Pagina revisionata il 11/02/2024        

         

Gallarate

E IL Gallaratese

 

 

 

Contrariamente alle altre località, a Gallarate si sono conservati molti ricordi dell’epoca preromana, a cominciare dal nome celtico “Calariate”, più propriamente "Calarià", toponimo formato dall’Italico preindoeuropeo “cala” rimasto nella lingua italiana e in tutti i dialetti con il significato di “scende“ o “diminuisce", mentre la seconda radice “rià”, come abbiamo già visto per il “Rile”, nella lingua celto ligure aveva il significato di “rivo”, “ruscello” o “torrente”, da confrontare anche con il greco “rheino” sinonimo di: “acqua che scorre”, il riferimento era ovviamente all’Arno , al Sorgiorile e a un torrente pedecollinare, il quale raccoglieva le acque piovane che scendevano dall’altipiano che divide la valle dell’Arno    dalla valle Olona, e considerato  che  Gallarate è situata nel punto più basso della fascia pedecollinare che da Cairate scende fino ai piedi dei Ronchi, le colline di Gallarate, il dislivello di oltre cinquanta metri e la vastità del territorio imbrifero, faceva sì che una notevole quantità di acqua scorresse  fino a Gallarate,  di questo stato di cose mi sembra che siano d’accordo anche molti studiosi, pertanto prima dell’antropizzazione, a Gallarate c’era un lago o una zona paludosa, quindi gli insediamenti umani erano ben lontani dal “Faietto,”, praticamente erano collocati sulla riva destra dell’Arno, più alta della sinistra in prossimità del  ronco dove, alle spalle di Cardano Al Campo, l’antico: “Magus Cardunum”, oggi si trovano i Ronchi, la Moriggia, il Bettolino e Crenna. 

         La pianura gallaratese e l’acqua dell’Arno consentivano la produzione di una grande quantità di foraggio, che serviva ai celti per l’allevamento dei bovini, dal cui latte producevano molto burro, il loro condimento preferito.

            Si racconta che Giulio Cesare abbia rimproverato il suo seguito, in quanto ospiti a Milano di un gallo romanizzato, che si chiamava Valerio Leone, si sarebbero lamentati del fatto che l’ospite avesse fatto servire gli asparagi con un unguento chiamato “butyrum”, invece del canonico olio d’oliva romano.

            I linguisti affermano di non essere riusciti a trovare la radice originale della voce “burro”, al massimo sono arrivati al latino “butyrum”, forse preceduto dal greco “boùtyron”, i quali avrebbero il significato di formaggio di mucca, anche la bibbia non cita mai il burro, questo ci conferma che il burro era un alimento tipico dei paesi del nord Europa dove le grandi praterie e il clima più freddo consentivano una grande produzione di latte e una sua facile conservazione, pertanto in considerazione che nelle lingue inglese e tedesca il burro è chiamato “butter” mi sento di proporre il dialettale “bűtèer”, come radice originaria di burro.

            Plinio racconta che i galli mettevano il burro nel pane, il quale era anche il più buono e soffice perché “lo facevano lievitare con la spuma rappresa di un cereale che usavano per produrre una bevanda”, in oltre raccontava che la farina migliore era quella che passava dal setaccio più sottile, però per farla sembrare più bianca, c’era chi la mischiava con il gesso.

Considerando la grande tradizione lattiera del gallaratese, che si è tramandata per secoli, fino alla globalizzazione dei mercati, mi sento di proporre anche il nome greco del latte “gala” o “galaktos”, come possibile origine del toponimo Gallarate, nella forma di “Città del latte”.

In ultima analisi sull’origine del toponimo Gallarate, si può citare il latino “Gallorum”, che significa oracolo dei galli, o luogo di preghiera dei galli.

Infatti nella palude gallaratese, c’era una duna che emergeva dalle acque, sulla quale crescevano dei faggi, pertanto secondo le tradizioni vediche quel luogo era sicuramente la dimora di una divinità.

Fin dal neolitico il faggio era l’albero sacro per eccellenza e tutti gli alberi che fornivano cibo erano chiamati faggio, il cui nome primitivo era “Phegòs”, e significava mangiare, dal quale sarebbe derivato il greco” phàgein” e quindi “pane”, dal nome del faggio e della faggina si sono originati i nomi di molti cereali e legumi, che allora venivano macinati, come in precedenza facevano con le ghiande, per fare pane, zuppe e minestre.

Nel corso delle loro migrazioni, i popoli di cultura vedica prima di arrivare in Europa, sono passati dalla Grecia, dove i faggi non crescevano e quindi per celebrare la loro devozione usavano la quercia, la quale era l’albero che più assomigliava al faggio.

La mancanza di nomi differenziati ha fatto sì che faggi e querce fossero identificati con lo stesso nome per molto tempo, fino a trasferire, grazie alla diffusione della cultura greca, l’importanza spirituale dal faggio alla quercia, che in ogni caso è una fagacea

Secondo la tradizione spirituale indoeuropea, la quercia o albero sacro, tramite i rami e le radici catturava dal cielo e dalla terra le forze della natura, che poi trasmetteva agli uomini attraverso la mediazione della “Lőgia” (oracolo divino), e del druido.

Considerando l’appartenenza di Castano Primo all’area gallaratese, mi sembra giusto fare un esempio, con il fatto che nella nomenclatura degli antichi, il “Kastano-s” (castagno) si sia differenziato dal faggio prima di” Kassano-s”, ciò è sicuramente dovuto alla necessità di indicare un albero dai frutti più dolci e appetitosi, quindi possiamo anche ipotizzare che in epoca primordiale “Kastano-s”, fosse anche sinonimo di più buono.

Da sottolineare che la terra d’origine del nome Kastano-s”, dovrebbe essere la Tessaglia, la fertile pianura greca indicata da molti come la culla della civiltà già dal neolitico; in Tessaglia esisteva una città micenea chiamata “Kastania”, continuazione di una Kastania più antica, forse risalente all’età del rame.

Da ricordare anche il fatto che il castagno è arrivato in Italia portato dai greci.

Sulla divinità del castagno si cita una dea “Karia”, della quale nessuno è in grado di descrivere il suo ruolo nell’Olimpo, lo stesso si può dire del romano Vertunno, dio degli orti e della frutta, che la letteratura rinascimentale descrive con due ricci al posto delle tempie.

Con la romanizzazione il territorio di Gallarate venne bonificato con la deviazione verso sud dei torrenti Rile e Tenore, e attorno al boschetto di faggi venne fondata una colonia romana che adottò il piccolo “Faggetum”, oggi è chiamato Faietto, come centro spirituale, dove celebrare lo “Jupiter Fagutal”, vale a dire il “Giove dei Faggi”, che originariamente a Roma si teneva in un faggeto sacro, situato sull’Esquilino.

Esaurito l’argomento Arno possiamo parlare della località Belvedere, raggiungibile dalla strada che oggi è chiamata via San Giovanni Bosco, come tutti i Belvedere non era una località dove si poteva ammirare un bel panorama, ma un luogo sacro situato sui Ronchi, dove si invocava il sorgere del sole e ringraziava il dio “Bel”.

