Pagina revisionata il 29/10/2023
Busto Arsizio
Sul toponimo di Busto Arsizio sembra che non ci siano dubbi sull’origine funeraria del nome, ma il gotico “Busk”, sinonimo di “Bosco” mi porta ad altre riflessioni, in quanto Busto Arsizio, oltre ad essere situata nel cuore dell’antica “Selva Longa” è circondata da molte località il cui toponimo è un chiaro riferimento al “Busk”, infatti a nord c’è il territorio di Cassano Magnago che confina con Busto trmite le località della “Baraggia”, nome celtico del bosco, “Buscasc”, un dispregiativo dialettale di busk e il diminutivo “Buschiròo”, Fagnano Olona in cui troviamo il santuario della Madonna della Selva continuazione dell’antico culto di Silvano, a est Buscate italianizzazione di busk e Busto Garolfo, il cui toponimo avrebbe il significato di Bosco Garo, oggi comunemente chiamato "gariga" un bosco formato da cespugli come la quercia garina, un cespo che ricresce sui ceppi delle querce tagliate, un fenomeno che ha dato origine anche al toponimo, “Vallagarina”, situata nel Trentino, un territorio ricco di querceti dove come nel bustese si è svolta un’intensa attività di disboscamento, tanto che ancora oggi lo stemma della città di Rovereto è costituito da una quercia.
Un riscontro sulla presenza di una gariga lo troviamo nella vicina Villa Cortese, un villaggio fondato dai romani, in quanto lo stemma del paese ritrae un ceppo di quercia, sul quale sta ricrescendo un ramo.
Purtroppo non esistono notizie sull’origine dello stemma e nemmeno su eventuali nobili del luogo, se non i feudatari della Burgaria, gli stemmi dei quali non contenevano riferimenti alla quercia o ai suoi ceppi; quindi il ritrovamento di un sarcofago romano del I secolo d.C., come il toponimo Villa ci dice che il luogo era abitato da un latifondista romano, i cui beni si estendevano sull’attuale Busto Garolfo, il quale avrebbe imposto al latifondo e al villaggio dove vivevano i suoi schiavi il nome di Bosco Garo.
A Busto Garolfo si segnala anche un oratorio dedicato alla “Madonna della neve”, da considerare una sovrapposizione cultuale ad una divinità delle cime.
Arsizio invece deriverebbe dal greco “àrsis”, sinonimo di “elevamento”, da cui il latino “arx” o “arcis”, sinonimo di “rocca” o cittadella” quindi indicherebbe una città fortificata situata nel bosco, come poteva essere l’accampamento militare romano, il che sembra confermato dall’archeologia, in quanto nel centro storico di Busto Arsizio si sono rinvenute armi romane e tracce di torri risalenti all’epoca etrusca, avvalorando quindi anche la leggenda secondo la quale Belloveso, avrebbe sterminato gli etruschi nel corso di una battaglia che si sarebbe combattuta nel territorio che divide Busto Arsizio da Magnago, pertanto se i vincitori conquistano una fortezza e la incendiano, va considerata come una prassi per un popolo guerriero, che poi i guerrieri si preoccupino di cremare i cadaveri dei nemici, non è del tutto convincente, meglio la putrefazione e la frantumazione delle ossa, un modo sbrigativo per concimare i campi, quindi non mi sembra il caso di assimilare il latino “combustum” con “Busto Arsizio”, nel caso sarebbe più convincente l’ipotesi della presenza di un luogo sacro al dio Solare Bel,
Pertanto anche la leggenda di Belloveso potrebbe essere stata originata dai fuochi di Beltaine, o comunque dal culto di Beleno, in quanto il nome Belloveso è composto dalla radice Beleno e da un suffisso “veso” che ritroviamo anche nel nome del fiume Seveso sacro a Sequana la dea della Senna, in quanto veso sarebbe originato dal sanscrito “vasu”, sinonimo di “dimora”.
