GLI INSUBRI A CASSANO MAGNAGO E NEL SEPRIO
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Pagina aggiornata il 21/09/2023
CASSAN0-S MAGHNACH
Tito Livio racconta che nel 225 a.C., quando i romani dopo la vittoria di “Clastidium”, (Casteggio), conquistarono Milano, gli insubri ed i loro alleati si ritirarono sulle Prealpi, formando ai piedi delle colline una linea di confine composta da ventotto cittadelle fortificate, la quale si può supporre che correva lungo il ciglione degli altipiani che caratterizzano il varesotto e il comasco al termine di quella che allora era definita Selva Longa, oggi Alto Milanese che separa Milano dalle colline, partendo da Somma Lombardo in riva al Ticino fino a Cermenate in riva al Seveso.
Oltre il Seveso si estendevano le tipiche colline Brianzole, i cui abitanti invece si allearono immediatamente con Roma.
In particolare nel territorio di Cassano Magnago sfruttarono un antico torrente originato dal Tenore, che allora a causa del dislivello esistente tra Castelseprio e Gallarate scorreva naturalmente ai piedi della collina verso est, raccogliendo di conseguenza le acque piovane che scendevano dall’altipiano, tramite il Rile e altri torrentelli, giungendo fino a Gallarate, dove incontrando la barriera dei Ronchi ed il fiume Arno, formava una palude, la quale assieme ai ciglioni delle colline costituivano una barriera insormontabile.
A testimonianza delle paludi alimentate dal Tenore ancora oggi si possono notare le cave di argilla profonde fino a 4 metri, depositi alluvionali antichi di millenni.
L’esistenza di fortificazioni è testimoniata dal toponimo Cardano al Campo, in quanto il toponimo sarebbe originato dal celtico “Magus Cardunum”, sinonimo di “campo fortificato dai carri”.
Infatti il territorio di Cardano al Campo oltre ad essere privo degli ostacoli naturali sopra citati, era posto al culmine di un ronco che degradava dolcemente verso sud e quindi per i romani poteva essere una via d’accesso per conquistare l’altipiano con facilità, pertanto gli insubri ritennero indispensabile scavare una trincea che separasse l’altipiano dal ronco e fortificarla con i carri, come era tradizione dei celti.
La trincea era piuttosto ampia e lunga, tanto da tagliare completamente il ronco, fino a collegare la valle dell'Arno alla piana della Malpensa, tanto che oggi ci passa la superstrada per l’aeroporto
Il materiale asportato sarebbe stato depositato sul ciglio dell’altipiano prospicente alla val D’Arno, in modo da collocare il villaggio in una posizione ulteriormente rialzata.
La difesa del territorio costò ai celti oltre quarantamila morti, però ottennero una pace onorevole, che permetteva loro di essere rappresentanti al senato, e non prevedeva l’insediamento di colonie latine sul loro territorio.
Considerando che il trattato di pace, tra insubri e romani, era particolarmente generoso verso gli sconfitti, mi fa pensare alle abituali millanterie dei consoli sulle loro imprese, e lo sciovinismo degli storici e annalisti romani, quindi mi permetto di sollevare qualche dubbio sulla vittoria dei romani, e propenderei più per un accordo, al quale i romani si sono adattati, dopo aver constatato l’ostinata resistenza delle 28 cittadelle fortificate, situate su posizioni imprendibili.
Del resto, a testimonianza della poca gloria ottenuta sul campo dai romani, c’è il silenzio degli storici, i quali contrariamente alle abitudini, trattano l’impresa con assoluta indifferenza, senza fare nomi di cittadelle, capi insubri e resoconti sulle battaglie sostenute per conquistarle, vantando solo la distruzione di Como e l’insediamento di una colonia(?) ai piedi del colle San Fermo.
La ritirata degli insubri e l’arrivo di mercenari galli, determino un sovrappopolamento degli altipiani del varesotto e del comasco, che di fatto in seguito impedì l’insediamento di colonie romane, questa impermeabilizzazione alle culture aliene, favorì la conservazione della lingua e delle tradizioni insubri, memorie che si sono tramandate nella toponomastica fino ai giorni nostri, e che hanno influito anche nella tradizione cristiana con il culto degli alberi.
Pietro Verri dopo aver tentato di comparare il milanese con il francese e il tedesco, arrivò alla conclusione che si trattava di una lingua autoctona di origine gallica, eppure non aveva considerato che il dialetto milanese, contrariamente a quello delle Prealpi aveva subito l’influenza della romanizzazione e degli eventi medioevali, che hanno provocato esodi e rimescolamenti della popolazione.
