Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, XIII Capitolo

Pagina aggiornata il 02/06/2024

 

 


Il Novarese

 

 

 

Il toponimo Trecate sarebbe da mettere in relazione all’esistenza di una cittadella fortificata insubre che controllava il guado sul Ticino, chiamato dai romani: “Vadum Tercantinum” (Trecate)

Tercantinum è un toponimo che richiama l’antica città di Antinum posta nell’alta valle del Liri, a Sud del lago Fucino abitata dai marsicani, una tribù umbra che adorava il dio della guerra “Mamerte”, poi come i celti Mogetius e Toutatis associato a Marte, si può supporre un legame culturale tra Antinum e Tercantinum.

Tercantinum potrebbe fare riferimento a una “Mutera”, (mucchio di terra), colline sacre artificiali, caratteristiche della cultura paleoveneta, in quanto “Antinum”, sarebbe una corruzione del paleoveneto “Altnoi”, sinonimo di altare. 

Sull’etimologia di Tercantinum e Antino, posso prendere come riferimento il latino “ante”, sinonimo di davanti e  “terrenus”, sinonimo di terreno, forse “Tercantinum”, si riferiva a un banco di sabbia situato davanti al guado, che facilitava l’attraversamento del Ticino.

Da considerare anche un eventuale prefisso originato da “Teres”, sinonimo di liscio, con riferimento all’aspetto del fiume, oppure “terribilis”, “terror”, o “territo”, indicanti la paura che la divinità avrebbe dovuto procurare ai nemici.

Al di là del “Vadum Tercantinum”, c’è Trecate, il cui toponimo può essere messo in relazione con la dea dei tre volti “Ecate”, o “Hecate”, la cui natura divina era rappresentata da tre corpi.

Ecate era una divinità antichissima adorata dai Traci, quindi riconducibile alla cultura di Varna, pertanto giunge nel nostro territorio con il culto di Varuna, e il suo aspetto di triplice dea ci riconduce alla “Tridevi” dell’induismo: “tre divine distinte in una sola”, le cui manifestazioni apparivano di diversa natura.

Originariamente Ecate era considerata una dea madre protettrice dei parti, ma soprattutto la dea della natura, in quanto il suo triplice aspetto raffigurava quelle che allora erano le tre stagioni dell’anno, la bambina rappresentava la stagione della semina, la donna raffigurava il tempo del raccolto, e la vecchia il periodo della rigenerazione della terra, e come tale il suo simbolo era il triscele, mentre veniva identificata con la luna e spesso confusa con Artemide.

Ma con l’introduzione della semina dei cereali in autunno, l’anno sarà suddiviso in quattro stagioni, pertanto nella Grecia classica e tra i romani, Ecate sarà sostituita da Demetra e Cerere, mentre lei diventerà una dea della magia e degli spettri, rappresentati dalle sue tre figlie, le Empuse, che di notte molestavano i viandanti.

Veniva spesso raffigurata con una torcia in mano, e secondo tradizione accompagnava i vivi nel mondo dei morti, infatti fu testimone del rapimento di Proserpina (la Primavera) figlia di Cerere, compiuto da Plutone.

Le sue statue che la rappresentavano nella triplice figura di donna:” giovane, adulta e vecchia”, venivano poste nei trivi (incroci a tre vie), a protezione dei viandanti, mentre le sue figlie, chiamate “Empuse”, erano dei mostri soprannaturali femminili, che avevano l’abitudine di terrorizzare i viaggiatori, quindi quelli che pronunciavano voti davanti alla statua di Ecate, più che protezione, cercavano di rabbonire la dea, affinché potessero transitare da quel luogo senza incorrere nelle manifestazioni terrificanti delle Empuse.

Pertanto la località di Trecate, luogo dove il sentiero che proviene da Vigevano e dalla Liguria si congiunge con la strada Milano Novara, deve il suo toponimo alla presenza di una statua in onore di Ecate, mentre il toponimo Tercantinum, potrebbe trarre origine anche dalle manifestazioni di Ecate e delle Empuse, le quali con ogni provabilità erano provocate dai gas, che sprigionandosi dall’acqua delle paludi, si infiammavano a contatto con l’ossigeno, spaventando la gente di allora, ignara di quel fenomeno naturale, quindi Tercantinum poteva  prendere il significato di: “Terrore Davanti al Nume”.

Situato sulla riva sinistra del fiume Agogna, al centro del vasto altipiano che separa il Ticino dal Sesia e luogo d’incrocio delle direttrici nord – sud (Lago d’Orta Novara), est – ovest (Saronno Torino), è un vero e proprio “Mediolanum”, dove tra l’altro a dimostrazione dell’importanza del sito è stata ritrovata una necropoli longobarda.

Quindi nell’antichità Momo oltre ad essere stato un importante centro di controllo del territorio, e nell’era preistorica era certamente un centro spirituale, infatti il toponimo farebbe riferimento al dio greco Momo, Momus in latino, figlio della Notte e del Sonno, considerato il dio del riso, della maldicenza e del sarcasmo.

Ma l’importanza di questa divinità esula dagli attributi sopra citati, in quanto essendo figlio della Notte e del Sonno, potrebbe essere messo in relazione con la luna.

Infatti etimologicamente il nome Momo è affine al nome inglese della luna: “Moom”, e a quello tedesco “Mond”, originati dal nome del dio lunare dei frigi: “Men”, sinonimo del latino mensis, il quale sovrintendeva alla regolarità del ciclo lunare, e forse anche al ciclo mestruale femminile.

