ma altrettanto numerosi erano quelli che lo abbandonavano, forse per la scarsità del bottino, ma anche perché mal pagati, si trattava di galli o liguri, i quali dopo aver abbandonato Annibale, per paura di ritorsioni, sia da parte dei cartaginesi che dei romani, si rifugiavano sulle montagne fondando nuovi villaggi ancora oggi esistenti.
Sono emblematiche le vicende legate alla fine della I guerra punica, quando i mercenari numidi e liguri, non essendo stati pagati si ribellarono, finendo per essere massacrati da nuovi mercenari Iberici.
Ciò spiega anche la mancata alleanza dei liguri francesi e le loro imboscate sulle Alpi, ai danni di Annibale, mentre i numidi guidati da Massinissa, un veterano della I guerra punica, abbandoneranno i cartaginesi per allearsi con Scipione l’Africano, risultando determinanti nella conquista di Cartagine.
Il mio dubbio sulla deportazione dei lunigiani, nasce dal fatto che le colline sulle quali sono stati ritrovati i resti della civiltà di Golasecca, si chiamano “Corneliane” se non è passato da qui qualche altro Cornelio, esistono buone provabilità che queste tribù fossero originarie del varesotto, giunte in Irpinia al seguito di Annibale, dove poi abbandonando l’alleanza, per sfuggire a eventuali ritorsioni, si sarebbero arroccate su posizioni in altura, praticamente imprendibili, fino ad essere pacificati, dai romani con la diplomazia; da ricordare la Cassano Irpino, indicata come un campo trincerato, poi divenuta municipio romano, dove il culto dell’albero è fortemente radicato per merito di un tiglio millenario, adiacente alla chiesa altrettanto millenaria di Santa Maria La Longa, non mi sembra poco per un luogo che ha subito la devastante dominazione bizantina, da ricordare anche il cerro plurisecolare prospicente la chiesa della Madonna di Gallorum ad Amatrice in Abruzzo, conseguentemente possiamo pensare che le tribù liguri arroccate sull’Appennino centro meridionale erano molte più di due.
In ogni caso nella Lunigiana troviamo il comune di Calice al Cornoviglio Lunigiana, situato ai piedi del monte Cornoviglio, che divide la Lunigiana dalla val di Vara, Calice al Cornoviglio è anche attraversata dal torrente “Ri”, omonimo del “Ri” di Cassano Magnago.
Da notare che nella lingua dei leponzi “Corno è sinonimo di “cima” usato per picchi isolati, e non a caso “Viglio” potrebbe avere il significato di “Vigile”, dal lombardo “vigil”, continuato anche dal latino nella stessa forma, quindi “Monte Vigile”, dal quale si domina la val di Vara e la Lunigiana, pertanto si può ipotizzare un’origine comune dei liguri lunigiani con i corneliani di Golasecca.
Da citare anche Cornigliano Ligure, ora quartiere di Genova attraversato dal torrente Polcevera e Corigliano Calabro situato nei pressi di Cassano allo Ionio.
I Bebiani invece è attestato che si sono insediati a Circello, un'altra roccaforte, che confina con il comune di Reino, il quale è bagnato dal piccolo torrente Reinello che confluisce nel Tammaro (monte Tamaro nel luganese), toponimi e idronimi che richiamano la cultura ligure, Circello è una forma corrotta di cerro, come la Ceriola del lago D’iseo.
Oltre ai già noti Cassano e Ariano Irpino, non trovo altre tracce di insediamenti liguri, se non nella vicina Puglia, mentre per il loro luogo d’origine trovo una località chiamata Bebbiano nel comune di Santa Maria a Monte in provincia di Pisa.
Corneliane deriverebbe dal greco “koròne”, sinonimo di “cornacchia” continuato poi dal latino supposto “cornacula”, che sul modello delle Candie di Cassano Magnago dà il nome alle Corneliane.
Il riferimento alla cornacchia mi sembra evidente, in quanto anticamente la cornacchia “cornix” e il corvo “corvix”, (celtico) erano considerati lo stesso uccello nero, sacro al dio della resurrezione “Bran”, ma anche alla Morrigan che si manifestava nella forma di uccello nero, ciò trova una conferma anche nel toponimo Vergiate, località situata sul versante est delle Corneliane, il quale sarebbe originato dai nomi celti dell’ontano, “vearn” oppure “vernos”, come ò già citato, l’ontano era l’albero sacro a Bran, quindi possiamo pensare a “Corneliana”, come nome ligure di “Golasecca”, mentre a Vergiate potrebbe essere stata fondata dai Vertemocori, o forse c’era un ontano sacro a Bran, ma il prefisso latino “Sesqui-“, abbreviazione di “semisque”, = “mezzo”, mi fa pensare alla vicina Sesona come centro spirituale e nucleo primitivo di Vergiate.
Questo mi fa ipotizzare che il culto di Bran e della Morrigan attestati nel Regno Unito ed Irlanda, fosse già presente nel nostro territorio prima dell’arrivo dei galli, e che come ho già accennato sopra si tratti di ue divinità di origine greca, Tacito sosteneva che il culto di Bran aveva una ritualità molto simile al culto di Asclepio, il dio greco della guarigione, il quale aveva anche il dono di resuscitare i morti, il suo simbolo era appunto il corvo, ma chi ritiene che fosse figlio di Athena gli attribuisce come simbolo la civetta.
Da citare la Cornovaglia e i suoi abitanti “cornisch”, dove fino al secolo scorso si parlava il gaelico della Cornovaglia, che con le altre lingue gaeliche presenti nel Regno Unito rappresenta l’evoluzione della lingua dei celti, altrettanto possiamo dire del dialetto francese della Provenza, il quale è molto comune a quello lombardo e a sua volta si avvicina moltissimo alla lingua dei celti.