Infatti nella tradizione vedica si citano gli “Asta Vasu”, le dimore delle otto divinità più importanti della natura, “Terra, Fuoco, Acqua, Vento, Sole, Cielo, Luna e Stelle”, e pertanto veso sarebbe una corruzione del sanscrito Vasu, e quindi Belloveso indicherebbe una dimora di Bel, come il fuoco di Beltaine, mentre per fare un esempio: il fiume e Seveso sarebbe la dimora di una dea dell’acqua, come Sequana, sovrana anche delle acque della Senna.
La radice “veso” la troviamo in forma corrotta nei nomi del Monviso e del Vesuvio, che come il nome del Seveso indicherebbero la dimora di un dio; da notare che Belloveso potrebbe essere un sinonimo del varesotto “Belvedè”, e del bustocco “Belvedu”, luoghi dove si invocava il sorgere del sole.
Da ricordare il francese maison (pronuncia meson) sinonimo di dimora, che etimologicamente si accomuna al tedesco wesen, sinonimo di natura o creatura, quindi un aggettivo comune in relazione con il culto della natura, che probabilmente in epoca pre cristiana indicava la natura come dimora degli dei
Nel centro di Busto Arsizio ma, all’esterno del quadrilatero sul quale i romani avrebbero costruito la loro fortezza, troviamo piazza San Michele, sulla quale si affacciano due chiese la più grande è consacrata a San Michele, mentre la più piccola del XVII secolo è consacrata alla “Madonna in Prato”, i vicoli stretti e tortuosi che si trovano alle sue spalle dimostrano un origine del borgo molto più antica del XVII secolo e il fatto che sia situato fuori dalle mura romane ci conferma che la Madonna In Prato è l’ennesima sovrapposizione cristiana su un prato sacro a una divinità insubre, e quindi appartenente al demanio pubblico (gana).
Di fianco alla chiesetta della Madonna in Campo parte via Quintino Sella, dalla quale subito dopo la chiesa si dirama via Vespri Siciliani, un lungo rettilineo che si dirige alla periferia ovest di Busto Arsizio e che dopo l’incrocio con via Corbetta prende il nome di via “Madonna della Veroncora”, la strada dopo essere passata nei pressi di un oratorio dedicato alla Madonna della Veroncora, prosegue tra i campi in direzione di Samarate.
Pertanto possiamo considerare quel rettilineo come l’estensione del demanio pubblico, se non addirittura l’asse principale di una centuriazione chiamato “decumano massimo”.
Il che potrebbe spiegare il toponimo Veroncora, in quanto nelle centuriazioni, come segno di confine, i romani ponevano un “Cippo gromatico”, il quale era costituito da una grossa pietra pesante qualche quintale, forata al centro per poter essere fissata al suolo in modo irreversibile, la cui forma poteva dare l’impressione di un verone ancorato.
Si trattava di un segnale di confine sacro, inventato dai Sumeri che lo chiamavano “Kudurru”, e a tutti quelli che osavano spostarlo, veniva tagliata la testa.
Il sistema fu portato in Europa dai persiani, tanto che nel dialetto lombardo è rimasta l’esclamazione: “Cò dür”, sinonimo di testa dura, come poteva essere il segnale di confine
Del resto, l’etimologia di Veroncora è un po’ complessa, in quanto contiene due radici, vale a dire: “verone”, che in forma poetica significa “balcone”, “ronco”, “altipiano, e cora”, sinonimo di “cuore”, il quale nella tradizione antica era il contenitore dello spirito o anima.
Parlare di ronco o balcone nel cuore di una pianura è completamente illogico, salvo l’eventuale presenza di un pozzo, il che sarebbe coerente con la l’esistenza di un luogo sacro.
Quindi la Veroncora era un luogo o pozzo sacro, pertanto non è da trascurare l'ipotesi che Veroncora sia un toponimo originato dal gallico “Vernos”, uno dei nomi dell’ontano, l’albero sacro alla Morrigan, la regina della palude, quindi la radice cora andrebbe ad aggiungersi al prefisso Ver a indicare in un ontano sacro alla Morrigan, pertanto il toponimo indicherebbe: il “Cuore di Vernos”, per l’acqua del pozzo intesa come un dono divino
Particolarmente interessante è la via Favana, un lungo rettilineo che inizia davanti al cimitero e si dirige verso Samarate, passando davanti all’omonima cascina, per andare a perdersi nei boschi prima di incrociare la via Ortigara, che da Samarate porta a Bienate.