Nel XII secolo a.C., i frigi prima di migrare in Anatolia, abitavano i Balcani, forse la Tracia, ed erano conosciuti con il nome di “Brigi”, un etnonimo che nella lingua celta significava “Montanari”, quindi si può ritenere che la loro cultura era affine a quella dei celto liguri, e che pertanto il culto di Men, alias Momo, Moom e Mond è arrivato in Europa con i liguri.

Ricordiamoci che in origine il dio della lunare era uomo e i sumeri lo chiamavano Nanna, quindi è possibile che Momo forre la corrispondente divinità lunare dei persiani.

Da ricordare anche che nel gergo dialettale nord occidentale, il momo era una caramella che si prometteva ai bambini piccoli, forse anche il retaggio di una pillola contraccettiva primitiva mentre ancora oggi nanna è la parola magica che si rivolge ai bambini quando è ora di andare nel mondo sei sogni dove regna la luna.

Agnellengo è una frazione del comune di Momo, posta invece sulla riva destra dell’Agogna, il suo toponimo ha il suffisso “engo”, il che mi fa pensare a un sinonimo longobardo di anello, cerchio o recinto, dove si custodivano le pecore, il quale avrebbe potuto essere un recinto sacro, vista la presenza in loco di una chiesa.

Ma non si può escludere un patronimico di origine longobarda che indichi una località appartenente a un individuo di nome Agnello, Aniellus, ecc.

Il suffisso engo mi porta anche alla vicina Barengo, la quale essendo situata ai piedi di un altipiano mi suggerisce l’idea di una sorgente sacra a Bormanus, che sgorga o sgorgava dai piedi della collina.

Il suffisso engo come il sinonimo ingo, potrebbe riferirsi allo stesso Bormanus, o al nome di un antico proprietario dei luoghi, chiamato: Ingone di Bercledo.

Il suffisso engo potrebbe riferirsi al nome di un antico proprietario dei luoghi, chiamato: Ingone di Bercledo.

A dimostrazione delle origini liguri di Barengo, sull’altipiano esiste una cascina Vallazza, una chiara continuazione dell’antico toponimo Varahi cioè un centro spirituale ariano

Scendendo da Somma Lombardo lungo la valle dello Strona, si arriva in riva al Ticino, in località “Porto della Torre”, alla quale gli storici attribuiscono l’origine del toponimo alla presenza di un traghetto di proprietà dell’antica famiglia “Della Torre”, considerando l’onnipresenza lungo il Ticino di torri e castelli rimango scettico, in quanto i prefissi Tor o Tur sinonimi di torre, li troviamo anche più a valle sempre in relazione a località dov’erano posti i traghetti per attraversare il Ticino come Tornavento e Turbigo, oppure Turnavent e  Turbig in dialetto, luoghi dove era sicuramente presente un presidio militare.

Risalendo la collina del versante piemontese, troviamo Varallo Pombia e Pombia due toponimi che sicuramente hanno avuto origine durante l’età del rame, il primo come luogo di culto, il secondo come villaggio facenti parte della vicina civiltà di Golasecca, e legato all’estrazione dell’oro dalle sabbie del Ticino, allora ricchissime.

Il toponimo appare per la prima volta in un documento del 17 giugno 885 d.C. conservato nell’archivio capitolare di Santa Maria di Novara, nel quale si cita un Signum + Luoni de “Uuaraio”, si tratta di una forma confusa di latinizzazione dei toponimi, che con la doppia u s’intendeva sostituire la W celtica; In seguito il toponimo appare nelle forme di Varalli, Varallum e Varadium.

Che si trattava di un varahi celtico ce lo conferma la presenza di una località chiamata: “Campo dei Fiori”, un toponimo caratteristico dei luoghi di culto celti legati alle divinità solari, dove nella notte tra il 30 aprile e il primo di maggio si celebrava il “Beltaine”, la cerimonia che festeggiava l’arrivo della bella stagione.

Infatti il sito è costituito da un altipiano di 100 metri a strapiombo sulle acque del Ticino e rivolto verso est, da cui dovrebbe derivare il toponimo che indica un centro spirituale posto a strapiombo sulle acque del fiume, per cui in latino potremmo avere Varadium a Plumbum o Plumbi.

Le caratteristiche del luogo, lo rendono un vero e proprio menir, o ambone naturale, che gli indoeuropei germanofoni chiamavano Pergamo, usato anche da Omero per indicare l’altipiano sul quale sorgeva la reggia di Priamo, e divenuto il nome di una città ellenica fondata nel III secolo a.C., su un altipiano anatolico, chiamato appunto Pergamo.

Anche il nome della città di Bergamo trae le stesse origini.

Nel sito, ancora oggi disabitato, sono stati ritrovati mucchi di pietre, che gli studiosi hanno considerato come resti di aurifodine per l’estrazione dell’oro, ma io non escludo che in realtà siano resti di strutture religiose.

Ma il capoluogo del sito sembra essere stata la confinante Pombia che i romani chiamavano “Flavia Plumbia”, che voleva dire: “Pombia Dorata”, per la grossa quantità di oro che si estraeva dal Ticino, tanto che ancora oggi sono presenti le mura medioevali che proteggevano la città e le ricchezze dei suoi signori, che avrebbero esteso il loro potere sul novarese e il milanese già a partire dai longobardi con i conti di san Giorgio e poi con i franchi, tra i quali emerse: Arduino figlio di Dadone, che diventerà duca d’Ivrea e poi re d’Italia, dopo la morte di Ottone III di Sassonia.

