Pagina aggiornata il 17/03/2024
Como
Nelle mie letture noto che geografi e linguisti quando parlano della provincia di Como la identificano con la Brianza, mentre invece proprio per gli effetti della ritirata sulle colline da parte degli insubri, Como, con tutto il territorio a destra del lago, del Seveso e dell’altipiano prospiciente il triangolo Lariano, costituiscono il comasco e fanno parte del Seprio, e si parla il dialetto specifico del Seprio, mentre la Brianza allora abitata dagli Orobi, si estende tra la valle del Seveso e l’Adda a sud del triangolo Lariano.
Ritrovamenti archeologici a parte, dei quali come al solito non posso aggiungere niente, se non segnalare la particolarità della sorgente “Mojenca”, situata a Como in località Rondineto, in quanto i golasecchiani l’hanno monumentalizzata, costruendo due muri laterali per una lunghezza di circa 15 metri e poi ricoperti con dei lastroni, la particolarità della sorgente consiste nel fatto che i raggi solari arrivano ad illuminare il fondo del tempio, dove è posto un grosso masso che fungeva da omphalos, solo al solstizio d’inverno, il 21 dicembre, forse si voleva simboleggiare l’incontro del dio sole con la Grande dea Madre.
Ma uno studio astronomico di Adriano Gaspani “La cultura di Golasecca, Sole, Luna e Stelle dei primi celti d’Italia” (1999), dimostrerebbe che con il solstizio d’inverno il sole non sarebbe allineato con il fondo del tempio, mentre invece sarebbe la luna ad allinearsi con la sorgente durante il lunistizio, un evento che si verificherebbe una volta ogni 18 anni e sei mesi; è difficile attribuire un significato rituale ad un ciclo di tempo così lungo, ma in ogni caso quel luogo era sicuramente sacro a una grande dea madre lunare.
Ma sarebbe interessante conoscere anche uno studio astronomico su un eventuale allineamento del pianeta Venere il quale era il più individuato con le divinità materne.
Un evento simile si manifesta anche nelle isole Ebridi (Scozia), in un monumento megalitico (3000 a.C.), situato a Callanish (Calanais in gaelico scozzese), dove seguendo lo stesso ciclo temporale della Mojenca, la luna si allinea con alcune pietre del monumento.
Ma i culti solari avevano tutti una tradizione in comune, “la morte del sole al “solstizio d’inverno 21 dicembre” e la sua resurrezione dopo tre giorni, l’alba del “24 dicembre”, quindi la sorgente potrebbe simboleggiare la rinascita del sole, pertanto servirebbe uno studio astronomico che verifichi l’allineamento del sole con le sorgenti, tre giorni dopo il solstizio d’inverno, quando inizia il nuovo ciclo solare chiamato anno.
Anche se in modo rudimentale il santuario della Mojenca si accosta alla tradizione delle sorgenti monumentali sacre della Sardegna, dove se ne contano almeno una cinquantina, attorno alle quali, in modo megalitico, la civiltà nuragica ha costruito dei templi sotterranei, protetti da mura poderose e ampie scalinate che consentono l’accesso nelle profondità della terra.
Bisogna però ricordare che nella tradizione vedica i fiumi sacri erano tre, uno cosmico, uno terreno e uno sotterraneo; questa tradizione è continuata ancora oggi dall'induismo con i tre Gange.
Il fatto che questo tempio ligure sia sopravvissuto fino ai giorni nostri potrebbe essere dovuto al fatto che fosse frequentato anche dai romani, in quanto molti militari, Elena, Costanzo e Costantino compresi, erano seguaci del culto di Mitra, i cui riti, per tradizione erano celebrati in grotte o catacombe scavate nella terra, come infatti avveniva per la rinascita del sole il 24 dicembre.
Etimologicamente, Mojenca è comparabile con il francese "moyen" sinonimo del sostantivo latino "medium", il quale si adatta perfettamente a un luogo sacro, mentre la radice “enca”, sarebbe all’origine del francese “enclave”, sinonimo di chiuso, quindi “Mojenca” indicava il "tempio del medium".
Voglio citare anche il greco “enkòmion”, (discorso pronunciato) “en”, (durante un) “kòmos”, (banchetto), il che potrebbe essere messo in relazione alle funzioni di un tempio, dove si celebrano le lodi degli dei e si consuma il cibo a loro consacrato, in pratica l’eucarestia dei cristiani; in questo caso abbiamo trovato un'altra ipotesi sull’origine del nome di Como in “Kòmos”, cioè luogo dove si celebrano gli dei.
Nel quartiere di Como: “Breccia” è stata ritrovata una stele votiva dedicata al dio “Paronno”, da un tale “Marco Masclio Massimo”, considerato che la stele è incisa in lingua etrusco leponzia ed è databile al 450 a.C., escludendo che, prima della romanizzazione un leponzio poteva chiamarsi Marco Masclio Massimo, si tratta sicuramente di un mercante etrusco, oppure romano, il quale trovandosi tra i leponti, per accattivarsi i favori della classe sacerdotale, ha inciso la stele in una lingua della quale non aveva la completa padronanza.
Non è mai esistita una divinità chiamata Paronno, per assonanza posso compararla a Saronno e a Caronno, i quali potrebbero derivare da uno dei nomi greci della quercia, Saronico.
Da aggiungere che la parrocchia di Breccia è dedicata a San Cassiano, e la sua esistenza risulta già attestata nel XV secolo, non troppo casualmente nella vicina Camerlata la parrocchia è dedicata a San Carpoforo e a Santa Brigida, alter ego di Melusina la fata con la coda serpentina della tradizione celtica, una parrocchia sacra a Santa Brigida la troviamo anche a Ponzate, frazione della vicina Tavernerio, nei pressi di Albese con Cassano.
La chiesa di santa Brigida si può mettere in relazione con gli insubri anche per la dedica a san Carpoforo, in quanto Carpoforo era un santo guerriero, appartenente alla legione Tebana, martirizzato proprio nel luogo dove ora sorge la chiesa, pertanto era adorato anche dai celti.
Tante omonimie di divinità celte, venerate nel territorio di Como possono essere solo la dimostrazione del grande attaccamento dei celti comaschi alle loro tradizioni che si sono tramandati per secoli, nonostante la santa inquisizione.