Il nome del quartiere “Bettolino” si può confrontare con le voci pre latine “bòtola”, e “bòtolo”, ed anche con il greco di origine fenicia “beta” sinonimo di “casa”, ed ancora i greci “bòthros”, analogo di “buca”, oppure “bòthroì”, sinonimo di “Pozzo Sacro”.

Il toponimo Bettolino è riconducibile anche alla betulla, Beithe nella lingua dei celti, l’albero cosmico per eccellenza, e anche l’ontano appartiene alla famiglia delle betulle, quindi è ipotizzabile l’esistenza di un luogo sacro, costituito da un pozzo o da una betulla.

La betulla rappresentava la Grande Madre, Rhetia Phora per i popoli reti, Brigid per i cozii e i britanni, ma anche Belisama per tutti; l’entità spirituale alla quale venivano attribuiti questi nomi tribali era considerata la guardiana della porta del cielo, e veniva identificata con la luna.

Nel calendario arboreo Beithe rappresenta e dà il nome al primo mese lunare che inizia alla fine del solstizio d’inverno, 24 dicembre 20 gennaio, e dagli antichi era considerato l’albero della saggezza e della purezza, per questo i suoi rami erano usati per fabbricare le bacchette magiche dei druidi e le scope che ritualmente le mezzane usavano per scacciare l’anno vecchio.

Le mezzane erano delle vestali e durante le cerimonie salivano sui rami della betulla, da dove intercedevano con la dea per conto del druido.

Questi rituali hanno dato origine alla tradizione cristiana della Befana e delle streghe che volano sulla scopa fabbricata con i rami di betulla, ed anche il detto popolare: “Epifania tutte le feste porta via”, mentre nelle società matriarcali la Befana era legata alla festa dell’Anna Nuova, e simboleggiava “l’Anna Vecchia” che se ne andava.

È possibile che il Bettolino con la sua betulla sacra, facesse parte di un orologio astronomico sul tipo di “Stonehenge”, il quale permetteva ai sacerdoti di stabilire con certezza il momento del solstizio d’inverno, il giorno in cui il dio del sole moriva, e il 24 dicembre, il giorno in cui il nuovo dio rinasceva, dando vita al nuovo anno (o anna per le culture matriarcali), e che per tutti era il fanciullo divino.

Il centro dell’orologio solare poteva essere il monte “Cuore”, una collina dalla quale si può osservare il sorgere del sole, usando come punto di riferimento la betulla sacra o forse un altro Omphalos posto nella vicina località chiamata Cuoricino, allo scopo di stabilire con precisione il giorno della morte dell’anno vecchio e quello della rinascita dell’anno nuovo.

Da ricordare che in origine, per il principio della Grande Madre, creatrice dell’universo, l’anno era femmina, da ciò i nomi tribali delle matrone, che in ogni caso fino all’affermazione della casta guerriera, facevano riferimento alla stessa divinità.

Nel nome della vicina Moriggia abbiamo il prefisso “mor” usato per indicare le paludi, come “Mornera”, il quartiere della Moriggia fa parte di un altipiano che si estende dalla riva dell’Arno fino alla riva dello Strona, delimitato a sud dal “Ciglione della Malpensa, il suo terreno argilloso indica la presenza di paludi ed è separato dal sistema paludoso più importante dei “Funtanit, dal monte Cuore, un piccolo deposito alluvionale che nella tradizione antica fungeva da ambone o pulpito dove si adorava il “Sole”, non a caso Cuore e il vicino Cuoricino rappresentavano l’anima, quindi si  possono considerare due centri  della spiritualità in diretto riferimento tra loro, in quanto il Cuoricino di Cardano al Campo poteva essere un punto di riferimento astronomico per chi osservava il sole o le stelle dal monte Cuore.

Anche la località Prà Palazzi, essendo situata al margine sud di Gallarate fa pensare alla corruzione di un dialettale come “Prà dul Palasc”, “prato del Palaccio”, un dispregiativo con suffisso leponzio, che potrebbe indicare un prato sacro il cui omphalos era costituito da un semplice palo, ma considerando l’antica presenza di una chiusa, bisogna considerare anche il latino “palus” = “palude”, mentre il sinonimo “palüdis” darebbe origine al dialettale “palüd”, quindi Prà Palazzi potrebbe essere anche un prato paludoso.

Anche per Crenna dobbiamo parlare di un pozzo sacro, infatti il dialettale “Crena” ha origine dal greco antico “Crene” sinonimo di “pozzo” o “fonte” e la sorgente dei “Funtanit” sembra essere il luogo, indicato dal toponimo, il quale come vedremo più avanti sembra che fosse considerato un luogo infestato da una divinità cattiva.

Da citare la località Albanese di “Krumë” situata nei pressi di una grossa sorgente ai piedi del “Bieshka Krumes” (Monte della Kruma),ma non si può escludere il francese “Chênè”, sinonimo di quercia, il quale secondo il linguista Andrè Martinet, sarebbe una corruzione di Cassano, e in effetti i dialettali “Casàa”, e “Casan”, non si discostano molto da “Chênè”.

Prima di procedere mi sento di segnalare alcune leggende greche legate alle sorgenti, infatti gli storici antichi citano la fonte dell’”Ippocrene”, vale a dire “Pozzo del Cavallo”, situato ai piedi del monte “Elicona”, la casa si Apollo, il dio solare, dove l’acqua sarebbe sgorgata in seguito a un colpo di zoccolo del mitico cavallo alato Pegaso, sempre sul monte Elicona c’era “l’Enne a Cruno”, “il pozzo delle nove fonti, luogo dove le muse di Apollo ispiravano poeti e musicisti.

Caiello è situata ai piedi di un deposito morenico caratterizzato da sabbia e pietre di fiume, sul quale si è depositato uno strato di argilla che lo impermeabilizza, originando la palude dei Funtanit, in oltre si tratta di un territorio che anticamente era sottoposto a frequenti inondazioni, causate dalle acque piovane che debordavano dall’altipiano soprastante, provocavano un dilavamento del terreno, che metteva in evidenza  un’abbondante presenza di pietre sul terreno, quindi come suggerisce la radice indoeuropea “cair”,  il toponimo potrebbe indicare un mucchio di pietre.

Ma anche in questo caso la mitologia e le antiche tradizioni ci portano a “Caelus”, o “Caellum”, una primordiale divinità suprema del cielo, sposo di Tellus, dea della terra, che alcuni lo paragonano ad Urano figlio e amante di Gea, la Grande Madre Terra, quindi alter ego dell’indoeuropeo Varuna e progenitore di tutti gli dei.

Pur essendo una divinità italica, a Roma la sua adorazione iniziò in contemporanea al culto di Mitra il dio del sole persiano, cioè nel: II e III secolo a.C., quindi suppongo che Caelus fosse un teonimo primitivo o tribale di Elios un'altra divinità solare.

Cascinetta di Gallarate, anche se non presenta argomenti che possano far ipotizzare origini antiche, è attraversata dal Sorgiorile, pertanto in funzione della massima: “dove c’è acqua c’è vita”, dobbiamo considerare che almeno sulla riva destra del fiumicello ci fossero delle capanne, mentre la riva sinistra essendo più bassa era soggetta ad essere allagata e quindi destinata al pascolo.