Nel sito non esistono tracce di luoghi sacri, ma il toponimo mi porta a prendere in considerazione la cripta della Madonna della Favana IX secolo a.C., situata a Veglie in provincia di Lecce, luogo di pellegrinaggio per gli ammalati di favismo.
Il legame tra questa via e le fave è contrassegnato anche dal fatto che inizia davanti al cimitero; infatti l’antropologo francese Lèvi-Strauss affermava che gli antichi: credevano che le fave fossero connesse con il mondo dei morti, della decomposizione e delle impurità, per cui i filosofi dovevano astenersi dal mangiarle.
Ma non si può trascurare il fatto che attualmente via Favana si interrompe ai margini di un bosco, il quale più a ovest è attraversato da via Ortigara una strada comunale che collega Samarate con la sua frazione Cascina Elisa.
Ora, considerando che nel tratto di attraversamento della frazione, la strada prende il nome di via Favana e considerando che il toponimo Elisa può essere una sovrapposizione cristiana al maschile Helios, che come tutte le divinità solari era anche un dio delle guarigioni, si può pensare alla via Favana come a una strada che portava a un luogo di culto ad invocare la guarigione, ma anche a fare ricorso alle cure del druido, le cui conoscenze mediche, per quanto empiriche in qualche modo riuscivano ad attenuare i problemi fisici della gente.
Sempre da via Quintino Sella inizia un asse stradale che si dirige a est, verso la valle Olona, seguendo via Isonzo, Piave, e via Volturno, fino a giungere in largo Po, dove la viabilità è stata stravolta con la costruzione della ferrovia, ma in forma primitiva proseguiva con l’attuale via “Scisciana”, e dopo l’attraversamento del Sempione si dirige verso Olgiate Olona, prendendo il nome di: “strada del Gerbone”, anche via Bellingera, una strada antica che esce dal centro storico di Busto, dirigendosi verso est sembra portare a un luogo sacro a Bel, in quanto il suffisso “gera”, porterebbe al greco “hieròs”, sinonimo di “sacro”.
Scisciana è comparabile con “Scisciano”, comune in provincia di Napoli, confinante con Somma Vesuviana, secondo gli studiosi del luogo il toponimo avrebbe origine dal gentilizio romano “Sittianum”, oppure “Sittinus”, ma considerando che Scisciano abitata dagli “Oschi”, tribù umbra che faceva parte della “Liburia”, nome adottato dai campani dopo la sconfitta di Capua, detta anche terra del lavoro e perfino “Liguriae”, quindi si trattava di gente imparentata con i liguri, per cui, considerando la grande fertilità del territorio proporrei il greco “Sȋtos” sinonimo di “grano” o “cibo, senza contare una corruzione del greco “Siròs”, = “silos” , ma su queste ipotesi sembra prevalere Siziano, “Sisiä” in dialetto, situata in provincia di Pavia, la giusta pronuncia del toponimo dialettale, con la “æ” finale si avvicina molto a Scisciana che in ogni caso è una italianizzazione al femminile, per cui mi sovviene il greco “syzygìa” = “unione”, non a caso il territorio di Siziano è costituito da due aree, quella urbana e quella industriale, che si congiungono solo per uno stretto corridoio , pertanto “syzygìa” potrebbe essere la radice originaria di Arsizio, per cui si può ipotizzare una strada che riuniva due villaggi.
Con lo stesso orientamento della strada del Gerbone, ai margini del centro storico, c’è via Gavinana un toponimo di sicura origine ligure latina, in quanto sarebbe originato dal latino “gavia”, sinonimo di gabbiano, certo, la Busto Arsizio moderna non è luogo di gabbiani, ma anticamente qualche palude poteva pur esserci, Sacconago per esempio contiene la radice ligure “lak”, soprattutto quando i romani deviarono in direzione di Busto Arsizio il Tenore e il Rile, deviazione che ancora nel XX secolo era causa di inondazioni alla periferia nord della città; dalla posizione di via Gavinana possiamo supporre che facesse parte di un fossato che circondava il borgo.