In merito alla grande insistenza dei cattolici nel voler negare in Santa Brigida la continuazione del culto della fata Melusina, voglio ricordare che la data di nascita di Santa Brigida d’Irlanda 451 d.C., rende impossibile ogni forma di negazionismo, in quanto a quel tempo l’Irlanda era ancora ariana, ed il fatto che le tradizioni vediche si sono conservate per molti secoli ancora, può solo confermare la sovrapposizione del culto.
Sempre a Como, nella frazione Grandate troviamo un’altra traccia del culto degli alberi con il santuario della Madonna del Noce, nei pressi del quale sono state ritrovate sepolture di epoca pre romana.
Il noce è l’albero sacro a Dionisio (antica divinità pre romana), in quanto dopo la morte trasformò l’amata Caria in noce; in seguito a questo evento la divinità lunare Artemide, assunse la manifestazione di Artemide Caria, una tradizione che con i Misteri Dionisiaci (baccanali in onore di Dionisio), nel medio evo favorì la convinzione, che le streghe celebrassero i loro Sabba sotto ai noci nelle notti di luna piena.
L’etimologia dell’idronimo Lario deriva dal latino “Larus”, nome comune per indicare gli uccelli appartenenti alla famiglia dei lariformi, vale a dire i “gabbiani”, volatili la cui presenza sui nostri laghi è abbondante.
Sul toponimo Como sembra che siano tutti d’accordo nell’attribuire l’origine al nome personale celtico: Komu; ma considerando che Como ha sostituito la cultura di Golasecca, è impossibile che a quei tempi, nella nomenclatura i nomi dei re fossero preferiti a quelli degli dei o della natura, in oltre la radice Como, la troviamo come prefisso anche nel toponimo Comerio e nell’idronomo Comabbio, due nomi sempre in relazione con un lago.
Oltre al già citato “Komos” luogo dove si celebravano sacrifici, l’origine del nome Como andrebbe ricercato nel celtico “cam”, = “curva” o “ricurvo”, continuato dal gallico “kuma”, con il significato di “seno”, quindi potrebbe essere un riferimento al litorale ricurvo, che forma un golfo, da cui anche la figura di un seno, “kuca” nella forma sanscrita, da confrontare anche con il greco “kônos” sinonimo di: “cono”, termine che farebbe riferimento alla collina di San Fermo, oppure dalle colline circostanti, che ai giorni nostri hanno una forma di cono appiattito, con le colline di Grandate e Montorfano che viste nella giusta prospettiva possono apparire come un seno gigantesco.
A Como è rimasta la memoria del Prà “Pasquee”, un altro pascolo sacro, che nel Medio Evo divenne pascolo per i cavalli, si tratta dell’attuale parco pubblico situato in riva al lago.
Sulla riva occidentale del lago di Como c’è Cernobbio, il cui toponimo ci conduce al dio della fertilità Cernunnos.
La città sorge ai piedi del monte Bisbino, il cui toponimo è un doppio riferimento a qualcosa di binario o duplice, del quale non si vede il soggetto.
I primi 4 Km della salita che conduce alla vetta, sono costituiti da tornanti, che scorrono tra una miriade di ville affacciate a strapiombo sul lago, una volta giunti alla frazione Rovenna, la strada incomincia ad inoltrarsi all’interno della montagna.
La posizione strategica di Rovenna è quella tipica dei villaggi preistorici fortificati, mentre il bassopiano di Cernobbio si sarebbe antropizzato solo in epoca Romana, quando il pericolo di attacchi o saccheggi era ridotto ai minimi termini.
Il toponimo dialettale “Ruena”, potrebbe significare “Anna Rossa”, e fa sicuramente riferimento alla Grande Madre, forse la Gallica: Morrigan Rossa, la regina delle paludi e dei laghi.
Proseguendo nella salita, 6 Km prima della vetta si arriva alla frazione di Madrona, un toponimo che fa riferimento a una matrona, forse una precedente protettrice dei pastori come la ligure Belisama, in quanto il luogo per la sua posizione era sicuramente un rifugio di pastori
Infine sulla cima della montagna troviamo il santuario della Madonna del Bisbino, un edificio del XV secolo costruito sopra a una cappella preesistente, e quindi lo possiamo ritenere la continuazione di culti più antichi.
Quindi si può dedurre che il toponimo Bisbino indicasse una montagna sacra a due divinità tribali contemporanee di pari importanza, come la Morrigan dei galli e la Belisama dei liguri, due popoli continuatori di un’unica cultura primordiale, e quindi in grado di coesistere pacificamente.
In particolare sul monte Bisbino merita attenzione la grotta della Volpe, sia per la sua ampiezza che per la presenza di una sorgente, il che la rendeva particolarmente sacra, in quanto nell’immaginario indoeuropeo, le grotte con al loro interno una sorgente, venivano identificate come l’utero della Grande Madre Terra, tanto che, le donne venivano fatte partorire in quei luoghi.
Da sottolineare che nella tradizione norrena, si credeva che la Rossa Morrigan si accoppiava con il Dagda, rimanendo a cavallo di una sorgente.
Da ciò si può supporre che il toponimo Volpe si riferisse proprio alla Morrigan.
Al confine sud est di Tradate, dopo aver attraversato una sontuosa pineta, situata su un ampio altipiano, troviamo Appiano Gentile, un toponimo che visto il territorio che lo circonda, non ha bisogno di traduzioni, qui sono state ritrovate numerose tracce della cultura di Canegrate e Golasecca, luoghi di culto che potrebbero rappresentare una sovrapposizione cultuale sono la chiesa della Fontana, edificata nel 600, sui ruderi di una chiesa più antica sacra a san Michele Arcangelo e la località di San Bartolomeo al Bosco.
Situata su una collina a nord di Appiano Gentile c’è Solbiate Comasco, anche qui non ci sono tracce del passato, quindi trattandosi di una località situata in collina è plausibile l’ipotesi solco, ma il sole diventa preponderante se si osserva lo stemma cittadino, infatti appare un bue sormontato dal sole e da un mazzo di spighe, un forte riferimento alle tradizioni ariane, e alla sacralità del sole e del Bue, al favore dei quali si deve il sacro raccolto, ma mi sembra preponderante l’ipotesi di un campo sacro, dove il raccolto era destinato a una mandria di buoi sacri al sole.