A tutto ciò bisogna aggiungere le Alpi Bebie in Croazia il cui territorio era anticamente chiamato Liburnia, i cui abitanti, secondo gli storici, erano di stirpe illirica.
Ma oltre all’affinità etimologica del nome della Liburnia con la Liguria, ancora oggi nella terra dei liburni troviamo molti toponimi di origine ligure, come il monte Dragone (Vaganski Vrt) omonimo del Dragnone ligure, l’altipiano della Lika e relativo passo, la cittadina marinara di Segna.
A ciò bisogna aggiungere che prima della colonizzazione greca la Campania era chiamata Liburnia, ed anche qui troviamo un monte Dragone, una semplice collina facente parte dei colli Aurunci (dal nome del popolo che li abitava), ma che occupa una posizione dominante, quindi un altare naturale sulla piana che divide il Volturno dal Garigliano, dove è situata la città di Mondragone, quindi i Bebiani potevano essere liburni, i quali a loro volta appartenevano alla stessa stirpe degli aurunci, dei liguri e degli umbri.
Sempre in merito a Golasecca va citato l’origine del suo toponimo, in quanto i prefissi dei dialettali “Vurasèca” o “Urasèca”, più che a Golasecca, fanno pensare a un primitivo “Sura La Seca”, dalla radice indoeuropea “uper”, sinonimo di sopra e anche di super, da “uper” sono originati anche l’inglese “over”, e il tedesco “uber”, a Golasecca è interessante anche il nome della fontana detta “Ul Navèl”, in quanto si tratterebbe di un sostantivo inglese sinonimo del nostro “Ombelico”, quindi un omphalos, provabilmente un’antica sorgente sacra, attorno alla quale si sarebbe sviluppato l’abitato primitivo.
La pronuncia Urasèca potrebbe anche essere una corruzione di Gora seca, vale a dire: sorgente secca.
Infatti nella tradizione vedica gora indicava una sorgente, la quale essendo una manifestazione della Grande Madre prendeva il suo nome, che per i golasecchiani o leponzi si chiamava Urona.
Anche i nomi delle due cascine presso le quali si sono avuti i maggiori ritrovamenti archeologici: Gajaccio e Presualdo, sono di origine vedica, infatti il toponimo Gajaccio deriverebbe dal provenzale “gai”, = “gaio”, derivante dal monte Gagliasco, provabilmente un monte sacro, quindi un campo della felicità, dove si celebrava il Beltaine, vale a dire la festa del sole, da ricordare che il provenzale è una lingua di origine ligure, e come tale utilizzata dai linguisti per ricostruire il lessico dei celto liguri, ai piedi del monte Gagliasco troviamo una profonda valle scavata da un torrente che sorgeva dal monte, forse la: "Gora-seca", quindi per quanto riguarda il toponimo Monsorino che dà il nome alla civiltà di Golasecca, mi sembra superfluo affermare che Monsorino abbia il significato di “Rio Che Scende Dal Monte”, quindi una sorgente sacra attorno alla quale si sarebbe sviluppata l’omonima civiltà.
Presualdo invece, stando al suffisso “aldo”, che deriverebbe dal greco “hals”, sinonimo di mare, con il prefisso “Pre”, che significa” prima”, assumerebbe il significato di: “prima del mare”, con riferimento al fiume Ticino, ma considerando che Golasecca è situata su un altipiano, che anticamente poteva essere allagato dalle esondazioni della Strona, non si può escludere che il toponimo facesse riferimento a una palude.
Sempre in considerazione dell’altipiano, Golasecca è situata ai piedi di una formazione collinare, dove la strada che sale dal Ticino svolta a sinistra per salire a Sesona, che come vedremo più avanti era un luogo sacro, quindi Presualdo potrebbe anche significare: “Prima Di Arrivare Su In Alto”.
A Vergiate, esiste ancora una strada chiamata via del Pasquee, il cui asse stradale inizia di fronte all’attuale chiesa parrocchiale, per dirigersi verso sud est ed interrompersi ai margini dell’autostrada e di due campi di calcio, per la costruzione dei quali si è interrotto il suo asse stradale, continuato poi da via Strona in direzione della palude che divide Arsago Seprio da Somma Lombardo.
Come al Pasquee di Cassano, anche qui troviamo una cappella, dedicata alla Madonna del Rosario e a san Domenico, situata al vertice di un bivio ad angolo acuto, con le due strade che si dividono come a rappresentare le corna di un toro, quindi è da ritenersi che il Pasquee, occupasse proprio nell’attuale piazza della chiesa parrocchiale dedicata a San Martino, nella facciata della quale è murata un’ara votiva dedicata al dio Silvano, ritrovata nel posto.
L’altra strada che si dirama dalla Cappelletta del Pasquee, a sua volta porta alla cappella di sant’Eurosia, dalla quale poi si può raggiungere le chiese delle frazioni Cuirone e Cimbro.
La frazione Cimbro è storicamente legata alla presenza dei Cimbri, mentre Cuirone considerando che si trova nei pressi del vertice di una collina, dovrebbe riferirsi al luogo di residenza di un guru, ma senza scordare un eventuale riferimento gli ambroni e i teutoni alleati dei cimbri.
Ma la presenza sul versante opposto della collina, di un laghetto oggi chiamato “Monkery”, sembra confermare l’ipotesi guru, in quanto Monkery non è altro che il sinonimo inglese di “Monaco”.
Il lago del monaco è raggiungibile da una strada consorziale che collega Cuirone con Varano Borghi chiamata Boffalora, la quale come vedremo nel trattato su Boffalora Ticino, sembra fare riferimento a una divinità delle sorgenti ancora sconosciuta.