L’ascesa al trono di Arduino sarebbe stata favorita dalla ricchezza acquisita con l’oro del Ticino ma anche dal matrimonio con Berta degli Obertenghi, una potente famiglia di origine longobarda, marchesi di Milano e principi di san Colombano.

Il sentiero proveniente dalla Liguria prima di giungere a Varallo Pombia attraversava Marano Ticino, località posta sullo stesso altipiano di Varallo, e che si affaccia sia sulla conca del lago Maggiore; sulla valle del Ticino.

Il toponimo Marano sarebbe originato dal sanscrito “Mahӓrӓja”, sinonimo di gran re, ma la presenza di una frazione chiamata Campora fa pensare a una “Mahӓrӓnj”, una gran regina, come poteva essere “Rhetia Phora”, protettrice dei passaggi e quindi dei passanti.

Il passaggio sull’altipiano era una scelta obbligata, in quanto a causa delle grandi anse del Ticino, in quel punto la tradizionale via lungo il fiume si allungava di molto.

Della civiltà di Golasecca anch’essa legata all’estrazione dell’oro dalle sabbie del Ticino, faceva parte anche il territorio del comune oggi chiamato Castelletto Ticino, un sito archeologicamente molto importante, ma del quale ho già parlato nel capitolo sul Verbano.

Una situazione omonima a quella di Angera la troviamo sulla sponda opposta del Verbano, con la rocca di Arona, anche qui con due toponimi diversi

La rocca è costituita da una parete verticale di natura calcarea situata praticamente sulla riva del lago fino a limitarne il passaggio, un vero e proprio altare naturale, sulla cima soprastante sono state trovate tracce di insediamenti celti  perciò si può pensare che il luogo fosse sacro a una divinità dell’acqua, come poteva essere “Epona”, una matrona dell’acqua, colei che compie la magia di far galleggiare le cose, da lei quindi deriverebbe il nome della rocca mentre il villaggio situato sulla riva del lago, sarebbe l’antica “Hetoredia”, citata dagli storici.

Il toponimo Hetoredia, sembra confermare la presenza del culto di Epona la quale era anche considerata protettrice dei cavalli, in quanto gli veniva attribuita la magia di far galleggiare i cavalli,

Etimologicamente il toponimo contiene il prefisso “Heto”, indicante gli etolici, un popolo greco, famoso come allevatori di cavalli, e il celtico “redia”, sinonimo di “domatori”, da citare come esempio il nome antico già attestato di Ivrea, “Eporedia”, indicante i “domatori di cavalli”,

Quindi Hetoredia era un villaggio abitato da domatori di cavalli di origine etolica.

La località di Mercurago, posta alla periferia di Arona, dove inizia la strada per Ivrea deve il suo toponimo alla presenza di una statua o di un cippo in onore di Mercurio, che secondo tradizione romana venivano posti all’inizio delle strade più importanti, ciò è confermato dal fatto che la chiesa di San Giorgio, fondata dai longobardi, sorge su un luogo sacro romano, nel quale sono state ritrovate delle iscrizioni dedicate a Mercurio e a delle matrone non identificate, che a mio parere potrebbero essere la Giunone Lucina, protettrice dei parti e la celtica Epona protettrice di cavalli e cavalieri, poi introdotta nel pantheon romano, quando i galli entrarono a far parte della cavalleria capitolina. da ricordare che per i greci, il protettore di cavalli e cavalieri era il dio marino “Poseidone”, 

Il fatto che delle divinità dell’acqua, appartenenti a religioni diverse, siano anche protettori di cavalli e cavalieri, è dovuto al fatto che i primitivi non conoscendo le leggi della fisica, si stupivano nel vedere che i cavalli, grazie all’enorme volume del loro torace, galleggiavano facilmente e pertanto pensavano che fosse opera della volontà divina.

Nella vicina Dormello, fino a pochi anni fa aveva sede l’omonimo allevamento di cavalli da corsa, una delle scuderie più famose e antiche d’Italia, la quale aveva la nursery alla Lagozza di Centenate, dove tra gli altri è nato Ribot, il cavallo da corsa più famoso del dopoguerra, quindi possiamo pensare che nei pressi di Arona, l’allevamento dei cavalli sia una tradizione che si è tramandata per secoli.

I toponimi Dormello e la vicina Dormelletto, contengono la radice celtica “mello”, che significa collina, quindi indicano due località situate sulle alture che circondano il verbano

Le altre Matrone dell’acqua erano: “Sulevia”, la quale curava le malattie con l’immersione nel pozzo sacro, “Nantosvelta”, l’acqua che sgorga purissima dalla roccia e disseta e, “Artios”, l’orsa che domina l’alluvione e la frana, da citare anche l’italica Marica, ninfa delle acque, delle paludi, signora degli animali, protettrice dei neonati e moglie di Fauno, la quale potrebbe essere omonima della Morrigan, la divinità gallica regina della palude.

La rocca essendo rivolta verso est poteva essere sacra anche al sole, ma considerando il nome della città, si può pensare alla vedica “Aruna”, dea dell’aurora, anche dalla quale potrebbe essere derivato il toponimo Arona.

Da ricordare anche il dio delle acque Arausio dal quale prese il nome la città di Arausia, oggi Orange, situata in riva al Rodano, che con ogni probabilità per i galli aveva il nome del dio Arausio, ma in proposito ritengo che siamo di fronte a un errore di confusione,

in quanto il toponimo Orange deriverebbe direttamente da “Aruna” la dea dell’aurora, con il nome della quale si indicava anche il colore arancione, quindi Arausio non esisterebbe.