A monte di Como, lungo la fascia di confine con la Svizzera ci sono numerose località degne di essere elencare, primo fra tutte San Fermo della Battaglia, così chiamata dopo la battaglia del 27maggio 1859 nel corso della quale Garibaldi sconfisse gli austriaci; in precedenza si chiamava Vergosa, un toponimo il cui prefisso ci porta ai Vertemocori di Vertemate, o a un ontano sacro, mentre la radice “gosa” sarebbe una corruzione di “gora” o sgorga, con riferimento alle sorgenti e all’alta valle del Seveso.
Infatti, a monte di Vergosa c’è Cavallasca, situata ai piedi del monte Sasso o Sasso di Cavallasca, un toponimo di chiara origine leponzia, il cui suffisso richiama l’aggettivo femminile leponzio: “nascosta”, mentre la radice “cava” ci indica una caverna nascosta dove si celebravano riti religiosi.
È impossibile non sottolineare l’importanza storica del paese, sulla cui collina sorge il Seveso; infatti se Montano è un nome palesemente Italiano “Lucino”, originato dalla frazione “Lucinasco”, è un preciso riferimento a un tempio o a una sorgente sacra a “Giunone Lucina”, che per i romani era la protettrice dei parti, quindi è possibile che presso la sorgente del Seveso ci fosse un tempio a lei dedicato, meta di pellegrinaggi da parte delle partorienti invocanti l’aiuto divino, gli storici antichi raccontano della intensità delle invocazioni durante il parto, che in alcuni casi portava all’auto ipnotismo, considerando l’alto rischio di morte durante il parto, mi sembra comprensibile il fatto che le donne di allora si attaccassero disperatamente alla speranza divina.
Ovviamente in precedenza le sorgenti del Seveso, erano sacre alla “Dea Madre”, dei galli, “Sequana”, un nome che etimologicamente potrebbe significare “la regina che taglia (il cordone ombelicale)”, forse originato dalla stessa radice etimologica del latino “secare” sinonimo di:” tagliare”; a Sequana erano sacre le sorgenti della Senna, alla quale dà il nome.
Prima di arrivare a Montano Lucino, si scavalca una fascia collinare che si distende da nord, verso sud, sulla cima della quale è posta la località di Villa Guardia.
Si tratta di un comune istituito nel 1928, nato dalla fusione delle amministrazioni comunali di Maccio e Civello, ma non trovo riferimenti che mi possano spiegare l’origine del toponimo attuale, se non nell’antica presenza di un “Castra Praetoria” romano in funzione del quale si è tramandato il toponimo che indica la casa delle guardie.
Maccio è un toponimo di origine celtica, la cui origine si presta a molte interpretazioni, la più provabile può essere Mocco, con riferimento a Lug mentre Civello è palesemente di origine romana e fa riferimento alla civetta, l’uccello totemico della dea Minerva, pertanto, tenendo presente l’esistenza di un castello, nel quartiere romano e considerando che il sito domina la valle del Lura, lungo il quale anticamente passava una via che metteva in comunicazione il Mendrisiotto, il Ceresio e il nord est lombardo svizzero con la strada che conduce al passo del Sempione, passando per Mozzate e Fagnano Olona, e che da Villa Guardia passava e ancora oggi passa la strada che collega Como con Varese.
Quindi possiamo ipotizzare che in epoca romana Villa Guardia era un importante crocevia, pertanto c’era sicuramente un “Castra Praetoria”, sulle fondamenta del quale è poi sorto l’attuale castello.
Rimanendo sulla fascia collinare, che funge da confine con la svizzera, troviamo un colle sul quale è situato Dezzo, “Drez”, in dialetto, il nome del paese è comparabile al greco antico “Drys”, sinonimo di quercia”, quindi possiamo pensare a una collina sacra a un dio della quercia, forse Summano, dato che nella toponomastica del territorio abbondano i riferimenti al dio umbro delle cime.
Tra Drezzo e Cavallasca troviamo Parè, un altro toponimo comparabile a una voce della lingua greca “parà”, sinonimo di: “presso”, forse il riferimento è nei confronti del colle sacro di Drezzo, o della sorgente sacra a Giunone Lucina.
Scendendo la riva del Seveso, oltrepassato Grandate si arriva alla località “Prato Pagano”, un toponimo dovuto ai ritrovamenti archeologici risalenti all’età del bronzo, in un’area facente parte del comune di Casnate con Bernate, due toponimi di origini diverse, infatti il nome di Casnate (Casnà), deriverebbe dai celti: “Cassanos”, oppure “Castanos”, mentre Bernate (Bernà) potrebbe indicare una sorgente, da ricordare l’indoeuropeo bear, sinonimo di orso il che farebbe riferimento ad Artios, la matrona che domina la frana e l’alluvione, oppure come da tradizione bizantina, indicherebbe due villaggi riuniti.
La vecchia strada Canturina, che collega Como a Cantù, nell’attraversamento di Senna Comasco prende il nome di via “Selva Regina”, che mantiene fino in centro a Cantù, il fatto che siamo a Senna Comasco e sulla riva del Seveso, la:” Selva Regina” può essere solo un bosco sacro a Sequana, dalla quale prende il nome la località.
Oltrepassato Prato Pagano si arriva a Luisago, antica frazione di Fino Mornasco, anche questo toponimo con il suffisso “ago”, fa riferimento a un lago, mentre il prefisso sarebbe una corruzione di “Lug”, quindi un lago sacro a Lug, un riferimento all’antica palude che si estendeva da Fino Mornasco fino ai piedi delle alture dove ci sono le sorgenti del Seveso.
L’aggettivo Mornera è all’origine del toponimo Mornasco, il cui suffisso asco oltre a tradire l’origine leponzia del toponimo, ci fa intendere la presenza di una palude nascosta, mentre Fino deriverebbe dal latino “finis” ovvero: confine, forse con la terra degli orumbovi, alleati dei romani.