Plinio il Vecchio nella sua opera scientifica citava il “cedrelaten”, l’abete del Libano, il cui nome è originato da “cedrus” o “cirrus”, (cedro) + “Elate”, nome in greco antico dell’abete. Quindi considerando che l’abete del Libano era l’albero sacro alla Grande Madre  per eccellenza, possiamo pensare che cedrelaten sarebbe all’origine del toponimo Cedrate.

Alle spalle della chiesa di San Giorgio inizia la via “Belgioioso”, ciò mi fa pensare, che la chiesa sorge sopra un centro spirituale originariamente sacro a Bel, da notare che via Belgioioso è solo l’inizio di un lungo asse stradale, in parte cancellato, che dopo l’attraversamento dalla strada provinciale diventa Via Gorizia, incrocia la Strada della Mezzanella, attraversa il confine sud ovest di Cassano Magnago, il territorio di Sciarè per incrociare tra una interruzione e l’altra l’asse stradale della via Tognasca, un'altra strada semicancellata dagli insediamenti logistici e commerciali, fino al secolo scorso quella zona era brughiera fitta, quindi il suffisso “asca” e il luogo  mi fanno pensare a un nascondiglio di qualche bandito, mentre il Prefisso “Togn” mi porta al dialettale “Tugnit”, con il quale venivano indicati i tedeschi, quindi quella strada conduceva al nascondiglio di una banda di mercenari tedeschi, i quali terminata la guerra del Monferrato si diedero al banditismo, infestando come la banda del Legorino, il Bosco della Merlata e il Gallaratese

Nel quartiere di Cedrate, Via Monte Santo, anticamente era chiamata “Strada di Carreggio”, dal genovese “carűgi”, italianizzato in ”Carruggio” e dal lombardo “carűbi”, a sua volta italianizzato in “Carrobbio”, dai quali il latino “quadruvium”, cioè “incrocio di quattro strade”, a Gallarate sono noti i cognomi “Carù” è “Caruggi” evidentemente originati dal genovese “Carűgi”, da aggiungere che: dal punto di vista etimologico nella lingua dei celti “Carűbi”, indica due strade che si incrociano e che i latini intendono come “quadruvium”, cioè quattro strade, mi rimane da capire se “carű”, può essere un sostantivo celtico sinonimo di carreggiata, originato dal celtico “car”, cioè “carro”, mentre il suffisso “bi” è sinonimo di due.

Comunque doveva trattarsi di una strada molto importante, in quanto il suo asse inizia di fronte alla chiesa di San Giorgio e si interrompe ai margini dell’autostrada, la quale gli si sovrappone, quindi suppongo che atticamente fosse una via spina della strada romana del Verbano che transitava 200 metri più a sud e verso la quale si dirigeva.

Quindi questa via era un raccordo che permetteva al traffico mercantile che da Mediolanum andava verso il Ceresio e i valichi alpini, e viceversa, di imboccare il sentiero che risaliva la valle Arno in direzione delle Alpi, in quanto transitava a poche centinaia di metri dalla chiesa.

Da Via Monte Santo si dirama una strada ancora oggi chiamata Col di Lana, che anche lei, snodandosi in direzione di Sciarè si interrompe contro l’autostrada.

Sicuramente si trattava di una via che conduceva in un luogo sacro, forse un’altura artificiale, situata nel vicino quartiere di Sciarè, un toponimo che tradisce origini celte e persiane, in quanto è composto dalla radice sanscrita “scià”. e da quella celta “rix”, che entrambe hanno il significato di “re”; infatti secondo l’opinione generale degli storici un doppio re significa “re dei re”, quindi Sciàrè indicava un luogo sacro a una divinità che aveva come animale totemico il cinghiale semilanuto, il quale era caratterizzato da una folta lanuggine attorno al collo, quindi con Col di Lana la gente si riferiva a una divinità come Varuna o Lug.

Da una ricerca dei professori Guenzani e Fimmanò, scopro che nel settecento l’attuale  via Col di Lana era chiamata strada Cavallascia, un toponimo in forma italianizzata, dal quale, in ogni caso si possono estrarre due radici, Valascia e Scià, mentre  il prefisso “Cav” sarebbe originato dal latino “Caput” cioè  “capo, per mezzo di  “caput possiamo avere anche “cavedagna”, sinonimo di “terra a capo”, quindi un riferimento a un centro spirituale, da citare anche “captusus”  omonimo di: “intelligenza”, quindi in diretta relazione con il greco: “Loghia” sinonimo di: “sapere divino” o Lőgia”, come dicevano i celti e visto che la strada si dirige in direzione di Sciarè si può essere certi che la via conduceva a un centro spirituale, dove con ogni provabilità vi si trovava  un oracolo divino.

Col da Lana è anche il nome ladino dell’omonima montagna, attorno alla quale troviamo monti come Sas de Stria e Settsass ma anche località come Brenta e San Cassiano, che testimoniano le origini liguri dei ladini, dei romanci e dei walser, popoli degli altipiani, la cui lingua è la naturale evoluzione del ligure preistorico.

Il Col di Lana si trova in provincia di Belluno, dove il toponimo del capoluogo, ha come prefisso “Bel”, il sole e come suffisso “Luno”, la luna, quindi si tratta di un nome di luogo che indica una località sacra a entrambe le divinità, ciò è sottolineato dalla presenza di un altipiano situato a nord ovest di Belluno chiamato Prà di Luni.

Anche la Madonna in Campagna è da ricondurre all’esistenza di un luogo sacro Insubre, in quanto essendo situata sulla strada antica del Verbano i celti avrebbero realizzato un passaggio fortificato tra le paludi della Mornera sul modello di San Giorgio in Campora, affidandosi anche alla protezione spirituale di “Rhetia Phora”, la protettrice dei passaggi e delle porte, ma forse anche a una dea della natura.

Ad Arnate con il suo “campo Farasco” viene attribuita la presenza di una fara Longobarda, ma in genere campo Farasco dovrebbe indicare un luogo dove cresce l’erba falasca, utilizzata per impagliare fiaschi e sedie, ma trattandosi di un luogo dove si riuniva il villaggio, dobbiamo pensare a un sito dove si celebravano riti religiosi.

Ciò è suggerito anche dal suffisso “asco”, che assieme alla forma femminile “asca”, tradisce l’origine lepontina ligure del toponimo Farasco, infatti questi due suffissi li ritroviamo spesso nei toponimi di valli e località valligiane anticamente abitate dai leponzi, il significato di questi due suffissi è ampiamente dibattuto, ma non sembra trovare un epilogo, io nel mio piccolo, partendo dal nome della valle Veddasca, “Veddasca”, in dialetto, il cui prefisso “Veda” deriva direttamente dal sanscrito con il significato di “sapere”, quindi  un riferimento alla religione ariana, mentre “asco” deriverebbe dal greco “askòs” = “otre” da cui possiamo avere come riferimenti fiasco, e “ascaridi”, funghi che si sviluppano all’interno di un contenitore, ma anche l’italiano “ascondere”, quindi luogo nascosto, oppure chiuso, mentre il prefisso “Far “,è riconducibile al nome celtico dell’ontano, “fearn” con il quale veniva anche chiamato il suo dio “Bran” e il corvo, uccello sacro del dio, quindi possiamo pensare a un significato di: “magus asko  Bran” = “campo nascosto di Bran”.

Chiarita l’origine etimologica di “Campo Farasco”, la fara di Gallarate la possiamo collocare tranquillamente accanto alla chiesa di San Martino, un santo guerriero usato per convertire gli ariani, del quale erano grandi estimatori.