A monte della rocca di Arona, ad oltre 400metri di quota è situata la località di Montrigiasco, il cui toponimo con il suffisso asco richiama ancora le tradizioni dei leponti.

Infatti Montrigiasco è solo un toponimo recente, in quanto anticamente era chiamato Oleggiasco, sinonimo della vicina Oleggio Castello situata più a valle, quindi considerando che Oleggio è originato dai suffissi “Orgia”, oppure “lőgia”, si può pensare che il luogo sia stato un posto segreto dove gli abitanti di Oleggio Castello praticavano riti vedici.

A monte di Montrigiasco, ma nel territorio di Invorio a circa 600 m. s.l.m. c’è il monte Barro, “cima boscosa”, nella lingua dei celti, omonimo del Barro brianzolo l’origine lepontina del nome è confermata anche dalla presenza di numerosi toponimi di origine ligure come: la fonte Bersanella, le frazioni Barozzera, Cassano, Lagoo Mornerona, Tabarino, il fiume Agogna, un idronimo originato dal popolo degli Agoni, tribù ligure insediata tra il Sesia e appunto l’Agogna, va detto però che l’esistenza di questa tribù è citata solo da Polibio, ma considerando l’assonanza e i difetti di pronuncia non è da escludere che Polibio abbia confuso il singolare dialettale “lagoo”, sinonimo di “lagone”, con il singolare “agoo” sinonimo di: “agone”,  infatti, il fiume scorrendo sull’altipiano del Vergante, buona parte del quale oggi è ricoperto da risaie formava sicuramente molti laghetti, da citare per esempio la località detta Mornerona situata ai piedi del monte Barro; non è da escludere Bolzano Novarese, un’omonimia con la capitale del Tirolo, a dimostrazione dell’antica fratellanza  dei popoli alpini il cui toponimo sarebbe originato dal ligure boza e dal celtico lanum, quindi “boza nel piano”, e se per Bolzano Novarese si può ipotizzare l’antica presenza di una palude o la vicinanza della Mornerona, per la capitale del Trentino alto Adige, va notato che la città sorge in una conca ai piedi del monte Pozza, quindi un riferimento a un’antica palude.

Tra Bolzano Novarese e la vicina Ameno, situata su un altipiano affacciato sul lago d’Orta si sono avuti numerosi ritrovamenti archeologici, molti dei quali risalgono fino al XV secolo a.C., alcuni ritrovamenti sono avvenuti anche nei pressi della cascina Pasquirolo.

Il nome di Dormello e  della frazione Dormelletto è una combinazione tra la radice di origine incerta “dura”, con il significato di “acqua” o “corso d’acqua”, che sarebbe all’origine del nome delle due Dore, del francese Dordogne, della città olandese  Dordrecht, situata alla foce del Reno, alla tedesca Duisburg, situata alla confluenza della Ruhr nel Reno e alla russa Dudinka, sorta sull’estuario dello Jenisej, la quale associata con la radice gallica “mellum”, sinonimo di: “collina”,  darebbe “Dormello” “corso d’acqua sulla collina”, e sulla collina di Dormello ci sono delle sorgenti che formano i Lagoni di Mercurago, i quali si scaricano nel Verbano per mezzo di un ruscello che compie un giro tortuoso, quindi acqua + collina = “Dormello”, attorno ai lagoni, in una torbiera sono stati ritrovati una palafitta e una piroga, mentre sulla collina chiamata: “Motto Lagone” è stata ritrovata una necropoli appartenente alla cultura di Golasecca.

Risalendo verso nord si passa per Meina, il cui toponimo è originato dall'antica presenza di una fonte sacra alla dea romana del menarca "Mena o Mene", ma sicuramente c'era anche un pilastrino in onore di Mercurio, in quanto il luogo in questione è un trivio, dove dalla strada del Verbano si dirama la via che sale a Nebbiuno e al Vergante.

Nel Medio Evo il sito fu cristianizzato con la realizzazione di una cappella intitolata a "Sancta Maria ad Fontes", e nel seicento la struttura venne completata con la costruzione della chiesa oggi chiamata "dell'Annunciazione".

Dal punto di vista storico è molto importante anche la patrona di Meina, in quanto si tratta di santa Margherita d'Antiochia, anche lei protettrice delle partorienti, ed il fatto che la chiesa parrocchiale è situata alla periferia sud dell'abitato, fa pensare all'insediamento postumo di una comunità cristiana di origine bizantina, i cui componenti hanno poi sostituito il culto pagano con quello cristiano

Da considerare anche il torrente "Tiasca", il cui nome deriva dalla divinità greca "Teia", chiamata anche "Theia, Tia, o Thia", figlia di Urano, il dio del cielo e Gea, la dea della terra, madre di Elios il dio del sole, di Selene la dea della luna e di Eos, la dea dell'aurora.

Essendo figlia di Urano, Theia deve essere considerata come Afrodite un'entità primordiale, probabilmente la dea madre del vulcano Thera, adorata dai Minoici e dai proto celti i quali l'hanno portata in Italia.

Le tracce dei leponti sono ancora presenti nella memoria popolare, così la ridente località di "Belgirate", nel cui toponimo al prefisso "Bel", il sole, si aggiunge il greco "gyròs", rotondo, dal quale possiamo avere anche "gyrìnos", sinonimo di gira, quindi il toponimo Belgirate faceva riferimento a un luogo dove il sole gli gira attorno, infatti la località di Belgirate essendo situata sulla punta estrema di un ampio promontorio, che dalla riva lacustre si estende verso Est, vede il sole girarle attorno dall'alba al tramonto.