Infatti gli orumbovi potevano attaccare il territorio degli insubri dall’alto, passando per l’alta Brianza, quindi Fino Mornasco poteva essere il caposaldo di un’altra linea fortificata che partiva dal monte Boletto e sfruttava gli ostacoli naturali del Monte Orfano e del relativo lago, per passare poi a monte della valle del Seveso e arrivare a Fino Mornasco.
Alle falde del monte Boletto troviamo il borgo antico di Albese con Cassano; si tratta di due villaggi antichi che hanno subito una fusione amministrativa ma i due toponimi mantengono le caratteristiche primitive, infatti, Albese con il suo prefisso alb, ci indica un villaggio posto in una posizione elevata Mentre Cassano fa riferimento a una quercia sacra provabilmente posta al centro di una piccola landa dove ancora oggi esiste l’antica chiesa di San Pietro, costruita in stile romanico nel XV secolo, sui resti di una chiesa del X secolo mentre il campanile pendente è gemello del San Maurizio di Cassano Magnago, in quanto il basamento risale all’epoca romana, anche qui, considerando che la visuale verso sud della torre è coperta da una collinetta, l’unica utilità strategica della roccaforte poteva essere rivolta verso chi attaccava partendo dal territorio degli orumbovi.
Gli storici raccontano che, in previsione di un attacco degli orumbovi e dei veneti, gli insubri dovettero trattenere oltre cinquantamila uomini lungo questa linea “Polibio Storie”.
Della linea di confine insubre faceva parte anche Senna Comasco, località fondata dai galli senoni, provenienti appunto dalle rive della Senna.
A valle di Fino Mornasco, troviamo Vertemate con Minoprio, per Vertemate si può ipotizzare uno dei nomi gallici dell’Ontano, “Vernos”, quindi si può pensare anche alla presenza di una tribù di vertemocori.
È assai improvabile trovare delle miniere sulle colline moreniche, ma la valle del Seveso è abbastanza profonda da mettere in vista tutti gli strati geologici fino a quasi cento metri sotto il piano collinare, un esempio di ciò lo troviamo nelle vicinanze, ai “Corni di Canzo”, dove uno dei corni esponendo alla vista la parete verticale sud, ci permette di vedere il cuore della montagna composto da roccia effusiva mentre lo strato che la ricopre è roccia calcarea.
Da considerare che come Pombia nella valle del Ticino, anche lungo il Seveso, lo scorrimento dei ghiacciai può aver trasportato a valle del materiale ricco di metalli pregiati.
Di fronte a Vertemate sul versante est della valle troviamo Cantù, il cui nome e quello dei suoi abitanti “Canturini”, mi fanno pensare ai “Caturigi”, una tribù insubre, che secondo Tito Livio, avrebbero abbandonato l’Insubria per allearsi con gli orobi, quindi possiamo ipotizzare che i vertemocori abbiano occupato il territorio abbandonato dai caturigi.
Ai piedi dell’altipiano di Vertemate, c’è il primo terrazzamento che incontra chi provenendo da sud viaggia verso Como, sul margine sud est dell’altipiano e in posizione dominante sulla sottostante valle del Seveso c’è Cermenate, il caposaldo est della linea difensiva insubre; partendo dal toponimo dialettale: “Cermenàa”, si può pensare a un cerro, o al riferimento un paese: “ker”, mentre la radice “menàa” pronunciata “menæ”, potrebbe essere una corruzione di “menir”, cioè “pietra sacra, quindi il toponimo Cermenate indicherebbe o un cerro o un paese sopra al menir, ciò è suffragato anche dalla località Parmont, il quartiere più alto e più antico di Cermenate, dove troviamo l’antichissima chiesa di san Vincenzo; Parmont è un toponimo che ci riporta alle tradizioni dei luvi e del monte Parnassos, con la radice “Parna a indicare la sacralità del luogo e il suffisso dialettale Mont”, a specificare che si tratta di una montagna, quindi un’alta testimonianza del legame religioso dei liguri proto celti e i minoici o luvi, pertanto il toponimo Cermenate indica un cerro sacro su una collina.
Da sottolineare anche il fatto che il luogo è raggiungibile percorrendo una via antica chiamata via Montebello, e dalla statale dei Giovi che in quel tratto è denominata via Montesordo.
Da citare Montparnasse, un’antica collina di Parigi posta in riva alla Senna poi demolita nel XVIII secolo per costruire l’attuale quartiere che ne ha conservato il nome.
Gli studiosi di allora la consideravano sede di culti antichi collegati alle tradizioni del monte Parnaso, dal quale prese il nome.
Sicuramente si trattava di una Motta Rossa artificiale dove si celebravano culti indoeuropei.
A ovest di Cermenate, affacciato sulla pianura e sulla valle del Lura c’è Bregnano, il cui nome indicherebbe una località sopra a una palude come poteva essere la valle del Lura.
Al vertice nord di un altipiano che si insinua tra le colline comasche e la valle del Seveso e ai piedi della collina di Fino Mornasco troviamo Cadorago, “Cadurag” in dialetto il cui nome potrebbe relazionarsi con quello dei Caturigi, ma etimologicamente è comparabile anche con il toponimo “Cadore”, al quale alcuni linguisti attribuiscono il valore di “catu”, = “battaglia”, che con il suffisso “ag” originato dal sinonimo ligure di lago ci indica un lago o palude dove si è combattuta una battaglia, quindi il toponimo Cadorago indicherebbe un luogo nella valle del Lura, dove i romani potrebbero aver attaccato la linea fortificata degli insubri.
Lo stemma della città ci mostra una chiesa, una stella a otto punte e una quercia sradicata, il che farebbe pensare al latino “orem” oppure “orare”, sinonimi di prego o pregare, quindi il toponimo indicherebbe una casa dove pregare, ma la quercia sradicata fa pensare al culto di una divinità della quercia sotto la quale i druidi nascondevano il tesoro del dio, quindi la stella potrebbe rappresentare il tesoro o forse la divinità gallica Lug il quale era chiamato: “Il Lucente”, appunto come la stella che appare nello stemma, ma la stella potrebbe riferirsi anche alla romana Venere o a una divinità femminile celtica.
Da considerare anche il greco “òros”, sinonimo di monte, che nella lingua dei celti darebbe al toponimo di Cadorago il significato di casa o luogo fortificato sul monte.