L’altra frazione, Corgeno, posta ai piedi della collina di Cuirone, ma in posizione dominante sul lago di Comabbio ha un nome importante, infatti se il prefisso è un chiaro riferimento al cuore, il suffisso deriva dal greco “gènos”, che significa “stirpe”, quindi cuore della stirpe, vale a dire capoluogo di un territorio popolato da una etnia estranea ai nativi, vale a dire i cimbri.
I toponimi Vergiate e Verghera, sembrano avere la stessa radice etimologica di Vergato (Bologna), “Vargà”, o “Varghè”, nel dialetto locale, una località che essendo attraversata dal fiume Reno la pone come di sicura fondazione ligure; altrettanto di origine vedica è lo stemma, in quanto appare un cinghiale semilanuto con i piedi in uno stagno, con sullo sfondo una collina a forma piramidale verde, sormontata da un piccolo castello, un sicuro riferimento a un luogo sacro al “Mocco”, Lug, rimasto nella tradizione locale fino ai giorni nostri.
A monte di Vergato c’è Porretta Terme, circondata da alte montagne ma situata a una quota collinare, è l’ultima località che si incontra prima di Iniziare la discesa verso Pistoia, quindi si tratta di un toponimo originato dalla dea ligure dei Passaggi, “Rhetia Phora.
Anche a Porretta troviamo uno stemma di chiara origine vedica, il quale contiene tre simboli della religione ariana in quanto vi è ritratto un bue bianco che si abbevera con le zampe immerse in un laghetto circondato da rocce, sulla riva del quale c’è una quercia sfrondata.
Lungo la strada che porta al Corno alle Scale s’incontra il santuario della Madonna del Faggio, albero sacro a Giove, mentre più avanti, nel territorio di Lizzano Belvedere c’è il santuario della Madonna dell’Acero un albero segno di amicizia e sapere.
Della civiltà di Golasecca faceva parte anche il territorio del comune oggi chiamato Castelletto Ticino, un sito archeologicamente molto importante.
Del sito antico sopravvive il toponimo “Dulbiarum”, l’attuale Dorbiè, una frazione di Castelletto Ticino situata nei pressi della riva del fiume, dove il pilone di san Maurizio ricorda l’antica presenza di una chiesa longobarda dedicata al santo guerriero.
La frazione è attraversata dalla via Vernome, un sentiero che costeggia il Ticino, ma che proprio da Dulbiarum parte una diramazione che si dirige a Castelletto.
Vernone sarebbe l’italianizzazione del dialettale “Vernoo”, costruito sulla radice gallica “Vearn” sinonimo di ontano, sulla quale si fondano anche i toponimi del Verbano del Vergante e di Vergiate situata nei pressi di Golasecca.
Vernoo era un accrescitivo con il quale i galli indicavano un ontano sacro a “Bran” o alla Morrigan, il dio che resuscita i guerrieri morti in battaglia immergendoli nel pentolone sacro, e la dea dalla doppia entità.
Nel nome Vearn si può notare la differenza di pronuncia tra il gallico e l’indoeuropeo classico Fearn; ancora oggi presente tra l’italiano e il francese.
Quindi dobbiamo supporre che la presenza del culto di san Martino un guerriero cristiano, sia una traccia della trasmigrazione spirituale dal culto di Bran al cristianesimo, avvenuta al tempo dei longobardi.
Anche il toponimo Brabbia è di origine primitiva e indicherebbe la palude presente a sud est della collina.
Curone invece indicherebbe l’antica presenza di un gurù e di un centro spirituale, sacro al bue “Uro”, mentre trovo molto interessante la frazione Glisente, In quanto il suo toponimo potrebbe anche essere originato dal francese “glise”, sinonimo di chiesa il che mi fa riflettere sulla chiesa del villaggio e sulla particolarità del centro storico.
Infatti il centro storico di Glisente è costituito unicamente da una struttura quadrata in alcuni punti alta tre piani, dotata di un unico ingresso, con al centro un ampio cortile paragonabile a quello di quattro ville messe insieme.
Mi sembra evidente che l’origine della struttura sia di natura militare, e anche se ristrutturata nel corso dei secoli, è sicuramente di fondazione romana, e di ciò potrebbe essere conferma la chiesa consacrata a san Ippolito.
Infatti proprio da san Ippolito deriverebbe il toponimo “glise”, (chiesa) con il quale chiamava i suoi seguaci.
San Ippolito di origini anatoliche e forse vescovo di Bostra (Siria), nel 217d.C., entrò in contrasto con il papa Callisto I, ragion per cui i suoi sostenitori lo proclamarono antipapa, dopo la riconciliazione con la chiesa fu martirizzato in Sardegna assieme allo stesso papa Ponziano nel 235 d.C., e sepolto a Roma sulla via Tiburtina.
San Ippolito fu un discepolo di san Ireneo, vescovo di Lugdunum (Lione) e per questo amato dai legionari cristiani di origine gallica, i quali evidentemente gli dedicarono il loro accampamento, chiamandolo Glise.
Trovo molto simbolica la chiesa di san Ippolito in quanto è stata costruita sopra a un dosso artificiale fuori dalle mura, ma proprio davanti all’unico ingresso della struttura, proprio come a voler raffigurare rientro dallo scisma del santo.
Il sentiero proveniente dalla Liguria attraversava Marano Ticino, località posta su un altipiano che si affaccia sulla valle del Ticino e la conca del lago Maggiore.
Il toponimo Marano sarebbe originato dal sanscrito “Mahӓrӓja”, sinonimo di gran re, ma la presenza di una frazione chiamata Campora fa pensare a una “Mahӓrӓnj”, una gran regina, come poteva essere “Rhetia Phora”, protettrice dei passaggi e quindi dei passanti.