Da citare la tradizione romana del “cinto Gabinus”, un modo di vestire nelle cerimonie sacre a Marte, quindi in prossimità della via Gavinana è possibile l’esistenza di un campo di Marte.
Gavinana è anche una frazione di San Marcello Pistoiese, situata su una rocca a 800 m. slm, divenuta famosa per una battaglia tra guelfi e ghibellini di Firenze, da cui prenderebbe il nome il quartiere fiorentino Gavinana, ma anche questo quartiere è situato sulla riva dell’Arno, quindi tutto è possibile, di certo siamo in terra ligure quindi anche se si trova in montagna, la Gavinana di San Marcello potrebbe prendere il nome da uno stagno frequentato dai gabbiani, ma rimane da capire la relazione tra il monte Gavia e i gabbiani, in quanto trovo difficile che i due laghetti posti in prossimità del passo, possano costituire un habitat idoneo per dei volatili di mare.
Interessante è anche il vicolo “Purificazione”, considerando la sua posizione ai margini del centro storico, si può pensare al rito della purificazione, a cui in epoca romana doveva sottoporsi chi voleva entrare in una città, quindi il vicolo si trovava nei pressi di una porta e di un tempio antichi.
Via Caslana, è una strada che dalla periferia confluisce in via Longù, la quale a sua volta si dirama da via Madonna In Campagna, che proviene dal centro di Sacconago e si dirige presso l’omonima chiesetta spersa tra i campi,
Il toponimo Caslana è comparabile con quello del monte Caslano ai piedi del quale sorge l’omonima località; si tratta di un monte posto sulla riva del Ceresio proprio di fronte a Ponte Tresa dal quale si può dominare buona parte del lago, quindi mi sembra logico pensare a un monte sacro, dove il toponimo contenente la radice lano porta al cinghiale semilanuto, nel quale si incarnavano Lug e Varuna; Quindi Caslano e Caslana indicavano un tempio o una casa del Cinghiale.
Via Longù è da mettere in relazione con il monte Longù (monte Longo) in provincia di Nuoro sul quale è stato ritrovato un dolmen (sepolcro) di origine pre nuragica.
Interessante è il toponimo via Piombina la quale transita di fronte alla chiesetta della Madonna In Campagna, un toponimo riconducibile all’omonimo maschile Piombino, il quale sarebbe originato dalla corruzione di “Populino”, che significa Piccola Populonia, com’era chiamata la Piombino romana.
Ma il nome etrusco di Populonia era “Fufluns” una divinità etrusca del vino, figlio di Tinia e Semia la dea etrusca della terra, come la romana Cerere, e la greca pre ellenica Semele adorata dai traci e dai frigi, i quali l’avrebbero introdotta tra gli italici.
Quindi la via Piombina potrebbe essere una traccia della presenza etrusca, in quanto il teonimo Semia potrebbe aver originato il toponimo dialettale “Sinagù”, il quale etimologicamente è sicuramente più affine al toponimo primitivo, e il sito in cui oggi sorge la chiesetta della Madonna in Campagna essere un luogo dove si adorava Semia, la quale essendo una divinità adorata anche dai traci poteva essere idolatrata anche dai liguri.
Infatti non bisogna dimenticare che gli etruschi, erano liguri che associandosi con i mercanti fenici, si erano arricchiti, e abbracciato le loro stesse usanze.
Ma è ipotizzabile anche la presenza dei galli senoni, i quali nel 400 a.C., proprio nella vicina Magnago avrebbero fatto strage di etruschi, e quindi potrebbero essersi insediati nel sito di Sinagù, che in dialetto varesotto si pronuncerebbe “Sinag”, come la non lontana Senago “Senagh” in dialetto, una località posta ai margini del parco delle Groane dove non mancano torrenti e paludi, e le cave di argilla e ghiaia, le quali ci dicono che a Senago c’era uno stagno che probabilmente i galli senoni avrebbero consacrato a Sequana la dea della Senna.
Infatti nei due toponimi troviamo il suffisso “agh” originato dal ligure “lagh o lak” sinonimi di lago, del quale a Sacconago non troviamo più tracce, se non nella vicina Borsano, dove si segnala l’antica presenza di una chiesa campestre, dedicata a santa Maria dei Restagni, un palese riferimento a un territorio paludoso, il cui attraversamento poteva comportare dei pericoli, da qui il ricorso alla protezione divina per mezzo di una divinità.