La frazione di Caslino al Piano è chiaramente un quartiere di origine romana posto a sud di Cadorago, quindi leggermente più in basso.
Caslino, Casliì in dialetto sembra un diminutivo di Caslana che troviamo a Busto Arsizio, quindi dobbiamo suppore che indichi una quercia o un piccolo tempio al centro del piano, come indica il secondo nome del paese, quindi sarebbe un riferimento alla quercia presente nello stemma di Cadorago.
Infatti a Caslino c’è da segnalare la sorgente di acqua minerale San Francesco e nei pressi del cimitero il laghetto Pasquèe, apparentemente artificiale, ma scavato attorno a una sorgente, per abbeverare il bestiame che stazionava nel Pasquè, oggi non più esistente, quindi risulta evidente che in origine Caslino fosse un luogo sacro.
Lurago Marinone invece deve il suo nome al torrente Lura, che un tempo la attraversava, non so come e non so quando, ma la vicinanza di una località chiamata Valmorana, mi fa pensare ad un’ampia palude che toccava anche Lurago del resto il toponimo dialettale “Lurag” preceduto dal preistorico “Lurach”, ci indica il ligure “lak”, sinonimo di lago, quindi il toponimo indicherebbe il "Lago del Lura", confermato anche dal secondo nome: Marinone, il cui prefisso “Mar” è un sinonimo dell’indoeuropeo “distesa d’acqua”, quindi Marinone significa palude, italianizzato in “paludone”.
Il fiume Lura il cui nome antico era Luira, deve il suo nome al lauro, albero sacro ad Apollo, divinità preistorica del sole e della salute, il cui albero sacro dà il nome anche alla sorgente Lora, a Recoaro Terme, e al fiume Loira in Francia.
Ma non bisogna trascurare le antiche popolazioni iraniche originarie del Luristan, come i Luri e i Gutei, forse migrate o giunte nel nostro territorio come legionari romani.
Il nome di Cirimido sembra ricalcare fedelmente, la cultura dei suoi fondatori, i legionari di origine ellenica insediati nel territorio da Giulio Cesare, in quanto il nome più antico che ci è stato tramandato “Celèmanum”, sembra la corruzione di un toponimo che invoca la mano di Cerere, (Demetra per i greci) la dea della natura, questo perché, Cerere essendo figlia di Cibele, la Grande Dea Madre, era sorella di Re Mida, la cui mano trasformava in oro tutto ciò che toccava, quindi giustamente i fedeli invocavano la mano della dea a protezione del raccolto.
Da segnalare una via “Stragatt”, la quale congiunge Fenegrò con Cirimido, seguendo un percorso che scorre ai piedi dell’altipiano comasco, quindi si tratta di una provabile corruzione del greco “kata” sinonimo di sotto, quindi “strada di sotto”.
A conferma dell’antichità di questa strada, il suo asse stradale si dirige in modo rettilineo verso il centro di Fenegrò, nel cui territorio prende il nome di via Cirimasco.
Fenegrò è un altro sito la cui fondazione risale all’epoca romana, ma i suoi fondatori potrebbero essere stati i celto liguri, in quanto il villaggio è situato in una zona piuttosto paludosa, che conseguentemente era un luogo frequentato da uccelli acquatici, come i fenicotteri e le gru, dai quali come da tradizione celtica, il villaggio nato dopo la bonifica prese il nome.
A valle di Lurago Marinone, Fenegrò e Cirimido c’è Limido Comasco, un toponimo originato dal latino “Limes”, vale a dire limite.
Infatti il territorio di Limido Comasco essendo collocato su un altipiano facilmente aggirabile da Sud Est, è rimasto escluso dalla linea difensiva insubre, e quindi era al limite Nord del territorio occupato dai romani.
Del comune di Limido Comasco fa parte anche la Cascina Restelli, un toponimo che farebbe pensare al nome degli antichi proprietari, ma la cascina è un quartiere abitato da oltre 800 persone, ed è situata in un luogo completamente isolato da Limido Comasco, anzi la località è posta tra Cirimido e Cislago, nei pressi della strada che collega Milano con Varese, quindi lungo un provabile sentiero, che permetteva di evitare la palude di Mozzate, quindi si può ipotizzare l’antica presenza di una mansio e di un corpo di Guardia.
Inoltre considerando che l’etimologia del nome contiene le radici rex e tellus verrebbe da pensare a un riferimento al dio Tellus (Plutone), il re del mondo dei morti, il quale con la sua biga trainata da quattro cavalli neri, aveva il potere di attraversare la terra, un po' come fanno il rastrello e il rostro dell’aratro, il quale rivoltando le zolle rimanda a Tellus la moglie Proserpina, cioè la natura morta.
Ricordando il rapimento di Proserpina figlia di Cerere, se a Cirimido come suppongo c’era un tempio sacro a Cerere, è possibile che nelle vicinanze ce ne fosse un altro con la buca del “Caereris Mundus”, sacro a Plutone, in fuga sulla biga infernale con Proserpina.
In Brianza situata su un altipiano che si affaccia sul Lambro c’è Inverigo, “Inverigh” in dialetto, etimologicamente al prefisso “in” si può dare il valore di una preposizione di luogo, che si è fusa con il prefisso “ver”, il quale in genere era usato per comporre toponimi che facevano riferimento all’ontano (Vernos), che con l’aggiunta del suffisso di origine indoeuropea “igh” sinonimo di alto faceva riferimento a un ontano sacro, posto in un luogo alto.
Infatti Inverigo si affaccia sul parco Valle del Lambro, una antica palude, che ancora oggi conserva la tendenza lacustre.
La presenza dei liguri a Inverigo è testimoniata anche dalla località “Pomelasca”, il cui toponimo è composto dal prefisso “Pom”, nome lombardo della mela, con il suffisso “asca ad indicare un melo sacro nascosto, in quanto nella tradizione dei celti, il melo era l’albero dell’immortalità ed era sacro ai druidi.
Oggi a Pomelasca c’è la maestosa villa dei conti Sormani, la cui costruzione risale al 1500, e la chiesetta rossa anch’essa di antica costruzione, come la vicina cappella della “Madonnina di Pomelasca”, forse si tratta della continuazione cristiana del mito di Morgana, colei che porge la mela per conto del druido.