Il passaggio sull’altipiano era una scelta obbligata, in quanto a causa delle grandi anse del Ticino, in quel punto la tradizionale via lungo il fiume si allungava di molto.
Dal punto di vista toponomastico trovo interessante il nome di Angera, l’antica “Stazzona” o “Stationa” dei romani con particolare riferimento a un luogo di sosta o a una stalla, come sembra dimostrare il toponimo ligure, “Vicus Sebuinus” il quale fa riferimento al bue sacro dei liguri, ma anche a Giove; la località divenne fiorente con la romanizzazione.
Considerando la rocca, sede di antichi culti religiosi, l’ultimo dei quali il culto di “Mitra”, portato in Italia da legionari e mercanti di origine ellenica, si può ipotizzare che il toponimo Angera sia originato dal greco “hieràrches”, capo delle funzioni religiose oppure direttamente da “hieròs”, sinonimo di “sacro”, forse preceduto da un articolo indicativo come potrebbe essere il prefisso “An” il quale secondo alcuni linguisti, nella lingua dei celti avrebbe il significato di “la”, quindi “la chiesa”, senza escludere un riferimento diretto a un Sacro Monte.
Bisogna però considerare che etimologicamente Angera è affine anche al greco “anghelos”, (si scrive aggelos), “akero”, nella lingua micenea, in italiano: Angelo il messaggero.
Tra gli anghelos o angelus pagani, possiamo citare il greco Ares e il suo alter ego romano Mercurio, i messaggeri degli dei, ma la presenza nel territorio di Angera del culto di Mitra, religione sulla quale si basa il sincretismo cristiano, mi autorizza a considerare positivamente un legame tra il toponimo e le tradizioni mitraiche.
Infine, dal medioevale Angleria, si potrebbe ipotizzare anche la presenza di un clan di angli giunti in Italia con i longobardi, forse un’analogia con il territorio di Magenta, il quale con l’arrivo dei longobardi prese il nome di Bulgaria a causa di un clan di bulgari che vi si erano insediati.
Il nome di Angera coincide anche con il nome di una divinità romana, “Angerona”, l’unica traccia di questa dea è una statua che la ritrae con il dito indice davanti alla bocca, come per consigliare il silenzio, si pensa che fosse una divinità dei segreti, la quale si festeggiava al 21 di dicembre, con un rito antico che aveva lo scopo di ricordare alla gente il divieto di pronunciare il secondo nome di Roma, o forse uno primitivo, perché ritenuto infausto.
Tito Livio cita un Valerio Sorano, condannato a morte nel II secolo a.C. per averlo pronunciato, racconta anche che le divinità avevano un nome segreto da non pronunciare perché i nemici avrebbero potuto servirsene per colpire Roma.
In funzione di tale scopo avevano anche un rito segreto per accattivarsi le divinità dei nemici, una realtà che mette in dubbio il carattere religioso, delle persecuzioni subite dai cristiani.
Il nome primitivo “Vicus Sebuinos”, è un’ulteriore testimonianza del legame religioso tra i liguri e l’India, infatti il Sebuinos sarebbe il” Bos Indicus”, una famiglia di bovidi di origine indiana, della quale la specie più importante oggi è conosciuta con il nome di Zebù, la cui femmina è la “Vacca Sacra” degli induisti, sebuinos continua ad essere il suo nome spagnolo, mentre in italiano è chiamato cebuino, o zebuino cebuinum in latino.
Il sebuinos è un bovide molto resistente alle malattie, per questo viene usato per migliorare le altre razze, in particolare in Italia si distingue la razza Piemontese, il cui incrocio con il sebuinos è avvenuta nel XIX secolo.
Anche il lago Sebino prende il nome dal sebuino, ed il suo immissario ha una particolarità, che tradisce la sua antica sacralità, infatti il fiume si forma dalla confluenza di due torrenti, i quali disegnano sulla terra due corna, una simbologia dovuta sicuramente all'intervento dei camuni.
Angera confina con Taino, il cui nome deriverebbe da Taranis chiamato anche Taraino, si tratta di una divinità precedente a Lug, considerando che era adorato anche in Piemonte, lungo le rive del Tanaro, posso supporre che si trattava di una divinità delle acque dei liguri.
Lo stemma di Taino è particolarmente interessante, in quanto è diviso in due campi, nei quali è rappresentato un liocorno e un sorbo, a parte la considerazione che il liocorno appare nello stemma dei Borromeo, nella tradizione vedica sia il liocorno che il sorbo (Luis nella lingua dei celti), erano il simbolo della sapienza e della verginità, perciò erano sacri a Brigit, dea della sapienza e vergine protettrice della maternità, sarebbe interessante scoprire come il liocorno sia finito nello stemma dei Borromeo, i quali nel tardo medio evo erano i signori del luogo, forse il liocorno era già il simbolo di Taino?
Con i rami del sorbo, in quanto albero della saggezza, veniva fabbricata la bacchetta “magica” dei druidi, la quale era utilizzata assieme al talismano più potente nella storia dell’umanità, il “cristallo di rocca”, meglio conosciuto come “quarzo ialino”, minerale trasparente quasi duro come il diamante, una caratteristica che gli ha permesso di resistere allo stritolamento dei ghiacciai, alla corrosione dell’acqua e all’erosione da trascinamento, fino a depositarsi sui terreni alluvionali durante il ritiro dei ghiacciai, per poi essere recuperati dai primitivi già nel paleolitico, stupiti ed affascinati da tanta lucentezza e trasparenza dei cristalli, tanto che attribuirono al quarzo ialino proprietà divine e magiche.
Per assonanza, l’aggettivo ialino ci riporta al toponimo Taino, il che mi fa supporre il ritrovamento di questi cristalli sul territorio di Taino.