Nel nome di Sacconago troviamo anche la radice “Sacco”, il cui significato antico si può mettere in relazione con il nome della vicina Borsano, “Bursàa” in dialetto, il quale poteva essere originato dal greco “Byrsa”, sinonimo di borsa, “bursa” in latino e lombardo il quale in pratica era un sacco in pelle di bue.
Il greco byrsa mi porta anche al fenicio bozra, il quale, sarebbe diventato anche il nome della roccaforte attorno alla quale poi, si sarebbe sviluppata Cartagine.
In merito al toponimo Bozra, esiste la leggenda sulla fondazione di Cartagine la quale racconta che la regina Didone fu costretta a fuggire da Tiro in seguito all’omicidio del marito Sicheo, ad opera del fratello Pigmalione, che gli contendeva il trono e dopo lunghe peregrinazioni avrebbe ottenuto dai mauritani tanta terra quanta ne avrebbe potuto contenere una pelle di bue.
Astutamente la regina avrebbe fatto ritagliare in tante strisce sottili la pelle di un bue, con le quali disegnò un perimetro ben più ampio da quello che in apparenza poteva contenere un sacco di pelle.
Nella realtà si può ipotizzare che le strisce fossero lingotti d’oro contenuti in una “Bozra”, in quanto Didone sarebbe fuggita da Tiro portando con sé le proprie ricchezze, e forse anche il tesoro della dea Astarte, con il quale comprò tanta terra quanta ne poteva pagare una byrsa piena di strisce (lingotti) d’oro e argento, e con il tesoro pagò anche i mercenari mauritani che da allora combatterono al servizio dei mercanti cartaginesi.
E appunto la regina Didone decise di chiamare Bozra il promontorio pagato una bozra d’oro, e sul quale aveva costruito il nucleo primitivo della città.
Gli eventi successivi al ritorno a Cartagine di Annibale, mi fanno pensare alla presenza nel territorio bustese di una base logistica cartaginese, in quanto, subito dopo la partenza di Annibale ci fu un fino allora sconosciuto generale Cartaginese chiamato Amilcare, che alla guida di un esercito di insubri conquistò Piacenza, che allora raccoglieva i cereali della Padania per rifornire Roma e gli eserciti
Subito dopo Amilcare tentò di conquistare anche Cremona, che a quei tempi era l’altro granaio dei romani nella pianura Padana, ma venne sconfitto e ucciso in battaglia.
Pertanto possiamo supporre che Annibale aveva predisposto un sistema logistico che gli permetteva di sfruttare la fertilissima pianura Padana per comprare il ferro e ingaggiare mercenari nel Nord Europa.
Quindi prima di abbandonare l’Italia, per correre in difesa di Cartagine, incaricò uno dei suoi generali, Amilcare, di continuare la guerra contro Roma allo scopo di indebolire i romani.
Ora considerando che il greco byrsa sarebbe originato dal fenicio “bozra”, il quale era anche il nome che i cartaginesi avevano dato alla rocca attorno alla quale si è poi sviluppata la città di Cartagine e, considerando i toponimi medioevali “Brossano”, e “Broxiano”, i quali potrebbero essere una latinizzazione del fenicio Bozra si può supporre che la base logistica che riforniva Annibale fosse proprio Borsano.
La riprova sulla mia ipotesi delle origini cartaginesi di Borsano lo troviamo anche in Turchia, in Bitinia sulla riva del mar di Marmara, dove Annibale si rifugiò ospite di re Prusia I con il quale sperava di riprendere la guerra contro Roma.
Durante l’inutile attesa il condottiero si dilettò nel lavoro di urbanista, progettando la costruzione della città, che avrebbe portato il nome di Prusia, ma che dopo la morte del re, i suoi successori le cambiarono il nome con Bursa, la città natale di Annibale.
Oggi Bursa co 3 milioni di abitanti è una delle città più popolose della Turchia.