A Inverigo esiste anche un santuario dedicato alla “Madonna della Noce”, il quale si affaccia sulla valle del Lambro e alcuni laghetti, il santuario è addossato a una torre medioevale il cui basamento sembra essere di origine romana.
La presenza dei romani ad Inverigo è testimoniata anche dai toponimi di altre due frazioni, chiamate: “Romano Brianza”, e: “Villa Romano”.
Da ricordare in provincia di Lecco la località di Imbersago, chiamata in dialetto “Imbersagh” o Imbersach” un toponimo di chiara origine ligure composto da due prefissi e un suffisso: “Imb” sinonimo di “lavaggio”, “ber”, derivato da “Bormanus”, il dio ligure delle sorgenti, e “sach” o “sagh”, derivati da “lak” cioè lago, quindi una sorgente sacra a Bormanus, dove si celebrava l’Imbolc.
Essendo il fiume Adda incassato nella sua valle, quindi più in basso rispetto al lago di Sartirana, possiamo ipotizzare con buona approssimazione, la presenza di una sorgente sacra a Bormanus, alimentata dal lago, quindi Imbersago era un luogo dove i liguri celebravano “l’Imbolc”, ovvero “l’Òrgia (cerimonia religiosa in greco) del Lavaggio purificatore”, ad Imbersago esiste anche un santuario consacrato alla “Madonna del Bosco”.
Il toponimo della vicina Merate, è originato dalle forme indoeuropee “mar o mor”, sinonimi di distesa d’acqua, dai quali per difetto di pronuncia si arriva al gallico “mer”, sinonimo di mare, dal quale per via del suo lago di Sartirana abbiamo il toponimo dialettale “Merà”; mentre per l’idronimo Sartirana, il suffisso “rana”, derivato dal sanscrito “ranja”, sinonimo di regina, ci indica un lago sacro a una divinità femminile, forse a una divinità della salute, come la celtica Sulevia, o la romana Salus.
L’origine dell’idronomo Lambro è dovuta al greco “làmpein”, sinonimo di brillare o lucente, da comparare anche con lampo, quindi il riferimento è al sole, nella forma di Bel, Lug o Mitra, quindi si trattava di un fiume sacro al dio solare.
A monte delle sorgenti del Lambro c’è il paese di Sormano, un altro richiamo al dio umbro Summano o Sommano, salendo ancora più in alto si arriva al passo della Colma, un sinonimo di cima o del latino soma, quindi un altro riferimento al dio delle cime; scendendo brevemente sul versante opposto si arriva al Pian del Tivano, un altipiano paludoso, ma con alcune aperture che alimentano un sistema carsico, che con ogni provabilità confluisce nelle sorgenti del Lambro.
L’origine del toponimo Pian del Tivano sarebbe riconducibile al greco minoico e miceneo “wanax”, sinonimo di re con provabile riferimento al dio delle cime Summano, quindi “Pian del Re”, da considerare che originariamente Summano era anche il dio del lampo e del tuono tanto che era assimilato a Giove, ma con la sua introduzione nel panteon delle divinità romane rimase solamente il dio delle vette.
Con ogni provabilità teonimi come Summano Albiorix e Penninus erano nomi tribali con i quali si indicava la massima divinità, ma e che facevano riferimento a un’unica entità spirituale.
La grotta “Bϋs de la Nicolina”, il nome di una strega medioevale, è un sicuro riferimento a una divinità pagana, in quanto nella grotta sono state ritrovate tracce risalenti all’epoca romana, con il suo ampio ingresso il buco è stato sicuramente un tempio vedico e potrebbe originare il toponimo Tivano, in quanto la radice “vano” è sinonimo di antro, un sostantivo che nell’antichità era usato frequentemente per indicare l’ingresso di grotte sacre o maledette, pertanto potrebbe essere stata considerata l’antro del dio Summano, quindi “Piano dell’Antro del Dio Summano”, ma anche la casa di una divinità malefica. Da considerare anche il sostantivo “tiburio”, che nelle chiese lombarde di stile romanico, era una struttura poligonale che sosteneva la cupola, quindi un diretto riferimento all’interno di una grotta sacra, derivato forse da un ipotetico “tiantro”, poi sostituito con il dispregiativo Tugurio.
Ma la grotta della Nicolina e il monte Pallanzone mi fanno pensare a due epiteti comunemente rivolti dai greci alla dea Athena e alla romana Minerva, vale a dire: Nike, portatrice della vittoria e Pallade, colei che scaglia l’asta, quindi il luogo era frequentato da ex legionari romani di origine greca che adoravano Athena, e se consideriamo che dal pian del Tivano si scende in riva al lago di Como nella località di Nesso, altro nome appartenente alla mitologia greca, si può affermare che i frequentatori del Pian del Tivano, erano originari della Tessaglia, quindi un popolo di montanari che la storia definisce selvaggi, dediti all’allevamento dei cavalli.
Il toponimo Nesso, situato sulla sponda orientale del braccio comasco del Lario sarebbe originato dal latino “nexus”, derivato a sua volta dal greco “nectere”, sinonimo di “legare”, provabilmente ciò è dovuto al fatto che Nesso è collocato ai piedi di un orrido, nel quale confluiscono le acque di due torrenti che scendono dalla montagna, quindi il toponimo diventa il suffisso di “connesso”, spettacolare è anche l’antico ponte romanico che scavalca il fiume in prossimità della riva.
Nesso era anche il nome del centauro ferito a morte da Ercole, dal quale riuscì a fuggire per morire nelle braccia di Dejanira, moglie di Ercole, alla quale dona una camicia intrisa del suo sangue velenoso, che secondo la leggenda provocherà la morte dell’eroe.
Così dice la leggenda, in realtà i centauri erano gli abitanti della Tessaglia, mitizzati come esseri metà uomo e metà cavallo, in quanto indossavano pantaloni in pelle, i così detti pijama di origine persiana, per poter cavalcare senza sella, il che generava un effetto ottico che permetteva ai cantastorie di inventare il mito dei centauri, in quanto prima di allora gli uomini non sapevano cavalcare.