Giustamente la Fraccia era un prolungamento artificiale del Fajetto, altura formatasi in seguito a un flusso eccezionale di acqua che ha accumulato detriti, ma altri studiosi citano documenti medioevali nei quali, con fraccia viene indicato tutto l’insieme di località sottoposte alla pieve di Varese.

Del “Pasquèe” e del “Pasquiròo” ne abbiamo già parlato del capitolo precedente, però trovo molto enigmatico il toponimo dialettale “Countousour” un nome difficile da pronunciare anche per via dei tre dittonghi uguali, che mi spingono verso una pronuncia francese, ma le due radici che compongono la parola mi portano all’inglese “Country”, sinonimo di contrada, mentre l’anglo francese “Sourge” è un sinonimo di sorgente, lungo il corso dell’Arno c’era forse una sorgente? O forse il riferimento è al Sorgiorile che scende dalla sorgente dei Funtanit? Le cui piene facevano straripare l’Arno sulla sponda sinistra perché più bassa.

La tradizione che vede il Countousour disabitato per molti secoli a causa delle alluvioni, sembra confermare questa ipotesi, anche perchè da “Countousour si può estrarre anche la radice francese “Ourse”, sinonimo di: “orsa”, “ursa” in dialetto, dalla quale arriviamo ad una delle matrone delle sorgenti, “ Artios”, “l’orsa che domina la frana e le alluvioni”, quindi possiamo pensare che il Countousour era la contrada sottoposta alle alluvioni dominate dall’Orsa, le quali avvenivano sempre dopo la confluenza del Sorgiorile nell’Arno, pertanto la gente attribuiva  alla sorgente  del  Sorgiorile la  causa delle alluvioni di Gallaratesi, perché dominata  dalla presenza di Artios, pertanto possiamo pensare che i Funtanit, le sorgenti del Sorgiorile, fossero meta di pellegrinaggi e offerte votive alla matrona delle acque, allo scopo di scongiurare nuove inondazioni.

Per continuare a parlare di Gallarate e del gallaratese, bisogna citare il suo fiume, “Arno, un idronomo al quale gli archeologi e gli storici attribuiscono un’origine etrusca, dal quale poi giustamente deriverebbe anche il nome di Arnate; però nelle mie letture mi sono imbattuto in svariati nomi antichi dell’ontano, uno degli alberi più importanti della spiritualità vedica.

Si ratta di una betulacea che cresce sulle rive dei fiumi e dei laghi, i quali nei loro idronomi contenevano tutti la radice etimologica “Arn”, il primo è il celto ligure “Fearn”, il quale sarebbe all’origine anche del toponimo “Ferno” paesino in riva all’Arno,  accompagnato dall’irlandese “Vearn”, e dal gallico “Vernos”, dal quale deriva il nome di “Verghera” del “Verbano”, e del “Vergante”, colline novaresi dove vivevano i Vertemocori, fondatori di Vercelli, Vergiate, Verghera, Vertemate, Verona ecc. luoghi dove probabilmente si adorava l’ontano in nome della Morrigan, la regina della palude.

La mia ipotesi trova conferma anche dal latino “Alnus”, il quale rende la mia affermazione indiscutibile, a ciò possiamo aggiungere anche il medioevale “Alnetanus”, così abbiamo anche l’origine del dialettale “Arneta.

Da citare anche il fiume scozzese Earn, molto simile all’Arnetta, ma con una portata d’acqua leggermente superiore che lo rende pescoso.

Lungo le sue rive sono state ritrovate tracce di numerosi insediamenti preistorici, e soprattutto i romani fondarono la città fortificata di “Alauna Veniconum”, (oggi Ardoch) un toponimo che farebbe riferimento a una divinità della natura, adorata dai veniconi che abitavano le rive del fiume  

Curiosamente il nome greco dell’ontano è “clethra”, un nome che non ha nulla in comune con quelli già citati, evidentemente si tratta di una voce originata nel periodo classico, quando la Grecia incominciò a subire l’influsso linguistico degli elleni, i quali erano di lingua semita

Dai nomi dei comuni rivieraschi del basso corso dell’Arno rimane escluso Samarate, in quanto il suo nome dialettale “Samarà”, ci porta al fiume francese “Samara”, oggi “Somme” il Piave dei francesi durante la prima guerra mondiale, regione allora popolata dai galli “Ambiani”, la cui capitale era Samarabriva, da “Samara” + “Briva”, sinonimo di “ponte”, quindi “Ponte sulla Samara”, oggi Amiens; quindi possiamo affermare con certezza che Samarate è stata fondata dai galli ambiani.

Samara (CaMapa in russo) è il nome di un affluente del Volga, lungo il corso del quale sono stati ritrovati i resti di un’antica civiltà indoeuropea, risalente al VI, V millennio a.C., pertanto si può ritenere che l’idronimo faceva riferimento a una Grande Madre o comunque a una divinità delle acque.

Contrariamente alla morfologia caratteristica, di aperta pianura Padana, nel territorio di Samarate, troviamo una collinetta chiamata “Montevecchio”.

Mancando uno studio geologico che ne specifichi l’origine ed escludendo un eventuale deposito glaciale, si può pensare a un luogo antico fortificato con un terrapieno che con il tempo è stato ampliato e innalzato, considerando anche i duemila anni di piogge che sono seguiti alla fase preistorica del sito, si può supporre che in origine fosse più alto.

Ma il nome della collina potrebbe essere la corruzione di “Monte Veda”, quindi una collina artificiale, sacra alle divinità antiche, che gli Insubri chiamavano: “Mota Rusa”, “Mutera”, in veneto “Moot Hill” per gli scozzesi “Aruna Chala”, in sanscrito.

Tutto ciò trova riscontro nella cultura paleoveneta, della quale è rimasta memoria di alture in terra rossa, chiamate “Altnoi”, sinonimo di altare, ancora oggi ricordate con il nome di Mutera; in seguito saranno distrutte per fabbricare mattoni.

Queste alture venivano realizzate anche nella Scozia preistorica, e conosciute nel Medio Evo con il nome di “Moot Hill”, vale a dire “Collina del discorso”, quindi le possiamo considerare come delle tradizioni che con la “Mota Rusa”, dei lombardi, continuavano la tradizione primitiva dell’Aruna Chala”, vale a dire la “Casa di Aruna”, se consideriamo Aruna come la Grande Madre, oppure la “Casa Rossa”, se consideriamo la collina rossa come la casa della dea.

Una soluzione, di origine mesopotamica per ovviare all’assenza di alture, dove si costruivano delle torri (ziqurat), sulla cima delle quali veniva posto un tempio, nel quale poteva entrare solo la vergine destinata a congiungersi carnalmente con il dio, a questo scopo fu costruita la torre di Babele, la quale al contrario delle piramidi egizie, non era un monumento alla vanità dell’uomo, ma un segno d’amore verso dio; ciò sembra concatenarsi anche con l’antica presenza a Cedrate delle vie Montesanto e Coldilana, forse un riferimento a un'altra Mota Rusa destinata al culto vedico.