In Italia si possono trovare altri toponimi che riconducono alla presenza di Annibale, infatti, gli storici moderni citano una sconosciuta “Motta di Borzano”, forse una contrada di Locri, come il luogo del ritrovamento dei ruderi dell’antica Locri Epizeferi, una colonia greca entrata più volte in relazione con Cartagine.
Durante la prima guerra punica, Locri fu devastata dai cartaginesi guidati da Annone, mentre nella seconda guerra, fu la prima città calabrese ad allearsi con Annibale.
Anche qui gli eventi fanno pensare alla presenza di una comunità cartaginese, e con ogni provabilità fu l’ultimo rifugio di Annibale prima del suo ritorno in Africa.
Con la sua posizione in riva al mar Jonio, dirimpetto all’Africa, è possibile che a Locri fosse già presente una comunità mercantile cartaginese, il cui peso economico influiva in modo determinante sulla politica di Locri.
Una Borzano (Bursàn in dialetto locale), la troviamo anche in provincia di Reggio Emilia, terra dei boi alleati di Annibale, ma della località non ci sono notizie storiche.
Sulla presenza di Annibale a Borsano, partendo dal presupposto che il sito di “Victumulae” dove si sarebbe svolta la battaglia del Ticino non è mai stato individuato, anche perché il toponimo Victumulae, a mio parere faceva riferimento al cimitero di un pagus, quindi considerando che Borsano dista meno di 10 Km dal fiume Ticino e da Turbigo, il luogo dove secondo alcuni storici, era accampato l’esercito romano prima della battaglia, mentre i cartaginesi erano acquartierati sulla riva opposta nei pressi dell’attuale Galliate, pertanto si può supporre che, successivamente alla battaglia, Annibale abbia attraversato Il Ticino, e dopo aver saccheggiato il campo romano, si sia insediato in territorio amico, all’interno della Selva Longa, dove con l’aiuto dagli alleati Insubri avrebbe riorganizzato il suo esercito prima di oltrepassare il Po.
Quindi si può ritenere che nei pressi di Busto sia sorto un villaggio cartaginese chiamato Bozra, dove un gruppo di guerrieri punici comandati da Amilcare provvedeva ad addestrare e armare i mercenari che venivano assunti dagli insubri, per poi inviarli di rincalzo all’esercito principale.
In ciò bisogna prendere in considerazione anche il grande disboscamento messo in atto nel circondario di Busto Arsizio, che gli archeologi anno attribuito all’attività ferriera che in epoca romana si sarebbe sviluppata nel bustese, forse favorita dalla presenza di molti fabbri ferrai precedentemente al servizio dei punici.
Altre strade di Busto Arsizio portano nomi di origine antica come via Codima, un toponimo che ritroviamo in Ucraina nell’oblast’ di Odessa terra anticamente abitata dai traci, in una città chiamata Kodyma e nel’omonimo fiume che l’attraversa prima di confluire nel Bug meridionale.
Mancando notizie sull’origine del toponimo, si può considerare che il territorio di natura paludoso, del quale si ipotizza l’origine del nome di luogo, che è sempre stato disabitato fino al 1754 quando venne fondata la città che prese il nome del fiume che la attraversa
Da citare la via Maestrona, la quale è costituita da un unico nucleo agricolo, essendo parallela alla statale 527 che collega la valle del Ticino con la valle Olona potrebbe essere un riferimento alla vecchia strada romana che collegava i due fiumi; in oltre il toponimo Maestrona, potrebbe riferirsi al “Decumanus Maximus”, di una centuriazione che notoriamente il suo asse principale correva da est verso ovest, come la statale 527, il cui asse se prolungato, si intersecherebbe con via Caslana e via Longù, la quale a sua volta è parallela a via Madonna in Campagna, che si dirige verso l’omonima chiesetta (un altro centro spirituale ariano), via Speranza e via Ronchetto, tutte strade con toponimi di origine antica che fanno pensare a un luogo di culto.
Un ronchetto in aperta pianura fa pensare a una collinetta sacra realizzata artificialmente a scopo religioso, come le Mutere del Veneto e le Mot Hill della Scozia.