Allo stesso modo il rapimento di Dejanira va visto come una fuga della donna da un marito indesiderato, sospetto generato dal fatto che Ercole, per poterla sposare, dovette sottoporsi alle dodici fatiche impostegli da Euristeo, re di Tirinto e padre di Dejanira, pertanto il loro matrimonio andrebbe visto come un atto forzoso, al quale Euristeo e Dejanira hanno tentato di sottrarsi con mille pretesti, mentre la camicia avvelenata dal sangue di Nesso per via del nome del centauro “nectere” andrebbe vista come una specie di camicia di forza, fatta indossare ad Ercole con l’inganno dalla moglie, allo scopo di poterlo uccidere.
Oltre al toponimo che fa riferimento al personaggio mitologico, a Nesso sono stati ritrovati un masso erratico inciso con coppelle rituali e un’ascia in pietra, il che fa risalire la frequentazione del luogo a tempi molto antichi.
Salendo da Nesso verso il Piano del Tivano, si passa sotto a Erno, un alpeggio che si affaccia su un orrido, luogo paragonabile all'inferno, dal quale il suffisso "Erno", sinonimo di ontano, l'albero sacro alle divinità dei morti, dà il nome alla baita mentre prima di arrivare sull’altipiano s’incontrano Veleso e Zelbio, si tratta di due paesini arroccati divisi tra loro da una gora stretta e profonda tanto che una frazione di Veleso è chiamata Gorla, il toponimo sembra un riferimento ai veliti, fanteria leggera, ma la posizione nascosta fa pensare a “velato”, quindi luogo nascosto.
Il toponimo Veleso è comparabile a Velleda, il nome di una profetessa dei germani bucteri, molto ascoltata anche dai romani, al punto che: quando nel 66 d.C., istigò la rivolta dei germani batavi, la ricoprirono di doni, ponendo fine alla rivolta.
Catturata nel 77 – 78 d.C. sarebbe stata portata in Italia, dopo di che non si hanno più notizie; da ciò si potrebbe pensare che per timore riverenziale, i romani l’abbiano trasferita in un luogo difficilmente raggiungibile e frequentato solo da gente pacificata.
In Germania Velleda viveva su una torre altissima, una continuazione della tradizione mesopotamica, che il territorio alto e scosceso di Veleso sembra imitare.
Quindi il toponimo Veleso sembra indicare la presenza di una sacerdotessa.
Zelbio, “Zelbi o Zelb” in dialetto, invece sembra originato dal greco “zȇlos” sinonimo di emulazione, tanto più che il suffisso “bio” è sinonimo di doppio, forse come le due Gorla di Varese, Zelbio nasce da una scissione di Veleso?
Zelbio Come Veleso è situato in un punto della montagna molto ripido, quindi si potrebbe pensare anche a una corruzione del latino “Celsus” sinonimo di alto, derivato dal greco “kellò”.
Curiosamente salendo lungo il pendio in direzione della cima del monte Palanzone, si incontra un buco accessibile solo agli speleologi, il quale conduce alla grotta “Obelix”, si tratta di un diminutivo del greco “obelos” che significa spiedo, possiamo pensare alla presenza di un altare sacro, sul quale si compivano sacrifici in onore della dea Pallade.
Sempre sul tema della strega Nicolina, sul versante opposto del monte Palanzone, affacciata sul braccio lecchese del Lario c’è Civenna, “Scivèna” nel dialetto locale, una forma che si avvicina al varesotto “Scigueta”, sinonimo di civetta, mentre il capoluogo Bellagio è sinonimo di villaggio di Bel o Beleno, il quale viene richiamato nella pronuncia dialettale “Belàas”.
Sempre sul versante del lago opposto a Nesso, c’è la valle d’Intelvi, un altro altipiano, dove la località più importante e Pellio, omonimo del monte Pelio tessalico, dove vivevano i centauri.
Ai piedi della salita che porta in valle D’Intelvi c’è Argegno, un toponimo che sarebbe originato dal greco “argòs”, sinonimo di chiaro, o lucente, e così appare la valle D’Intelvi a chi la osserva da Nesso o dalle rive scarsamente illuminate del Lario, infatti si tratta di un ampio altipiano orientato verso sud, quindi abbondantemente irraggiato dal sole, per cui si genera un effetto luminoso che risalta tra le montagne circostanti.
Per effetto della sua luminosità, la valle D’Intelvi era sicuramente un luogo sacro ai culti solari, e il suo toponimo mi fa pensare alla tribù gallica degli elvi adoratori di Lug, il lucente, i quali furono alleati di Giulio Cesare nella guerra contro Vergingetorige.
Ciò sembra confermato anche dal toponimo “Lanzo D’Intelvi”, in quanto Lanzo lo troviamo sulle alpi Graie nel nome di tre piccole valli poste al confine con la Francia, e lo ritroviamo nella forma femminile come idronimo di un torrente che scorre nella val Morea, attraversando il confine tra Italia e Svizzera.
La caratteristica principale del Triangolo Lariano è costituita dal lago Segrino e dai Corni di Canzo, che gli fanno da corona, i quali sono visibili in tutta la Brianza, quindi erano il punto di riferimento spirituale più importante per gli orobi, i quali adoravano il bue, e quindi simboleggiavano la sua presenza.
Infatti il Segrino, come il Sebino e l’antico Vicus Sebuinos (Angera) sul lago Verbano, prende il nome dai sebuini, una famiglia di bovidi indiani, della quale il rappresentante più imponente e nobile è il Zebù, la cui femmina è la “Vacca Sacra”, degli induisti.
In merito all'origine del toponimo Erba si può pensare a un pascolo sacro, infatti il toponimo lo ritroviamo in luoghi dove anticamente la pastorizia era l'attività principale, come ad esempio Erbonne, un alpeggio in valle d'Intelvi e il monte Erbia, sulla cima del quale è situato il santuario della madonna d'Erbia realizzato in seguito a due apparizioni della Madonna.
Il monte è situato nel territorio di Casnigo, in valle Seriana e si ritiene che il toponimo sia originato dal fatto che in epoca pre romana l'altura fosse sacra a Verbeia, una divinità fluviale che come Epona era protettrice anche delle mandrie, provabilmente si trattava di un teonimo originato dal sanscrito "Vardh", o "Varb", sinonimi di nutrire, da considerare anche il greco "Phorbè", da cui il latino antico "Forbea", sinonimi di pascolo, quindi si può pensare alla dea che fa crescere l'erba, provabilmente Verbeia era un epiteto rivolto ad Epona.