Lonate Pozzolo è situata al centro di un lungo asse stradale che in epoca romana costituiva una via spina, la quale iniziava nei pressi di Ivrea, dove si si staccava dalla via delle Gallie e si dirigeva verso Est, attraversando il Ticino a Tornavento, per poi dirigersi a Castellanza, Saronno per poi proseguire in direzione della Brianza, e poi Bergamo e Brescia.

Quindi Lonate Pozzolo, deve il suo nome alla presenza dello storico pozzo di San Antonino, presso il quale si sarebbe rifornita la Legione Tebana mentre era in marcia verso la Francia.

Infatti a Lonate Pozzolo nei periodi di siccità il flusso idrico dell’Arno  si riduceva notevolmente, pertanto per mantenere praticabile quella via diventava indispensabile la presenza del pozzo di san Antonino, in quanto quella parte di territorio che divide il fiume Ticino dall’Olona è arida, quindi diventa evidente che il luogo sia stato fondato proprio per la funzione di rifornimento idrico per i viandanti, e la stessa Lonate Pozzolo prenda il nome dal passaggio della via per L’Olona, Urona come il fiume era chiamato in latino, “Uona” nel gergo locale ancora oggi in uso, poi forse corrotto in Luona e Lunà.

La frazione Sant’Antonino prende il nome dal santo guerriero Antonino da Piacenza, il quale, mentre con la legione Tebana formata da egiziani cristianizzati e comandata da San Maurizio, si recava nella Gallia Transalpina dove fu martirizzato, si sarebbe fermato a dissetarsi nel pozzo del villaggio.

In loco è presente una chiesa in onore del santo, la cui presenza è segnalata già nel XII secolo, in oltre, al confine del territorio di San Antonino con Castano Primo, esiste una località chiamata “Campo delle Olle” un toponimo esistente già nel periodo rinascimentale, pertanto si suppone l’esistenza di una necropoli scoperta in epoca medioevale, mentre di recente è stata ritrovata un’ara romana d’epoca pre cristiana, anche nella vicina Cardano al Campo, dove esiste una via chiamata “Biolle”, un riferimento al ritrovamento di due urne cinerarie.

Un'altra frazione di Lonate Pozzolo è Tornavento, una località situata nei pressi di un guado o traghetto sul Ticino, al quale sarebbe dovuta l’origine del toponimo.

Gli studiosi ritengono sia originato dal latino “Turris Naventium”, vale a dire torre di segnalazione per i naviganti, ma il dialettale “Turnavent”, cioè “vento che torna”, sono propenso di pensare a un traghetto, nave che torna, dal gallico “tour”, sinonimo di giro, e da una forma latina del verbo “venire”, “veni, venio o ventum”, quindi considerando il latino molto approssimativo, parlato dai celti ed anche dai legionari di origine non latina, si può pensare a una barca che gira e torna

            Ma per farla più breve considerando che il sito era un guado controllato da un castro, ritengo che il toponimo primitivo fosse “Turrim Ventis”, sinonimo di Torre Venti, e considerando che il 20 in lombardo si pronuncia “vent”, si può pensare a una corruzione per difetto di pronuncia in Turnavent.

 San Macario e la sua chiesa portano il nome del vescovo santo, l’antica chiesa, poi demolita nel seicento per fare posto all’attuale, era sacra alla “Purificazione di Maria Vergine, quindi un luogo dove si celebrava la festa ariana della purificazione, chiamata “Imbolc”.

Perchè l’ontano sia stato così determinante nella toponomastica del corso dell’Arno, lo scopro leggendo la “Dea Bianca”, di Robert Greaves, il quale nello scrivere l’opera cerca  di ricostruire la cultura celta, confrontando le tradizioni storiche  e mitologiche dei popoli indoeuropei con le poesie e le canzoni medioevali tramandati dai bardi irlandesi, i quali nei loro racconti camuffavano il nome dei protagonisti, per nascondere alla chiesa i riferimenti alle tradizioni ariane, quindi scopro che l’ontano era l’albero sacro a “Bran”, il dio della resurrezione, colui che immerge nel pentolone i guerrieri morti in battaglia, facendoli resuscitare.

Questa tradizione mi porta a fare una breve riflessione sulla leggenda gallese più famosa, “Re Artù”, una storia nella quale si possono identificare le tradizioni celtiche, infatti: Merlino è il druido, colui che possiede il frutto dell’immortalità mentre Morgana, il cui nome nella lingua dei celti significava: “regina della palude”, o del “lago” è colei che deve porgere la mela per conto del druido, Artù giace, nell’isola di “Avalon”, in attesa del frutto dell’immortalità; Avalon è l’isola delle mele, il frutto dell’immortalità, che in celtico si chiama “aballo”, da cui Avalon.

Oltre a ricordare che nel nord Europa, come in Italia, ci sono molte località il cui toponimo contiene la radice “arn” va ricordato che il celtico Fearn, per via della durezza del legno dell’ontano, ha originato il nome del ferro, “fer” in dialetto “iron in inglese.

Risalendo lungo le rive dell’Arno a nord di Caiello c’è Cavaria una località fondata dai “Cavari”, chiamati anche “cavariati” una popolazione celto-ligure che Strabone indica come alleati di Roma e stanziati alla confluenza della Durance nel Rodano, e pertanto dobbiamo supporre che come i liguri francesi, i cozii, e i taurini, si siano opposti al passaggio di Annibale, arrivando quasi a sterminare il suo esercito.

Stanziati lungo la valle della Durance che sale al passo del Monginevro la loro capitale era Cavaillon e nel loro territorio era compresa la città di Aurosia, poi divenuta Arausio, Arausium, ed infine Orange, toponimi che derivano dal nome del dio fluviale “Arausio”, non a caso la città primitiva era situata sopra a una collina che dominava il Rodano e la città di Avenio oggi Avignone

Il fatto che Cavaria sia stata fondata nel fondovalle, senza poter contare su nessuna protezione naturale ci conferma le parole di Strabone e che quindi la città sia stata fondata dopo la romanizzazione del Sibrium.

Con l’arrivo dei cavari potrebbe essere arrivato anche un clan di boi pacificati loro alleati, questa ipotesi mi è suggerita dalla presenza di una valle chiama del Boia, la quale nasce alla periferia di Caiello e si inerpica fino a Jerago parallela al dirupo destro della valle Arno, formando dunque un ronco stretto sul quale sorge Premezzo, il cui toponimo potrebbe indicare un centro spirituale posto in mezzo.

A monte la valle del Boia si inerpica verso Jerago, dove è stato ritrovato un masso granitico che fungeva da altare, questo già conferma l’ipotesi Hieròs cioè: capo delle funzioni religiose, in oltre sull’altipiano si sono riscontrate tracce della presenza dei romani.

Ancora oggi amministrativamente Jerago è associata con Orago, due paesi ancora oggi gemelli, i cui toponimi derivano dai greci “hieròs” e  “oros”, vale a dire “Sacro Monte”, quindi: “hieràrches”, indicava sicuramente un centro spirituale molto importante sinonimo di:” capo delle funzioni religiose”.

Il toponimo “valle del Boia”, mi fa pensare all’ennesimo dispregiativo cristiano nei confronti delle divinità ariane, infatti il luogo potrebbe essere stato abitato dai galli boi, una popolazione che come dice il loro nome, adoravano il bue, un bovino primitivo oggi estinto, sostituito dal toro castrato; secondo i linguisti i celti lo chiamavano “Bo”, ma il dialettale “Bő”, mi sembra una pronuncia più credibile.