A nord di Angera c’è Ispra, preceduta da Ranco (da ronco), frazione di Angera, infatti il territorio si alza dal livello del lago di una ventina di metri, siamo di fronte a un altipiano roccioso ricoperto da campi e boschi, quindi il toponimo Ispra sarebbe originato dall’unione del latino “hispidus” sinonimo di “ispido”, con il dialettale “Prà”, sinonimo di prato, quindi prato ispido.
Ispra è separata da Angera da una vasta pianura chiamata Quassa, formata da rocce calcaree, che in alcuni tratti emergono dai sedimenti che le ricoprono; sicuramente si tratta di una antica palude all'interno della quale è stata ritrovata una piroga preistorica.
Sulla conca si affaccia un altipiano dove sono situate le località di Barza e Barzola, due toponimi il cui prefisso richiama il nome del dio ligure delle sorgenti: "Bormanus", infatti il territorio è costellato da piccole risorgive alimentate dal soprastante lago di Monate, dalla più importante delle quali nasce il fiume Quassera
Il nome di una altura chiamata monte dei "Nassi", e l'antica presenza di una foresta di Tassi ha indotto gli studiosi a ritenere che il toponimo fosse una corruzione di tassi, quindi possiamo ritenere che anche il toponimo Quassa è una corruzione del nome del tasso, albero sacro al "Dagda",la massima divinità dei galli norreni, pertanto si può ritenere che l'altura fosse un luogo sacro al dio.
Da considerare anche il latino "quassare", sinonimo di sbattere, da cui guazzare, a sua volta sinonimo di guadare, pertanto Quassa farebbe riferimento a un luogo dove l'acqua bassa permetteva di camminare.
Prima di arrivare a Besozzo, si passa da Brebbia, nella lingua dei celti, il prefisso “Bre”, è sinonimo di forza o forte, e non a caso nella Brebbia alta è attestata una fortificazione romana occupata anche nel medio evo.
Circondata a nord dal fiume Bardello, un toponimo particolare è quello della torbiera “Pavidolo”, attraversata dalla “Via Lunga”, e guarda caso l’idronomo Pavidolo è composto dal greco” dolichòs” = “lungo” e dal latino “pavïre” che significa “battere il terreno per livellarlo”, quindi pavimentare, come potrebbe avvenire nella realizzazione di una strada, quindi Via Lunga è la continuazione di Pavidolo, un toponimo che mette in evidenza l’incertezza e la promiscuità del linguaggio allora in uso.
Besozzo è situata in una valle collinare dove passa il fiume Bardello e la strada che da Varese porta in riva al Verbano; e se a sud c’è la collina di Brebbia Superiore, sulla collina a nord ci sono le frazioni di Bogno, Cardana e Olginasio, se Olginasio, può essere originato dal greco “òrgia”, Cardana, come Cardano al Campo indica un luogo fortificato dai carri, poi continuato dall’attuale castello, quindi il prefisso Be di Besozzo ha il valore di due, che unito al latino “subtus”, = “sotto”, ci dà “Bisubctus”, o il dialettale “Bisot”, (bisotto), da cui per difetto di pronuncia “Besoz”, da comparare anche con il francese “sous”, sinonimo di sotto, quindi la forma antica del toponimo Besozzo, indicava un luogo posto sotto due fortezze.
Laveno Mombello, un doppio nome che è tutto dedicato a divinità vediche: Lug e Bel, infatti se Laveno è un riferimento a Lug, “L’Arvernate”, Mombello non è altro che la corruzione di “Monte di Bel”, infatti, essendo Laveno soggetta all’ombra prodotta dai monti e dalle colline che la circondano, l’unico modo per pregare al sorgere del sole era quello di salire sulla cima di questa collina, pertanto si può pensare che originariamente la Laveno dei celti fosse sulla collina e che l’insediamento in riva al lago possa risalire all’epoca cristiana, preceduto in epoca remota dalla civiltà delle palafitte.
A Laveno Mombello troviamo una ripida montagna che fa anche da promontorio chiamata “Sasso del Ferro”, in realtà per i liguri questo toponimo aveva il significato “Sas del Fearn”, il nome dell’ontano albero sacro al dio della resurrezione “Bran”, in quanto per la sua durezza e resistenza, per lungo tempo il suo nome e stato usato per definire il ferro, tanto che dalla radice fearn si sono originati il lombardo “fer”, il francese “fear” e l’italiano ferro.
Tra i numerosi edifici religiosi di Laveno Mombello è da citare l’oratorio chiamato di “Santa Maria in Corte”, una chiesetta del XIII secolo dedicata alla “Purificazione di Maria Vergine”, un’altra palese sovrapposizione alla festa “Dell’Imbolc”.
Da citare anche l’ennesima sorgente chiamata “Nove Fontane” e la frazione di Cerro, situata ai piedi del promontorio di Laveno, altri due luoghi di culto.
Con il Sasso del Ferro inizia una catena montuosa facente parte del gruppo del monte Nudo, il quale con il gruppo del Campo dei Fiori forma la val Cuvia, così chiamata dai romani, perché per molto tempo rimase inaccessibile, da cui secondo alcuni “Cuvia” era sinonimo di “Covo”, ma in realtà essendo la valle ricoperta da paludi si può pensare alla presenza di ontani alberi sacri al culto della Morrigan o di “Bran” il dio della resurrezione dei guerrieri, dei quali il corvo era l’uccello sacro era il Corvo” “Corvix” in celtico, “Corvus” in latino, quindi a mio parere Cuvia indicava la via del Corvo, ipotesi suggerita anche dal toponimo “Brenta”, antica roccaforte provabilmente in onore di Bran, il dio dei guerrieri, la quale ostruiva l’accesso alla valle in direzione della Svizzera.