Ma il vero e proprio centro di culto lo troviamo nel retroterra di Belgirate, dove si erge una collina chiamata "Motta Rossa, sulla cima della quale esiste un masso erratico ricoperto da incisioni rupestri, raffiguranti coppelle votive e cerchi solari, un vero e proprio centro spirituale dove si adorava il sole, poco più a sud della Motta Rossa, c'è il monte Cornaggia, sul quale è situato un edificio sacro cristiano, mentre il toponimo fa riferimento alla cornacchia, uccello sacro al dio celtico della resurrezione "Bran", ma anche alla Morrigan, la regina della palude.

Attraversando la valle dell'Agogna si sale al "Monte dei Falò", il quale ha preso il nome dalla tradizione del "Beltaine" (la festa del sole), si è perpetuata fino al dopoguerra, con l'accensione di un falò nella notte tra il trenta aprile e il primo maggio allo scopo di festeggiare il sole e l'arrivo della primavera

Scendendo verso Stresa, un toponimo la cui etimologia ricorda la "Stria", sinonimo di strega, si passa per Magognino, forse un diminutivo di Magus, come Brisino di Brig mentre Vedasco, è un altro riferimento a un sito nascosto dove si celebravano riti vedici.

Il toponimo Stresa sembra veramente legato al mito delle streghe, infatti la tradizione vuole che nella sua frazione di Someraro, le assemblee degli abitanti si tenessero all'ombra di un noce, un albero che nella tradizione romana era sacro a Dionisio, in onore del quale si tenevano dei baccanali segreti, fortemente trasgressivi, che il cristianesimo ha bollato come orge sataniche.    

       Da ciò è nato il mito dei “sabba”, che le streghe celebravano nelle notti di luna piena, danzando fino all’alba attorno a un noce.

            Il legame tra i sabba e Stresa è dovuto alla tradizione secondo la quale, nel XII secolo in seguito a un terremoto, alcuni abitanti di Stresa si trasferirono nel luogo dove oggi sorge Someraro.

            Considerando che la località è situata in un luogo ripido aggrappato alle pendici del Mottarone, dove possono pascolare solo le capre, allora raggiungibile solo percorrendo ripide mulattiere, Someraro non è proprio un luogo a prova di terremoto, ma assomiglia soprattutto a un rifugio segreto dove celebrare riti proibiti.

            Da ciò deriverebbe anche il toponimo il quale indica un luogo raggiungibile solo a dorso di mulo o somaro, ma potrebbe essere un segno di disprezzo cristiano, verso chi si rifugia sui monti per praticare la propria religione.

            Che sulle pendici del Mottarone si celebravano riti proibiti ce lo dice anche la località di Campino, situata lungo la strada che da Someraro scende a Baveno.

            A Campino le assemblee degli abitanti si tenevano all’ombra di un Ippocastano, un albero arrivato in Europa solo nel XVI secolo, ma in Germania se ne contano alcuni esemplari ultra millenari, forse importati a scopo di culto dai Balcani, dove la pianta ha sempre prosperato.

Secondo alcuni studiosi l’albero era sacro a Satiro conosciuto anche come Fauno, divinità mezzo uomo e mezza capra, che si accoppiava con le capre, e da ciò veniva associato ai culti Dionisiaci.

            Si può considerare l’eventualità che qualche esemplare di ippocastano sia stato introdotto anche in Italia dai pastori di capre, sempre a scopo di culto.

            Da non trascurare il fatto che i semi dell’ippocastano, abbondanti e grossi anche se indigesti per l’uomo, sono molto apprezzati dai cavalli e dagli altri ruminanti

            A monte di Someraro c’è la località di Levo, famosa per la sua sorgente di acqua minerale.

            Il toponimo è un chiaro riferimento alla tribù ligure dei levi, storicamente stanziata lungo il basso corso del Ticino, come raccontano Livio e Plinio, ma ciò non toglie che i liguri, essendo un popolo di montanari penetrati in Italia attraverso le Alpi, poi si sono spinti verso sud raggiungendo gli Appennini, conseguentemente i levi facevano parte di un flusso migratorio, che senza l’ostacolo degli etruschi prima e dei romani poi, si sarebbe spinto sempre più a sud.

            A Levo l’albero delle assemblee era il lauro, sacro ad Apollo, divinità solare, che associato al figlio Esculapio, era anche un dio della guarigione, pertanto in diretta relazione con la sorgente miracolosa.

            Oltre all’affinità etimologica e alle sorgenti di acqua minerale, da sottolineare un’altra analogia con il comune di Levico Terme, in quanto Levo confina con Vezzo, una frazione di Gignese, mentre nel territorio di Levico Terme troviamo un altipiano e una cima chiamati Vezzena, quindi due riferimenti alla presenza di mezzane.

            Da sottolineare che dopo la scomparsa dei druidi, le loro collaboratrici continuarono ad assistere le partorienti fino ai giorni nostri, e a curare gli ammalati nei limiti del loro sapere, guadagnandosi spesso la fama di streghe.

    Stiamo parlando di località situate sulle pendici del Mottarone, un toponimo che fa riferimento alla cima del monte Mergozzolo 1500, slm., ma che nella tradizione popolare indica tutta la Montagna.

            Si tratta di un vero e proprio panettone posato sopra il Mergozzolo, la cui forma tondeggiante ha indotto gli studiosi ad attribuire al toponimo il significato di: “Monte Rotondo”.

In realtà trattandosi della cima più alta di tutto il territorio e la sua composizione di granito rosa, posso pensare a una Motta Rossa, Mota Rüda in lingua leponzia, vale a dire un luogo sacro.