Il territorio dei boi romagnoli confinava con quello dei senoni, cioè i fondatori delle già citate Cattolica, Cattabrega e Roncaglia, ed era costituito dal fiume Montone, il quale nel suo tratto iniziale scorre nell’omonima valle del Montone un ennesimo fiume sacro a una divinità vedica, non a caso risalendo la valle si arriva a “Rocca san Casciano”, “Casiân”, in dialetto romagnolo, una palese corruzione di Cassano, a rocca san Casciano la notte tra il due e tre di aprile si celebra ancora la festa ariana dei falò, una tradizione che si perde nella notte dei tempi ma che aveva lo scopo di invocare la protezione dalle inondazioni, quindi un Beltaine.

Il toponimo Rocca ci dice chiaramente che siamo in una enclave gallica in un territorio completamente latinizzato.

A nord di Cavaria troviamo Albizzate della quale parlerò in un capitolo a parte perciò passiamo a Castronno il cui toponimo Castronno si spiega da sé, in pratica è l’italianizzazione del latino castro, diventato “Castroo”, in lombardo o Castronn nella forma mista nella quale al castro che indica una città fortificata si aggiunge il suffisso Leponzio “onn” che aveva il significato di grande, quindi: Città Fortificata Grande.

Infatti Castronno è situato su un altipiano che sbarra la valle dell’Arno, lasciando passare solo le acque del fiume quindi nell’antichità costituiva una piazzaforte che impediva ai milanesi di aggirare Castelseprio e ai romani di penetrare nelle Prealpi.

            Tracce della cultura insubre sono state ritrovate nel Bosco dei Sassi, si tratta di incisioni rupestri. Che ci riportano alle vicine Carnago e Caronno.

In oltre, l’altipiano di Castronno che si estende fino ai piedi della collina di Gazzada dove sorge l’Arno, ancora oggi è indicato come Campi di Maggio, un retaggio della preistoria quando l’altipiano era una “gana”, cioè un demanio pubblico sacro al sole, e al suo interno al primo di maggio si celebrava il Beltaine in onore di Bel.

La valle Arno è chiusa a nord  dalla collina di Gazzada, dove sorge anche l’omonimo fiume.

Della località parlerò in un altro capitolo, qui voglio solo sottolineare che l’altura è il punto più alto della valle e quindi la domina ma è posta in mezzo a due alture che si elevano oltre i 400 metri e costituiscono il vertice dei due altipiani divisi dalla valle, e che costituiscono il territorio del varesotto.

Al vertice dell’altipiano Ovest troviamo la località di Caidate mentre l’altipiano est è dominato da Morazzone, situata sulla cima della collina possiamo prendere come riferimento la palude che degrada verso Castelseprio e Carnago dove si originano i torrenti Tenore e Rile e quindi il toponimo Morazzone è originato dalla radice “Mor” o “Mur”, sinonimo indoeuropeo di: distesa d’acqua.

            Da ricordare il nome medioevale:” Morenzono”, il quale dovrebbe indicare una palude grande, o una zona paludosa, o forse attribuendo al suffisso “zono”, il significato di recinto, si potrebbe pensare a un toponimo che indicava un lago sacro recintato, o un luogo circondato dalle paludi.

Sempre a Morazzone presso la chiesa di santa Maria Maddalena, sono state ritrovate lapidi risalenti al I secolo d.C., che testimoniano la presenza delle famiglie romane Senzii e Campilio.

L’unica traccia della cultura vedica è il nome della frazione Mezzanella, la quale però è situata presso il confine con il comune di Castronno.

Scendendo verso sud si incontra la località di Caronno, Caron in dialetto, un toponimo originato dalla radice indoeuropea “cair”, sinonimo di pietra e dal suffisso leponzio “onn”, che significava grande; da ciò il toponimo “Pietra Grande”.

Situata su una cresta che divide la valle Olona dalla val D’Arno, a Caronno Varesino si possono trovare numerose frazioni i cui nomi ci portano alla preistoria e all’epoca Romana.

Il primo è Ghiringhello, che in dialetto significa soldi in giro, forse il toponimo fa riferimento al ritrovamento di un tesoro ligure, poi abbiamo una Mezzana raggiungibile da una via Mezzanella, la località Sasso, dal dialettale sas, probabile riferimento a un masso erratico che fungeva da altare votivo, forse la Pietra Grande, Travaino va forse messo in relazione con la divinità ligure Taranis, chiamato anche Taraino, Corbellaro, che andrebbe messo in rapporto a un luogo sacro chiamato “Cuore di Bel”  ed infine “Stribiana” forse un altro dispregiativo cristiano nei confronti di Minerva la dea della civetta, da cui strigis e strega, con il suffisso ana che significa regina, quindi regina “delle civette”, o “delle streghe”.

Anche la sottostante Carnago, deve il suo nome alla radice cair in quanto come Caronno è sorta lungo gli argini del Rile il quale scendendo lungo un pendio con una massa d’acqua limitata, scorre abbastanza vorticosamente, erodendo il terreno ma lasciando allo scoperto una grande quantità di pietre.

Il suffisso ago invece indicherebbe un lago che si formava nei pressi del cimitero, dove terminava il pendio e l’alveo si allargava fino a giungere in prossimità del luogo in cui oggi sorge Milanello, dove si incanalava nella sua valle naturale in direzione di Cassano Magnago.

Da questo lago deriverebbe il toponimo Carbonolo dovuto alla raccolta della torba che si formava nel ristagno.

Il toponimo Carnago lo possiamo associare a quello della cittadina francese di Carnac (Karnag in bretone), situata in riva all’Atlantico nei pressi di Vannes, che Giulio Cesare chiamava Vénètes, uno dei siti archeologici più antichi e importanti al mondo, che deve il suo nome alla presenza di numerosi campi di Menir (pietre sacre) e di alcuni tumuli, il più antico dei quali risale al 6500 a.C., questo ci mette in relazione anche con la Karnak dei faraoni dove ci sono i templi e i monumenti più antichi e importanti dell’Egitto. 

A Ovest di Carnago, affacciata sulla val d’Arno opposto ad Albizzate c’è Solbiate Arno con la sua frazione Monte.

Il dialettale  “Sulbià”, sarebbe un toponimo originato dal latino “sulcus”, il quale sembra riferirsi all’avvallamento che divide Solbiate dalla frazione Monte situata su una collina, ciò m’induce a considerare l’ipotesi di un monte sacro al sole, in particolare lo stemma di Solbiate Arno riproduce un castello con alle spalle una catena montuosa sormontata da due gigli dorati e da una stella, mentre nella parte superiore è rappresentato un fiume sormontato da forme piramidali blu in campo giallo, ciò sembra confermare l’ipotesi dei due monti, ma la stella potrebbe riferirsi al sole, quindi il toponimo farebbe riferimento a due luoghi sacri al sole, magari due alture divise da un solco.

A Solbiate Arno è indicativo il toponimo Bregana, il quale è fondato sulla radice indoeuropea “Gana”, sinonimo di demanio, preceduta dal prefisso “Bre” che indicava un’altura, quindi considerando che il luogo è situato ai piedi di un’altura sulla quale troviamo la frazione Monte, possiamo affermare con certezza che il toponimo Bregana indicava un territorio demaniale riservato agli abitanti di Monte, il quale con ogni provabilità allora era chiamato Breg o Brig.