Da citare la vicina Vertova, situata più a valle e considerata un clone di Casnigo, provabilmente era un emporio, dove i pastori del monte Erbia e del monte Alben vendevano la lana ai mercanti, nel sito è ancora presente la memoria storica di un tempio romano sacro a Voltumno, dal quale deriva il nome della cittadina.
Voltumno era un alter ego di Giove adorato dai Villanoviani prima della fusione culturale con i tirreni; in seguito con la romanizzazione degli etruschi, Voltumno entrò a far parte del phanteon divino dei romani, come protettore delle mandrie.
Anticamente Erba era chiamata anche Inscèn, ma considerato che la n finale è sicuramente un difetto di pronuncia, il toponimo primitivo è sicuramente Inscèe.
Inscèe faceva riferimento a Incino, il quartiere più meridionale di Erba, e anticamente il più importante, tanto che Plinio il Giovane lo cita con il nome di Forum Licini.
Licini era il nome di una antica famiglia romana di origine etrusca già presente nel IV V secolo a.C., quindi per Forum Licini si può pensare a una famiglia di mercanti che possedeva un emporio ai piedi delle Prealpi comasche.
Nei pressi di Erba sulla statale che porta a Lecco, va segnalata la località di Civate, un toponimo che fa riferimento alla Civetta, uccello sacro delle dee Athena e Minerva, a Civate si segnala una valle dell'Oro, e la conseguente presenza umana fin dall'età del rame, 5000 a.C.
Arroccato sul monte Tre Croci, in posizione angusta ma dominante sulla Brianza e Como, c’è Civiglio altro toponimo originato dalla civetta sacra, nel cimitero sono state ritrovate tracce della presenza degli insubri fin dal V secolo a. C.
Un altro riferimento alla civetta lo troviamo alla periferia ovest di Como, dove c’è Civello, frazione di Villaguardia.
Sulla riva del lago di Pusiano ci sono Merone e la sua frazione Moiana, due toponimi che fanno riferimento al lago, infatti nel dialettale “Meroo” abbiamo come prefisso l’indoeuropeo “Mar” sinonimo di: “distesa d’acqua”, che ha subito una mutazione vocale in “Mer”, forse a causa della pronuncia gallica, infatti “mer” è continuato nella lingua francese come sinonimo di “Mare”, mentre la doppia “o” nel suffisso, sarebbe una forma plurale per indicare una località a cavallo di due laghi, infatti Merone sorge su una collinetta che divide il lago di Pusiano da quello di Alserio
Decisamente più lacustre è il toponimo “Moiana”, il quale per assonanza richiama le sorgenti sacre della Mojenca e del casale Mojazza, non saprei dire se in quella località c’era una sorgente, di sicuro il toponimo “Muranèra” è una corruzione di Murnera, e di fronte a Moiana il lago di Pusiano diventa una palude, dalla quale sorge il Lambro
Da citare anche la vicina Monguzzo “Mongϋzz” in dialetto, con il suffisso “Gϋzz”, sinonimo di aguzzo, un aggettivo tipicamente lombardo la cui origine non è latina e nemmeno greca, gϋzz, assieme a “gϋgia ”è un sinonimo di “ago”, e sarebbe originato dall’antico “aguglia”, nome di un pesce ricco di spine, per mezzo di “guglia”.
Il bosco della Buerga, è una collina boschiva che degrada verso il lago di Alserio, il cui toponimo deriverebbe da bue più il greco “èrgon”, sinonimo di “lavoro”, quindi una collina sacra al lavoro del bue.
Alserio e il suo lago, essendo vicini alla provincia di Bergamo e alla val Seriana, fanno pensare alla primavera sacra e al serino, chiamato anche verzellino siriano, l’uccello totemico che indicava agli umani il luogo dove fondare nuovi villaggi.
Bulciago “Bϋlciagh” in dialetto, è un toponimo originato dal reco “bolbòs”, sinonimo di “rotondo”, continuato dal latino “bulbus”, che aggiunto al ligure “lak” origina “lago rotondo”, lo stesso possiamo dire del diminutivo “Bulciaghello”, un’italianizzazione del lombardo “Bϋlgiaghìi”.
La frazione di Bulciago “Campolasco”, sinonimo di “Camponascosto”, confina con Veduggio, un toponimo che potrebbe essere un diminutivo di Veda come Campolasco, fa riferimento ad un unico centro spirituale ariano.
Nibionno, “Nibion”, in dialetto, mi fa pensare al nibbio, uccello sacro a Iside, divinità egizia della maternità, ma il nibbio è citato anche nei “Fasti”, di Ovidio, il quale racconta che dopo l’uccisione dell’Ofiotauro, Zeus inviò il nibbio a recuperare l’intestino del mostro, per impedire ai Titani di bruciarlo, un sacrificio che aveva lo scopo di conquistare il potere supremo sull’Olimpo.
Zeus per premiare il nibbio, lo trasformò nella costellazione che oggi viene chiamata dell’Aquila, uccello sacro a Zeus e a Giove.
Da ciò si può supporre che località come Nibionno, Nibbiano (Piacenza) e Nibbiola (Novara), erano luoghi sacri, a Giove e Zeus, fondati dai legionari romani.
In merito all’Ofiotauro un mostro dalla forma taurina ma con la coda di serpente, partorito dalla terra, considerando l’importanza spirituale che gli veniva conferita dagli elleni, mi fa pensare che fosse considerato un figlio dell’accoppiamento della Grande Madre con Ofione il serpentario, quindi in possesso di poteri supremi, che mettevano in pericolo il regno di Zeus.
Avendo citato più volte la divinità ittita delle sorgenti e della guarigione: Kephisos, mi sembra giusto sottolineare la presenza in Brianza della località Sirone, un epiteto accrescitivo, rivolto alla divinità della salute, non a caso Sirone è situata ai piedi del monte Ceppo, montagna sacra a Kephisos, dove all’interno di un ontaneto, gli alberi sacri al dio della guarigione, troviamo delle sorgenti.
Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, Capitolo XII
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