Il Mergozzolo (o Mottarone) separa il lago Cusio (o Clisius) dal Verbano, e domina il Fondotoce, una vallata attraversata dal fiume Toce, dove troviamo il lago Mergozzo, un’omonima località e un’antica palude (ora prosciugata) che un tempo collegava il Mergozzo al Verbano.

Il Fondotoce era abitato dai leponzi, ed il toponimo Mergozzo, Margozz in dialetto, è originato dall’indoeuropeo “Mur”, o “Mor”, che indicavano una “Distesa d’Acqua”, dai quali si sono poi originati il francese “mer” è l’italico “mare”.

La radice gozz invece sembra riferirsi al golfo Borromeo che con la sua forma e posizione rispetto al Verbano sembra raffigurare un gozzo, da ciò il toponimo Margozz indicherebbe un mare con il gozzo.

L’idronimo Mergozzo lo ritroviamo anche nel vicino lago di Mergozzo, anticamente collegato con il Verbano, e oggi separato da una palude (Mornera), in ragione della quale il lago appare come un mare strozzato

A Mergozzo, in riva al lago è presente un olmo plurisecolare la cui presenza è attestata fin dal 600, in quanto il luogo era deputato alle pubbliche assemblee.

Nelle tradizioni vediche l’olmo non sembra avere una particolare importanza spirituale, infatti è assente dal calendario arboreo, forse è il motivo per il quale l’albero è molto presente nelle tradizioni cristiane, ma è citato solo per fatto che Odino avrebbe intagliato il corpo della prima donna da un Olmo.

Però il fatto che i suoi frutti siano chiamati samara richiama l’attenzione sulla donna e sui molti fiumi che portano o portavano questo nome, e quindi sulla mia ipotesi dell’adorazione da parte dei galli, di una divinità dei fiumi chiamata Samara.

Particolare attenzione merita anche la Pietra Papale, un masso erratico di granito rosa dal volume di oltre 1500 metri cubi, oggi distrutto, dove secondo la tradizione, san Pietro mentre peregrinava sulle pendici del Mergozzolo, si sarebbe fermato ad ammirare la roccia.

Una profonda fenditura nella roccia, aveva alimentato la leggenda secondo la quale: il masso sarebbe precipitato dalla cima della montagna, in seguito a una cornata del diavolo, della quale la fenditura era la traccia.

Oggi nei pressi del luogo dov’era situata la Pietra Papale esiste una chiesa sacra alla Madonna delle Nevi realizzata nel XX secolo, mentre un’altra chiesa più antica, esiste sull’altro versante della montagna, nei pressi di Campino, evidenti retaggi di un antico culto matriarcale.

Sulle pendici del Mottarone sorge il torrente Airola, il cui nome è associabile agli Aire presenti in Francia ed Inghilterra e alle località di Arola sulla riva del lago d’Orta, ad Airolo nei pressi della galleria del San Gottardo e alla Arausium (oggi Orange) capitale dei cavari, popolazione migrata nel nostro territorio, si tratta di nomi associabili alla divinità vedica Aruna dea dell’aurora o della natura chiamata Aria da cui la cultura ariana.

            Ma nell’attraversamento del territorio di Massino Visconti, l’Airola cambia nome in Erno, una radice che troviamo nell’aggettivo inferno, vale a dire:” luogo sotterraneo,  dove secondo le antiche tradizioni, andavano a finire le anime dei morti, per essere giudicate”.

E non a caso nel territorio di Massino Visconti, l’Erno scorre all’interno di un orrido, un altro aggettivo che fa riferimento a un luogo terribile, e il nome Erno lo troviamo anche sui monti del triangolo Lariano, si tratta di un paesino sperso che si affaccia su un orrido apparentemente asciutto,

            Erno potrebbe essere una corruzione di fearn, o vearn, i nomi celtici dell’ontano che come abbiamo già visto, nel tempo sono diventati il latino alnus e l’italico Arno.

            Quindi essendo l’ontano l’albero sacro alle divinità dei morti, mi sembra certo il significato di Erno come il luogo dei defunti.

            A questo punto Airola potrebbe riferirsi alla dea Anann, il cui nome viene indicato come il nome proprio della Morrigan, la dea dalla doppia manifestazione, o forse quello del suo ruolo di dea madre, quindi per i celti il torrente Airola/Erno simboleggiava l’arco della vita dell’uomo, nascere dal grembo della Morrigan Rossa e morire tra le braccia della Morrigan Nera.

            Con ogni provabilità Anann è il nome primitivo della Morrigan, riconducibile all’arcaica dea madre neolitica, le cui manifestazioni sono state continuate dalle varie divinità femminili sorte durante l’età del bronzo.

            Etimologicamente il nome Morrigan contiene la radice indoeuropea “mor”, sinonimo di distesa d’acqua, che con il suffisso “an” indicante Anann, Anassa, Anna, ecc. sinonimo di regina indica la “Regina della Mornera”, mentre in tempi primordiali “Anann”, era il nome della dea assoluta, la “Grande Dea Madre”.

            Secondo le tradizioni celtiche, la Morrigan avrebbe profetizzato l’età dell’oro, durante la quale le genti sarebbero vissute in pace ed agiatezza, nutrendosi dei frutti della natura, ma poi sarebbe seguita l’età della guerra, che non ha bisogno di essere descritta.