Anticamente il monte Nudo era chiamato "Beusciar", una corruzione del dialettale "Bȍsciar" (pronunciato e scritto con la ȍ a due puntini); nel gergo dialettale Bȍsciar indica una spina degli arbusti, un aggettivo che non ha nessuna attinenza con la montagna, mentre scomponendolo si possono estrarre due radici, “Bö", il bue dei celti e dei lombardi, e “Scià", il re dei persiani, quindi Bȍsciar indicava una montagna sacra al bue re.
Brenta è situata ai piedi del monte Cuvignone, altro riferimento al corvo, per raggiungere la cima del quale si passa attraverso un altipiano chiamato Vararo, Varar in dialetto, un'altra corruzione di “Varahi”.
Dal Cuvignone si scende ad Arcumeggia, situata a mezza montagna, dove durante la demolizione della vecchia chiesa, sono stati ritrovate le fondamenta di un tempio gallico.
Il toponimo dovrebbe significare “vecchia megera”, dal greco “archaìos” sinonimo di primitivo, mentre la radice “meggia”, sarebbe una corruzione al femminile di magus, quindi vecchia maga, forse un epiteto cristiano rivolto a un luogo sacro ad una divinità vedica, ma non si può escludere anche vecchio campo, oppure campo dello scrigno.
Il nome del capoluogo Casalzuigno è originato dalla località “Sciuìgn”, un toponimo che contiene la radice indoeuropea “scià” e il latino “ignis”, sinonimo di fuoco, quindi poteva essere il riferimento a un fuoco sacro.
Considerando i cospicui ritrovamenti archeologici, avvenuti nel fondo valle, in epoca romana Casalzuigno era sicuramente una località d’importanza primaria, ma per quanto riguarda i toponimi di origine medioevale Sovinium e Civignium mi permetto di sollevare qualche perplessità, in quanto sono presenti in documenti redatti da funzionari che sicuramente non erano in grado di capire la pronuncia tipicamente gallica, in uso nel nostro territorio, pertanto preferisco usare come riferimento il dialettale “Sciuign”, comparabile anche con il latino desueto sϋis, sinonimo di suino, quindi come il “Suiàa”, di Cassano Magnago, quindi Sciuign sarebbe un epiteto rivolto da Teodolinda a un luogo dove si adorava il cinghiale, del resto, la presenza dei galli è ancora testimoniata dall’esistenza di una via chiamata “Sciareda, si tratta di un toponimo formato dai sinonimi gallici di: re e domatore, ed Il fatto che la strada parte dal fondovalle e risale la montagna fino al centro dell’abitato, mi fa pensare che si trattava di un sentiero utilizzato dagli allevatori, per portare i cavalli sacri ad abbeverarsi lungo fiume sottostante.
Ciò richiama la tradizione germanica, forse trasmessa anche ai galli norreni, di trarre le profezie dal nitrito dei cavalli bianchi, un compito che tra i germani veniva spesso svolto da sacerdotesse, un’ipotesi che ci riporterebbe all’origine del toponimo “Vecchia Megera”.
L’insediamento romano mi permette di ipotizzare anche la presenza di un tempio sacro a Minerva della quale la Scigueta (civetta) era l’uccello sacro, quindi la megera di Arcumeggia poteva essere la dea romana.
Da considerare anche il fatto che Casale, come Casorate e Casone, nel linguaggio primitivo dei celti indicava un tempio evidentemente dedicato alla dea della civetta
Da Cittiglio, la medioevale “Cistellum”, toponimo derivato dal tiglio, albero sacro alla fertilità femminile, si snoda un antico sentiero, che senza scendere a valle collega tutte le località poste sul versante ovest della vallata, così dopo Brenta Casalzuigno e Arcumeggia arriviamo a Duno, il cui nome è originato dal celtico “dunum” =” fortezza”, da Duno situata su un ampio altipiano, si sale al monte San Martino, la vetta del quale è uno splendido ambone su tutta a valle, e non a caso sulla cima troviamo una chiesa medioevale consacrata al santo, ma costruita sui ruderi di un tempio di Giove, ovviamente anche questo tempio è stato preceduto da un luogo sacro a Bel o a Lug.
Infatti su una collina situata alle pendici del monte San Martino, c’è Cassano Valcuvia, un altro toponimo originato da una quercia sacra
A Cassano Valcuvia troviamo anche una località chiamata “Cà di Rocc”, una corruzione dialettale, che dovrebbe indicare una casa di pietre o una roccaforte abitata, infatti si tratta di due edifici antichi in pietra, trasformati in villa di lusso.
Gli edifici in questione oltre a dominare la valle sottostante sono posti in un punto in cui il sentiero per girare attorno alla montagna deve obbligatoriamente accostarsi alle loro mura, dalle quali è quindi possibile effettuare un rigido controllo sui passanti.
Dove la Valcuvia diventa Valle Travaglia e declina verso Luino seguendo il corso del torrente Margorabbia (un idronomo che indica l’origine paludosa del corso d’acqua associando due sinonimi di palude, l’indoeuropeo morga e il ligure bracum), c’è Brissago Valtravaglia, (forse Brisach) per i liguri il cui prefisso “Bri conferma che si tratta di un altro paese posto in altura, mentre il suffisso “ago” deriva dal ligure “lach”, sinonimo di “lago”, quindi Brissago è il sinonimo di sopra il lago.
Di fronte a Brissago sempre in altura troviamo Bosco Valtravaglia, e Montegrino, luogo dove ci sono stati ritrovamenti di incisioni rupestri, a testimoniare l’importanza religiosa della collina e del bosco, per il toponimo Montegrino è da prendere in considerazione una comparazione con lo spagnolo “grieco”, il francese e il lombardo “grec” sinonimi di “greco”, quindi la montagna dei greci, toponimo nato dopo la romanizzazione, quindi si può pensare che i fondatori fossero cristiani, non a caso il patrono della località è sant’Ambrogio.