Da segnalare alla periferia nord est via Macca, che potrebbe essere la corruzione di “Mocco”, soprannome dato al dio Lug, un usanza irlandese, dove adoravano anche “Cerridwen”, “la dea Scrofa Bianca”, ciò sembra essere confermato dal fatto che via Macca fa parte di un asse stradale interrotto dalla ferrovia, ma che parte dal Santuario di Santa Maria in Piazza e arriva nei pressi della Cascina del Buon Gesù, un toponimo che potrebbe risalire a un periodo di transizione, quando gli ariani nella fase di cristianizzazione chiamavano Lug con l’appellativo di “Hesus il Buono”.
Lungo la strada che da Borsano porta a Bienate, in località “La Bertana”, è stata ritrovata una necropoli romana.
Bertana, oltre a ricordare Berta madre di Carlo Magno, il cui nome sarebbe un sinonimo primitivo di “gazza”, con il significato di “ciarliera”, quindi luogo frequentato dalle gazze, ma nella lingua dei liguri Bertana indicherebbe una sorgente della regina ciò troverebbe conferma dalle vicine Bienate e Magnago, vale a dire “Maghnach”, cioè Campo Allagato, mentre il suffisso “BI” di Bienate indicherebbe un doppio lago, sul modello di un ipotetico primitivo “Bienach”.
Il nome Berta ci porta a una componente della famiglia Obertenghi marchesi di Milano, Genova e Luni, nobili di origine longobarda, la quale andò in sposa al marchese di Torino e Susa, Olderico Manfredi II, dal quale ebbe tre figlie una delle quali fu chiamata Berta come la madre, quindi mi sembra evidente che il toponimo Bertana faccia riferimento a una proprietà della nobildonna milanese.
La storia ci parla anche di una Berta moglie di Arduino I di Pombia marchese di Ivrea e re d’Italia, che molti identificano con la Obertenghi; in realtà della regina si sa solo che è morta nel 1014, mentre la consorte del Manfredi sarebbe nata nel 999, quindi considerando l’età delle 2 nobildonne, sono propenso a considerare un rapporto di parentela zia nipote.
Da considerare anche lo stretto rapporto di fedeltà delle famiglie Obertenghi Manfredi nei confronti di Arduino nel corso delle sue lotte contro i vescovi sostenitori del potere spirituale, ma sostenuti dall’imperatore Enrico II, mentre il predecessore Ottone III si era mantenuto neutrale.
Con la vittoria dell’imperatore i due capifamiglia ne pagarono le conseguenze al pari di Arduino, con la perdita dei titoli e la scomunica.
Da sottolineare che Arduino era re di un Italia composta solo dai tre marchesati che si erano alleati approfittando di una crisi di potere causata dalla morte dell’imperatore Ottone III.
Sempre nei pressi di Borsano troviamo Dairago, un toponimo originato dal nome celtico della quercia “Dair”, l’albero sacro per eccellenza, da qui la tradizione di Capo Pieve.
A Dairago è presente una strada chiamata “Via Campo Delle Erbe”, il che fa pensare ad una coltivazione di erbe medicinali utilizzate dai druidi, veri precursori dell’odierna erboristeria.
A Ovest di Sacconago, troviamo Magnago, “Magnàgu”, nella forma dialettale bustese, anche Magnago è riferibile a Maghnach, cioè campo allagato, oppure magnanimo inteso come pronome ossequioso verso una divinità.
Al confine di Magnago troviamo Vanzaghello
I liguri usavano nascondere il tesoro della tribù nei boschi sacri, tra le pietre o sotto gli alberi, numerosi di questi tesoretti sono stati ritrovati sui monti della Liguria mentre toponimi come “Vanzaghello”, “Ghiringhello”, “Gazzada” sono stati originati in epoca medioevale in seguito al ritrovamento o al furto di questi tesoretti, pertanto anche il nome della vicina Olcella, una frazione di Busto Garolfo sarebbe una corruzione del ligure “Arsela”, sinonimo di “cassettina”, ancora in uso a Genova, il quale è una forma diminutiva di “arca”, da confrontare anche con il veneto “scarsea”, sinonimo di ”tasca”, quindi un altro tesoro tribale ritrovato.
Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, Capitolo VII
Rino Sommaruga 2016
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