Oggi la Bregana, come la Magana di Cassano Magnago è caratterizzata dalla presenza di un’antica villa nobiliare, conseguenza del trasferimento del pubblico demanio alla chiesa, operata dal re longobardo Liutprando.

A valle di Solbiate Arno e Carnago, troviamo il comune di Oggiona Santo Stefano si tratta di un’unità amministrativa tra due località separate da un profondo vallone percorso dal torrente Riale che sorge nel territorio di Carnago.

Per il toponimo Oggiona possiamo considerare il pianoro che si sporge all’esterno alla linea di costa della valle, sul quale sorge il paese, e le fresature inferte alla collina per renderla inaccessibile, fanno pensare che si trattava di un luogo fortificato dalla cui posizione si poteva osservare tutta la vallata, sia a monte che a valle; da ciò il toponimo Oggiona, forse l’italianizzazione del lombardo “Ugioo”, occhione in italiano.

Santo Stefano invece, è una località nata in epoca rinascimentale, attorno a una cascina costruita nel territorio di Oggiona da un ramo della famiglia Orsini, che si era trasferito nel gallaratese.

Il potere degli Orsini fece sì che la nuova chiesa ottenesse subito il titolo di parrocchia, creando così una situazione anomala, con il capoluogo sottoposto al potere ecclesiastico della frazione.

Non esiste memoria storica che possa indicare la presenza di villaggi antichi nel luogo dove ora sorge Santo Stefano, ma le strutture storiche divise in due parti dalla chiesa e dalla ripida strada che sale dal fondovalle e raggiunge l’altipiano, mi suggeriscono l’idea che in origine santo Stefano sia stata una città fortificata.

Infatti giunti davanti alla chiesa se si svolta a sinistra dopo un breve tratto si accede a una struttura antica composta da 9 cortili collegati tra loro, e accessibile solo da due portoni.

Il lato Ovest della struttura si affaccia sulla scarpata che scende nel fondovalle con oltre 50 metri di dislivello, il lato nord invece si affaccia su un vallone percorso da un torrente che scende da Carnago, e separa Santo Stefano da Oggiona, mentre il lato est quello più indifeso è caratterizzato da un edificio lungo e stretto senza porte e finestre che all’estremità sud si sporge al di fuori del quadrato con una parete a semicerchio, che potrebbe essere appartenuta a una torre posta a protezione dell’ingresso principale, o forse a un abside di una chiesa antica.

Da considerare anche il fatto che santo Stefano sorge a ridosso del confine con Cassano Magnago, in località Sardenna, dove con ogni provabilità era insediata una tribù di liguri sardi, i quali dovevano proteggere il crinale della valle da un possibile aggiramento romano.

Sempre in tema di confini va ricordato che nei pressi del vallone esistono dei terreni chiamati Campigli, un toponimo il cui suffisso “pigli”, sarebbe originato dal latino “piläre” da cui pelare con il significato di rubare, ancora oggi nel gergo popolare lombardo pelare “pelà” in dialetto, significa abusare della fiducia altrui, per appropriarsi delle sue cose.

Ma anche qui possiamo pensare a un pubblico demanio poi incorporato tra i beni della chiesa, senza dimenticare eventuali proprietà della famiglia romana dei Campilio la cui presenza è attestata nella vicina Morazzone.

Al vertice dell’altipiano ovest chiamato monte “Asei”, c’è Caidate oggi un villaggio sottoposto all’amministrazione della sottostante Sumirago, ma che per la sua posizione geografica, in quanto posta sulla cima del monte Asei, luogo da dove si domina il territorio circostante e quindi tradizionalmente riservato al tempio divino e alla residenza di un re o principe.

Il nome del monte Asei dovrebbe indicare: “La Casa degli Dei”, come anche il toponimo Casei Gerola, una località situata nel territorio di Voghera, l’antica “Iria”, il cui territorio circostante era abitato dagli “iluates”, una tribù ligure molto antica, quindi considerando che con la particella “ca” i celti indicavano un tempio, ritengo Casei indicava un tempio sacro. mentre Gerola (gera) indicherebbe la ghiaia che ricopre il territorio, a causa dell’erosione del terreno causata dal torrente Curone un altro toponimo di origine vedica che indica la presenza di un gurù, forse sul monte Ciappe dove ci sono le sorgenti del torrente.

Lo stesso significato andrebbe attribuito alle numerose località denominate Caselle presenti nell’area celto-ligure.

Ma più in particolare il toponimo dialettale “Caidà”, dovrebbe indicare la “Casa di Ida”, il nome cretese di Demetra, la Cerere dei romani).    

Esistono due monti sacri chiamati Ida, il primo è nei pressi di Troia, “Wilusa”, sul quale Athena, Afrodite e Hera, chiesero a Paride di porgere la fatidica mela alla più bella tra di loro, il secondo invece è la montagna più alta dell’isola di Creta, in un antro del quale Rea nascose Zeus appena nato.

Quindi Ida sarebbe la grande madre della cultura Minoica e veniva chiamata “Dà Màtèr”, sinonimo di: “la madre che da”, mentre in miceneo era attestata come “I-da-ma-te”, vale a dire “Idà Matèr”, che diventerà Demetra con l’affermazione della cultura ellenica.

La presenza sull’isola di Creta del toponimo Candia mi porta a supporre che con il teonimo Ida, i cretesi si riferissero anche a Cibele, soprannominata ugualmente Candia, e a Thera, la grande madre del vulcano Santorini.

Quindi possiamo concludere l’argomento Caidate, ritenendo che nel territorio celto-ligure fossero presenti clan appartenenti alla cultura minoica fuggiti dall’Egeo prima dell’esplosione del Vulcano Thera.

L’origine del toponimo Sumirago che alcuni fanno ascendere alla divinità gallica “Solimana”, anticamente era chiamato “Samariaco”, o “Somariaco”, il che mi fa pensare che come Samarate, il nome è originato dal fiume Samara, patria dei galli Ambiani, confermato anche dal suffisso “Riaco”, il quale corruzioni latine a parte, dovrebbe indicare un rio, quindi “Rio Samara”, da cui Samariaco, oppure “Sűmirach” nella lingua insubre, poi diventato “Sűmirag in dialetto e Sumirago in italiano.

      A Sumirago esiste una chiesa alto medioevale consacrata alla “Beata Vergine della Purificazione”, già nota nel 850 d.C. quindi suppongo che in epoca pre cristiana, nel sito si celebrava il rito della purificazione vedico, vale a dire “L’Imbolc”.

      In alcuni documenti il primo dei quali risale al 801 d.C. si cita un conte “Alchar” o “Alpichar”, figlio di “Autchar”, originario dell’attuale Lenzburg in Svizzera, un nobile al servizio di Pipino il Breve e poi del figlio Carlo Magno, che acquista dei beni nel territorio di Sumirago.

      Il nome di questo nobile “Alpichar”, sembra la continuazione della tradizione ligure e dello stretto legame che i liguri hanno sempre avuto con la loro terra d’origine, quindi potrebbe trattarsi di un personaggio tornato nella terra dei suoi avi per trascorrere gli anni della vecchiaia; da ricordare anche il “Kenneth Mac Alpin”, re degli scozzesi nel X secolo d.C.