            Secondo gli studiosi l’età dell’oro farebbe riferimento appunto al neolitico e al paradiso terrestre della bibbia, mentre l’età della guerra sarebbe arrivata con l’attribuzione di un valore all’oro e alle pietre preziose, che durante il neolitico giacevano per terra inutilizzati, mentre con l’età dei metalli gli uomini iniziarono a farsi la guerra per il loro possesso.

È doveroso parlare di Domodossola, la Oscela capitale dei leponzi, citata da Plinio il Vecchio, che con il passare dei secoli è diventata Oscella, Oxilla, Oxile, fino ad essere citata con il nome di Ossule, come risulta da documenti del XII secolo d.C., dal quale è derivato il moderno Ossola, che dà il nome anche alla valle, mentre il prefisso “Dom”, è un’aggiunta cristiana a indicare la presenza di un duomo e di un Sacro Monte.

Domodossola era una città sacra fin dal tempo dei leponzi, infatti sul Sacro Monte, nel giardino del castello Mattarella affiora un masso erratico sul quale sono riportate le incisioni tipiche degli altari liguri.

È arduo dire quale fosse la divinità adorata in quel luogo, ma il nome antico del fiume Toce, “Tuxa”, mi fa pensare al celtico “touta”, sinonimo di tribù e quindi a Toutatis, alter ego di Albiorix, padre della tribù e dio della guerra, della fertilità e della ricchezza, non a caso sulla pietra sacra del castello Mattarella, sono presenti sfregi provocati dalle spade, che durante i riti di consacrazione, le venivano sfregate sopra, e gli scivoli utilizzati per i rituali della fertilità.

Ma l’origine del toponimo Oscela è difficile da ricostruire, etimologicamente è affine al ligure arsela, sinonimo di cassettina o di arca, nella quale veniva custodito il tesoro della tribù, abitualmente nascosto sotto l’albero o pietra sacra, ma in questo caso essendo la pietra saldamente conficcata nel terreno, è possibile che il tesoro fosse custodito ai piedi del colle.

Oscela è affine anche al toponimo Olcella, presente nel comune di Busto Garolfo, ma potrebbe essere un sinonimo ligure del greco “òrgia”, vale a dire cerimonia religiosa, quindi Oscela indicava un monte sacro dove si svolgevano riti religiosi.

Ma Oscela va comparato con altri toponimi diffusi sulle alpi Lepontine, come le due Isella situate nell’ossolano, l’Isone del bellinzonese, l’Iselle del Vallese, e il lago d’Iseo il quale spicca per la sua isola, chiamata Montisola, proprio perché si tratta di un monte che sorge nel centro del lago sulla cima del quale c’è il santuario dedicato alla Madonna della Ceriola, edificato in vece di un antico tempio pagano.

Il teonimo Madonna della Ceriola, deriva dal fatto che la statua della Madonna, è stata intagliata in un tronco di Cerro, da cui la continuità di un antico culto della quercia.

Considerato che le varie Isella sono luoghi anticamente molto isolati ed alcuni lo sono ancora oggi, e che l’attuale nome del lago d’Iseo deriva da una forma precedente al romano Sebino, si può associare l’Oscela di Plinio alle varie Iselle, con il significato di luogo isolato o isola.

Nella valle d’Ossola spiccano due sorgenti di acque minerali Crodo e Bognanco di Crodo posiamo pensare al ligure croda, che dà il nome a una roccia conglomerata nella forma simile al granito e al ceppo, quindi il riferimento potrebbe essere una divinità come Grannus, mentre Bognanco deriverebbe dal gallico “Bänia da cui bugna, da associare alle varie Bogno di Besozzo e Lugano. 

Attigua alla val d’Ossola c’è la Val Vigezzo nella quale spiccano toponimi interessanti come santa Maria Maggiore e Re, luoghi che sicuramente fanno riferimento ad antichi centri spirituali, ma trovo più interessante il nome di Toceno, in quanto oltre a derivare dall’idronomo Toce e quindi dal teonimo Toutatis, risulta evidente l’affinità etimologica con il nome del Ticino, quindi si può ritenere che Toutatis fosse la divinità alla quale era sacro il Ticino.

Da Toceno parte una strada che seguendo un percorso di mezza costa raggiunge la luogo chiamato “Stria Rusa dul Blitz” dove esiste un oratorio sconsacrato.

Dato per scontato che “Blitz” è il sinonimo tedesco di “fulmine”, ma che potrebbe indicare anche un dio del fulmine, “Stria Rusa” potrebbe essere una traccia lasciata da un fulmine, ma molto più probabilmente un riferimento alla Rossa Morrigan, nella sua manifestazione di amante del dio.

Per contro sul versante meridionale della valle c’è Malesco, località che deve il suo nome al fatto di essere quasi completamente priva di sole.

Il nome di Malesco è affine all’idronomo “Melezzo”, uno dei torrenti che l’attraversano, il cui nome potrebbe essere originato dalla stessa radice che ha generato il greco “mèlos”, sinonimo di nero con il suffisso “ezzo” ad indicare una zona centrale, quindi si può pensare a un luogo sacro, dove per mezzo di una mediatrice o mezzana, si celebravano riti per rabbonire la Nera Morrigan, l’annunciatrice di morte.

La radice ezzo la troviamo anche nel toponimo Vigezzo, ciò mi porta alla considerazione del fatto che il punto più alto della valle è in mezzo e non a una delle due estremità come succede nella maggior parte delle valli, quindi Vigezzo indicherebbe un centro spirituale che “Vige” (erge) al centro della valle, come appunto l’altipiano di santa Maria Maggiore; da ricordare che i torrenti Melezzo sono due, i quali ovviamente scorrono in direzioni opposte. 