Ai piedi delle salite che portano a Montegrino e in val Ganna, c’è “Grantola”, un altro toponimo di provabile origine romana, in quanto il prefisso “Gran” fa pensare al latino “granum”, mentre il suffisso “tola”, è sinonimo dialettale di scatola di latta, continuato dal francese “tôle”, = “latta” o “lamiera”, ma anche “prigione”, da considerare anche “tôlage” rivestimento in lamiera, quindi granaio ricoperto di latta.
Il significato di granaio è confermato anche dal latino antico grangiarius, poi diventato grange in francese e grangia in italiano.
A ciò si aggiunge l’esistenza di antiche mura, resti di un poderoso castello, poi distrutto dai lanzichenecchi, il quale con ogni provabilità fungeva proprio da granaio, per proteggere il raccolto dalle invasioni dei vicini elvezi.
Grange è un aggettivo diffuso dai monaci cistercensi, i quali si insediavano nelle antiche strutture distrettuali romane, fondando delle fattorie e luoghi di ristoro per i viandanti sacri a san Bernardo (da ciò il termine francese grange), non a caso il regolamento dell’ordine cistercense prevedeva che le grange dovevano sorgere alla distanza di un giorno di cammino l’una dall’altra.
Da citare anche l’origine celta del toponimo Brinzio, un luogo situato in altura in riva all’omonimo laghetto dove si incrociano due strade che salgono dalla val Cuvia in direzione della Motta Rossa, e poi Varese.
La strada che sale da Cassano Valcuvia Per raggiungere Brinzio attraversa una località chiamata Rancio Valcuvia, in dialetto diventa “Ranch”, il cui sinonimo inglese ci porta all’indoeuropeo “accampamento Militare”.
Luino, posta in riva al lago ai piedi di un gruppo montuoso che comprende anche il monte Tamaro, deve il suo nome a Lug, ma le sue origini sarebbero nella frazione di Poppino, un toponimo comparabile al greco “pèpon”, sinonimo di: “cotto dal sole”, infatti Poppino si trova su un altipiano fortemente irraggiato dal sole, ciò è confermato anche dallo stemma della città, dove tra gli altri appare un castello su un piano verde con un cigno sulla sinistra, considerando che il cigno è l’uccello sacro del dio solare, si può ritenere che Poppino era una città fortificata sacra a Lug il Lucente, o a un'altra divinità solare; da considerare anche il greco bizantino “pope” sinonimo di “padre”.
Dopo Luino la città sacra a Lug, si continua per Maccagno, posta all’imbocco della valle Veddasca, etimologicamente il toponimo Maccagno sembra composto dai sostantivi latini “maccus” e “banium”, vale a dire mocco e bagno quindi osservando che siamo alla foce del fiume Giona le cui acque scendono dal monte sacro Tamaro, ipotizzare la presenza a Maccagno di un luogo sacro dove la gente si purificava nelle acque del Mocco (Lug).
La val Veddasca è un vero e proprio museo all’aperto della cultura vedica, in quanto per via della sua asprezza non è stata mai attaccata da eserciti cristiani, pertanto contrariamente a quanto successe sul Campo dei Fiori, le incisioni rupestri si sono conservate fino ai giorni nostri.
Se il toponimo Veddasca è un preciso riferimento alla religione Veda, il torrente che la percorre porta il nome del profeta Giona, forse il nome camuffato di Giove, in quanto le sue sorgenti sono sul monte Tamaro, omonimo del monte greco sul quale è situata Dodona, sede dell’oracolo di Zeus, al quale si rivolgevano anche i romani.
Un altro indizio sulla sacralità della valle Veddasca e del monte Tamaro è la località di Indemini, il cui toponimo si fonda sul nome di Indra poi storpiato in epoca cristiana con l’aggiunta del sostantivo “demone”.
Posta nei pressi del passo del Neggia, dove inizia il sentiero che sale sulla cima del Tamaro, Indemini era sicuramente abitata da un gurù vedico.
Anche il toponimo Neggia è un etimo di origine antica e dovrebbe indicare la nebbia, nella quale si manifestano gli dei, oppure un luogo nascosto dalle nuvole.
Infatti il passo del Neggia si affaccia sul lago Maggiore, sul quale nelle ore più calde del giorno si formano le nuvole temporalesche, note come Cumuli per la loro altezza, le quali si ergono dai 2000 metri fino a oltre i 12000 di altezza, e siccome il Tamaro è alto 1960 metri la sua cima viene regolarmente coperta da questi cumuli, che scaricano su di lei, sotto forma di fulmini, le particelle elettriche che contengo, fenomeni che hanno conferito alla cima un aspetto brullo e spettrale.
Quindi il fenomeno ha indotto i primitivi a credere che il dio dei fulmini Indra, poi divenuto Giove, Zeus, o il celtico Taranis, scendeva sul monte Tamaro per poi passare sul monte Gradiccioli, il quale deve il suo nome al fatto di essere la cima più vicina al monte sacro, e leggermente più bassa (1930m), per cui diventava il gradino, o il piolo che il dio scendeva prima di assumere le sembianze del torrente Giona e scorrere a valle.
Ovviamente tutto ciò è riconducibile alle tradizioni dell’età del ferro, secondo le quali il dio dei fulmini liberava le acque imprigionate sui monti dai demoni malvagi.
Pertanto è da ritenere che insubri e romani celebrassero in valle Vedasca dei riti in onore del dio dei fulmini, per invocare la pioggia.