Anche la frazione di Albusciago sembra prendere il nome dall’”Alpichar” come potrebbe essere anche per la Buzzano di Besnate, ma la pronuncia dialettale “Albűsciag”, mi propone un provabile celto ligure “Albűsciach”, da “albu” alto e “lak”, lago, quindi lago o stagno alto, come sembra confermato dal torrente Fosso Tenore che da Albusciago scende ad Albizzate, un altro toponimo con il prefisso indoeuropeo alb, per poi finire nell’Arno, ma il lemma lascia campo anche ad altre soluzioni, in quanto con il suffisso “sciach” sinonimo di “re” possiamo considerare l’ipotesi di un luogo sacro alto, o anche il significato di “Scià”, vale a dire “Gran Re”.

      Vale la pena di sottolineare il fatto che “bűsciach” e “bűsciàa”, potrebbero essere sinonimi originati da due lingue diverse, indicanti boschi sacri, in quanto il suffisso “ach” è caratteristico nella lingua degli insubri, mentre “àa”, pronuncia “ǽ” è tipico del gallico.

 Se Centenate era il centro amministrativo dei longobardi, Quinzano san Pietro frazione di Sumirago, era un centro spirituale per i celti, infatti salendo da Buzzano verso il paese, si passa di fianco a un’altura nascosta dal bosco, chiamata monte Martino, un nome caratteristico dei centri spirituali dei celti cristianizzati.

     Infatti, il Monte Martino è una specie di pulpito che si affaccia verso sud ovest, dominando varie località come Buzzano, Centenate, Crugnola, Vinago, Montonate, quindi cinque pagi, che invece dei tradizionali quattro, facevano capo a un centro spirituale posto sul monte Martino, una soluzione sicuramente imposta dall’esiguità della popolazione.

      Cesare Cantù cita un’iscrizione scoperta a Quinzano san Pietro nell’ottocento, dedicata a un: “Q. (Quintus), Quintieni Quintiani Haruspicis”, questo personaggio è da mettere in relazione con la fondazione della sottostante Crugnola il cui nome sarebbe la corruzione dell’antico Colognola, piccola colonia, quindi una colonia romana, l'origine del toponimo trova conferma nel corniolo, che in dialetto umbro è chiamato "crugnilèe", da ricordale la vicina “Crügnolìi”, (Crugnolino).

      Il corniolo era un albero sacro a Quirino, una divinità di probabile origine sabina, ma identificata anche con Romolo, era il dio delle curie (tribù) e degli uomini liberi (i quiriti), quindi Crugnola era sicuramente una colonia romana, pertanto Quinzano doveva essere un fondo appartenente a una delle famiglie coloniali, i Quintieni, che si era elevata a rango superiore, forse grazie all’attività di aruspico del Quintiani (Quinzano).

      Bisogna tener presente che nella tradizione romana il terzo nome è un soprannome attribuito in funzione dell’attività oppure dell’operato del personaggio come è avvenuto per i Scipioni o meglio ancora per Gaio Asinio Gallo, intendente della zecca, e in quanto reggente della provincia insubre gli venne attribuito il soprannome “Gallo”.

      Quindi Quintiani (Quinziano) va considerato come il soprannome di un sacerdote che aveva giurisdizione su cinque villaggi.

      Non a caso nello stemma del capoluogo, Sumirago, sono raffigurate cinque torri poste su colli separati, sormontate da un timone, un emblema che rappresenta le cinque frazioni sottoposte a un’unica amministrazione.

      Non esistono testimonianze storiche sull’origine di questo stemma e nemmeno che in passato i cinque villaggi: Sumirago, Albusciago, Caidate, Menzago e Quinzano, facessero parte di un’unica amministrazione o possedimento, ma comunque Quinzano fa parte di una cinquina di villaggi dalla quale gli deriva il nome. 

      Più in alto di Quinzano c’è Menzago, “Menzag”, in dialetto, forse “Menzagh”, nella lingua primitiva, il cui prefisso indicherebbe un “Menhir”, una pietra sacra, mentre il suffisso “ag” manifesterebbe l’esistenza di un lago, un’ipotesi confermata dalla presenza di una località chiamata “Laghetto”, di tratta di un prato ancora oggi paludoso, quindi si può supporre l’antica presenza di un masso erratico al centro del laghetto, quindi Menzago indicava un “Menir nel Lago”.     

     Alla comunità di Crugnola si potrebbe associare anche la vicina Vinago, “Vinagh” in dialetto, il cui toponimo indicherebbe due laghi, infatti Vinago è situata sopra a una collina posta in un territorio paludoso, quindi un sinonimo di Binago, cioè due laghi, ma considerando la posizione favorevole, non è da escludere che i coloni di Crugnola, l’abbiano destinata alla produzione di vino chiamandola “Vinarius”.   

Di Besnate voglio parlarne in un capitolo a parte mentre qui voglio occuparmi di Casorate Sempione; “Casurà” o “Casorà”, in dialetto si tratta di una cittadina situata a ovest di Gallarate, ai margini di un querceto che si affaccia sopra il ciglione della Malpensa, il   toponimo non sembra di origine celta, anche se potrebbe essere una corruzione latina di “Cassanos”, e indicherebbe un villaggio all’interno del querceto.

Nel nucleo urbano più antico di Casorate, esiste ancora un “Vicolo dei Romani”, il quale si immette su via Roma, che a sua volta, partendo anch’essa dal centro storico si sviluppa in un lungo rettilineo, che mantenendo sempre lo stesso toponimo, raggiunge Arsago Seprio in prossimità della chiesa e del battistero, entrambi di origine medioevale, quindi possiamo supporre che la Casorate attuale sia stata fondata dai romani  per dare sicurezza ai viandanti e mercanti che percorrevano la strada che collegava Gallarate con Somma Lombardo, della quale sono state ritrovate tracce assieme a una necropoli gallica, proprio nel territorio di Casorate.

Quindi attorno al castro pretorio che incuteva sicurezza, oltre a una mansio e a un tempio, forse sacro a Mercurio protettore dei viandanti, si sarebbe sviluppato un villaggio.

 Pertanto considerando che gli indigeni, abituati a pregare all’aperto, chiamavano “cà” i templi romani che avevano un tetto, mentre con “orà” indicavano l’adorazione della divinità, possiamo supporre che l’unione delle due radici celtiche cà-orà, che significava casa della preghiera, avrebbe dato origine al toponimo Casorà, poi italianizzato in Casorate.

Dal centro di Casorate Sempione, poi inizia la via "del Longino", una strada che raggiunge il Ciglione della Malpensa, luogo dove sicuramente c'era un villaggio fortificato dei celti, che dominava il pianoro della Malpensa e il passaggio della via "Novaria”, come il ritrovamento dei resti di attività di lavorazione del bronzo ha dimostrato.

Stesso discorso per la via san Giorgio, un santo guerriero molto amato dagli ariani convertiti, perché uccisore dei draghi, e per questo scambiato per Lug e Indra.

Infatti la strada pur partendo dal centro di Casorate dopo un lungo giro va a confluire in via del Longino, quindi due santi guerrieri che si riuniscono in un unico villaggio

 

 

 

 

  

 

Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, Capitolo VIII

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