Pallanza è un toponimo di origine greca, in quanto si tratta di un epiteto rivolto ad Athena Pallade, = “colei che scaglia l’asta”, più a nord della città c’è un monte Giove.

IL toponimo Borgomanero deriva dal più antico "Borgo del Maniero", vale a dire: il villaggio dove vivono i servitori e i contadini che lavorano la terra del feudatario proprietario del maniero (Castello).

Infatti il borgo è al centro del "Basso Vergante", un ampio altipiano contornato da colline che si estende da Gozzano a Novara, dove si incrociano la strada che da Novara porta al lago d'Orta, e due strade che dal Verbano si dirigono verso Biella e Torino.

Quindi si trattava di un luogo di primaria importanza per il commercio, e non a caso il borgo era dominato dal maniero, posto sulla collina a Villa Vergano, dove troviamo il castello della famiglia Mainerio, alla quale viene attribuito l'origine del toponimo Borgomanero. 

        Ma il toponimo "Villa Vergano porta l'origine di Boromanero in epoche molto più antiche, infatti l'aggettivo "Villa" tradisce la presenza romana, probabilmente si trattava di un "Castra Praetoria", che aveva il compito di garantire la sicurezza dei viaggiatori che transitavano lungo le vie sopra citate.

In oltre i toponimi Vergano e Vergante sono derivati dall’idronomo Verbano, un toponimo che potrebbe essere originato dal gallico "Vearn", nome dell'ontano, l'albero delle paludi sacro a Bran, il dio celtico che resuscitava i guerrieri morti in battaglia, e alla "Morrigan nera", annunciatrice di morte e "Regina della Mornera"(palude).

Ma trovo più convincente ponderare l’origine ligure legata al culto di Varuna, il signore delle acque il quale era soprannominato anche “Verro”, per cui “Verbanus”, avrebbe avuto il significato di :  “Verro Signore”, in quanto  bisogna considerare la radice “Bano”, sarebbe originata dal persiano “Ban”, continuata anche dal serbo, e sinonimo di “Principe o Signore”, quindi l’idronimo farebbe riferimento a Varuna Signore delle Acque, o comunque a un lago sacro a Varuna.

Allo stesso modo Vergante e Vergano contengono la radice “Gana” di origine persiana, ma ritrovata anche in scritture sumere, la quale aveva il significato di “demanio”, con particolare riferimento ai terreni sacri alle divinità.

In quanto alla tribù dei vertemocori, che gli storici locali indicano come di origine gallica, bisogna dire che erano liguri, giunti in Italia nel VI secolo a.C., al seguito dell’ondata migratoria guidata da Belloveso, e causata dalla pressione esercitata sulla Gallia Narbonese dai galli provenienti dal Belgio, i quali arriveranno in Italia solo nel IV secolo a.C.,

Non bisogna dimenticare che Gallia Narbonese era il nome dato dai romani alla Francia Meridionale, la quale era abitata dai liguri tra i quali i vertemocori, che fino al VI secolo a.C., non avevano mai avuto nulla in comune con i galli.

Sulla collina di santa Cristina, seguendo la strada per Bogogno, si passa per la cascina Vallazza, si tratta di un villaggio semi abbandonato composto da cascine medioevali, dove una cappella posta sul ciglio della strada, sembra ricordare un antico luogo di culto del quale si sono perse le tracce, pertanto si può ritenere che il toponimo Vallazza anticamente faceva riferimento ad un luogo di culto vedico posto sulla cima della collina, situata poco distante dal villaggio.  

Procedendo  da Borgomanero in direzione di Biella, si sale sul Piano Rosa, un altipiano che divide il bacino del Ticino da quello del Sesia, il quale deve il suo nome all’ampia panoramica sul Monte Rosa; li dove passava l’antica strada romana che collegava il Verbano con Biella e la via Augusta, sorge un abitato chiamato Cavallirio tradotto facilmente in Rio dei Cavalli, confermato anche dalla presenza del toponimo di orine longobarda Stoccada, “Stotgard”, sinonimo di Parco dei Cavalli, che con il ritrovamento di due lapidi romane fa pensare a una mansio romana.

Ma la presenza di tre edicole sacre alla Madonna, poste sopra a un muro perpendicolare a una scarpata, dominanti il villaggio mi fa pensare anche a un’antica sorgente, oggi prosciugata, sacra alle tre matrone dell’acqua dei celti, una delle quali: Epona, era protettrice di cavalli e cavalieri, e per questo adottata anche dalla cavalleria romana, che tra l’altro era in prevalenza composta da galli romanizzati.

  Interessante ed enigmatico è il toponimo Orta che dà il nome anche al lago, il quale potrebbe derivare dal latino hortus quindi òrto, forse un luogo sacro recintato, da notare che sulla riva opposta è presente uno sperone di roccia, sul quale, a 650 m. di altezza è posto il santuario della Madonna del Sasso, il quale potrebbe essere il retaggio dell’antica sacralità di quella roccia, a una divinità delle acque come poteva essere Artios l’orsa che domina la frana e l’alluvione, pertanto Orta potrebbe anche essere una corruzione di Orsa, quindi era un toponimo che indicava il lago dell’orsa.

            Nelle vicinanze del santuario troviamo anche una località chiamata Artò che richiama il nome dell’orsa sacra Artios; anche il nome della vicina Boleto sarebbe di origine celtica e deriverebbe dal greco antico “bòlos”, che indicava una zolla di terra, ma poteva anche indicare una bolla d’acqua, che permetteva il pascolo degli animali

 

 

 

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