Il toponimo Veddasca contiene il suffisso “asca”, che con “asco”, a mio parere, come abbiamo già visto (Campo Farasco di Gallarate), sono il sinonimo maschile e femminile di nascosto, o come gli ascaridi potrebbe significare “dentro”, quindi Veddasca indicherebbe un oracolo vedico nascosto, poi sostituito da Giove, significativo di ciò è anche il toponimo Monte Viasco, l’unico paese italiano non raggiungibile dalle automobili, il quale sarebbe il sinonimo “Monte Nascosto” com‘è il Tamaro, la cui cima pur essendo la più alta è nascosta dalle sommità circostanti, da citare la Gradiccioli sulle pendici del quale sorge Monteviasco, il Gambarogno, il Magino, con l’alpe Magino, il Lema.
Da citare la località Sarona, dal greco “Saronico” nome di un golfo greco (Attuale Egina), che prendeva il nome dai querceti che lo adornavano (Plinio il Vecchio) a Sarona si trova una cappella cristiana sul cui basamento sono incise delle coppelle di origine celta.
Da Luino partiva un antico sentiero oggi in parte coperto dalla provinciale n°6 il quale dopo aver attraversato Poppino Dumenza e Agra e seguito il costone sud della valle Veddasca, lungo le pendici del Lema e del Magino, fino a Viasco, dove finisce la strada asfaltata e si prosegue a piedi, risalendo il Gradiccioli per raggiungere Monte Viasco e da lì il Passo del Neggia per poi scendere nella piana di Bellinzona e proseguire verso i valichi alpini.
Lungo questo antico sentiero trovo interessante il toponimo Dumenza, in quanto la sua origine sarebbe celtica.
Infatti al prefisso “Du” che potrebbe significare due, segue la radice “menza”, che potrebbe portare al latino “Mens”, o “Mensis, sinonimi di mente quindi pensiero, pertanto potrebbe fare riferimento a un luogo di culto dove c’erano due sacerdoti o due mezzane, ipotesi continuata anche dal toponimo della frazione Due Cossani la quale farebbe riferimento a due querce sacre o a due sacerdoti chiamati Cossano, perché celebravano i riti della quercia.
Possiamo pensare anche a mensa etimo originato dal sanscrito “Màns” sinonimo di carne, da cui anche manzo e forse ipotizzare anche la presenza di due manze totemiche.
I centri spirituali potevano essere considerati come mense sacre, i quanto la carne degli animali sacrificati veniva distribuita ai fedeli, così come l’eucarestia tra i cristiani.
Un esempio ce lo fornisce Omero nell’iliade nel quale ci racconta del sacrificio compiuto da Ulisse sull’isola di Crisa per farsi perdonare da Apollo (Ilios per i troiani) della profanazione compiuta dagli elleni al suo tempio.
Questi riti, giudicati profani dal cristianesimo, in realtà costituivano la naturale redistribuzione dei profitti di una società che pur riconoscendo il diritto alla proprietà privata, si fondava sul collettivismo, per cui tutti partecipavano all’allevamento degli animali e alla coltivazione delle terre, i quali erano sacri agli dei, e quindi i frutti del lavoro della comunità venivano redistribuiti al popolo con queste cerimonie.
In questo ci viene in aiuto il nome della vicina Agra derivato dal romano “Ager”, cioè demanio pubblico, e si accorda con un documento del 700, con il quale re Liutprando donò le terre della Valtravaglia e della valle Dumentina al monastero di San Pietro in Ciel D’Oro di Pavia.
Liutprando che il cristianesimo definì il più grande re longobardo, in realtà abolì tutti gli Ager pubblici, donandoli agli istituti religiosi, affamando di fatto non solo gli ariani più ostinati e i longobardi, ma tutto il popolo italiano.
Quindi il toponimo Dumenza indicava due luoghi di culto dove si celebravano riti e banchetti in onore di due divinità ariane, forse il primitivo Elios (Ilios per i troiani) e il gallico Lug, mentre Agra costituiva l’Ager pubblico che forniva il sostentamento della comunità
Sempre a Dumenza sono state ritrovate due mensole in pietra ornate con volti umani che gli esperti hanno datato la loro origine al IX, o X secolo, il che mi fa pensare a una continuazione cristiana con il culto di due santi al posto delle divinità ariane
Da segnalare l’altra frazione “Runo” un toponimo che fa riferimento all’ariano rosso dove è presente una torre medioevale trasformata in campanile, e una chiesa consacrata a san Giorgio, un santo adottato dagli ariani convertiti che lo hanno paragonato a Lug uccisore di draghi
Significativo è anche il toponimo Magino il quale ci indica il monte sul quale al primo maggio veniva acceso il fuoco di Beltaine in onore del dio sole, più complicato è invece ricostruire l’origine del nome del monte Lema.
Etimologicamente Lema è affine al nome del lago Lemano, meglio conosciuto come lago di Ginevra o di Losanna, due toponimi che anticamente indicavano la regina, in quanto il nome Losanna sarebbe originato dalla fusione tra l’articolo los e il nome della regina, Anna Perenna.
Oggi nella lingua iberica los ha il significato di il, ma ai tempi di Anna Perenna nel linguaggio primitivo avrebbe potuto avere un senso meno compiuto.
In oltre il lago ha una forma di mezza luna, un simbolo della Grande Madre Natura, quindi il riferimento mi sembra valido anche per il monte Lema, il quale è collocato di fianco alla Montagna del sole (Magino), e domina il lago Ceresio, un altro idronimo che si riferisce a una divinità della natura, Cerere, che ha sostituito la primitiva Anna Perenna.
Da notare che nel dialetto locale la montagna è chiamata: “La Lema”, forse un’antica forma tribale per indicare la luna
Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, Capitolo X
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