Nella mia ricostruzione, sono partito dai lemmi celti già attestati dai linguisti, per continuare poi con l’aiuto di un dizionario etimologico, che mi ha permesso di comparare le voci italiane e dialettali con il greco antico e il sanscrito, la lingua degli ariani, idioma che ci è stato tramandato fino ai giorni nostri dai libri sacri della religione Veda, le due lingue antiche, che con gli idiomi gaelici, romancio, ladino, walser, provenzale e i dialetti delle Prealpi si avvicinano maggiormente alla lingua dei celti.
La ritirata degli insubri favorì l’insediamento nella valle Olona, nel bustese e nel legnanese, di genti di cultura celto ligure, allontanati dai romani dalla Cispadania, i quali parlavano una lingua simile all’insubre, ma con più accentuate inflessioni liguri, la differenza la possiamo notare ancora oggi, in quanto nella parlata dell’alto milanese, si aggiunge una vocale alle parole dell’idioma varesotto che finiscono con una consonante, per esempio: gatto diventa “gat” in cassanese, e “gatu” o “gati”, in Bustese, merlo diventa “merl” in cassanese, “merlu “, in Bustese, chiodo “ciod” in cassanese”, “ciodu” o “ciodi”, in bustocco, in oltre la presenza sul territorio della valle Olona di località chiamate “Nizzolina” e “Marnate”, è una precisa conferma dell’arrivo sul nostro territorio di liguri francesi ellenizzati, sicuramente non ostili ai romani, ce lo dimostra il fatto che Annibale, nonostante i numerosi alleati che lo attendevano in Italia, nella sua impresa di valicare le Alpi, fu duramente contrastato dalle imboscate dei liguri francesi, un tempo fedeli alleati di Cartagine, i quali, avrebbero fatto fallire il tentativo di conquistare l’Italia da parte dei cartaginesi, se l’esercito di Annibale non fosse stato rinvigorito dal potenziale economico degli insubri, i quali lo sostennero incondizionatamente per tutta la durata della II guerra punica.
La lingua dei celto liguri milanesi è stata invece contaminata dalla presenza dei bizantini, durante il periodo in cui Milano fu capitale dell’impero e dalle continue distruzioni e ricostruzioni nel periodo medievale, vicende che favorirono l’insediamento di genti provenienti da altre realtà culturali, favorite anche dall’allontanamento di molti popolani ghibellini, che si trasferivano nel Seprio dove il potere clericale era meno opprimente.
Fenomeni migratori che hanno fatto di Milano grazie anche alla sua posizione geografica, una città cosmopolita, che la rende un centro nodale del commercio e degli affari come la Babele degli Assiri, pertanto anche il dialetto milanese ha subito l’influsso delle abitudini linguiste non affini al celtico e non essendo capaci di pronunciare il giusto suono delle doppie vocali uguali tendono a sostituire una vocale del dittongo finale con una “n” per esempio il” Milàa” dei celti, nel quale la seconda “a” ha un suono a metà tra la “a” e la ”e”, si pronuncia "Milan", all’inglese, o come il prefisso “ca” di“camping”, diventa Chemping, lo stesso possiamo dire della “Casàa” o casӓ, dei contadini, che diventa “Casan”, per gli intellettuali, una tendenza che ormai si è già trasferita anche nel nostro territorio, dove da tempo si è persa l’abitudine ai suoni caratteristici della parlata celtica, ancora in uso nel nord Europa.
Questo tipo di mutazione fonetica della a lunga in n, era anche una caratteristica del dialetto ionico attico.
Andrè Martinet, illustre linguista e a suo tempo docente alla Sorbona, nel suo libro: “L’Indoeuropeo, Lingue, Popoli e Culture”, afferma che “Kassano-s”, è il nome primitivo della quercia, continuato dalla lingua dei galli, per i quali era l’albero sacro a “Lug”, la loro massima divinità, come lo era anche a Zeus, Giove e altre divinità indoeuropee come il persiano cassita Cassius, una divinità tribale che arriverà in Italia verso la fine del II millennio a.C., il che farebbe pensare che la fondazione delle numerose Cassano presenti in Italia potrebbe risalire a quell’epoca
Nei Balcani e nel Baltico la quercia era chiamata anche “Perkwu” etimo dal quale derivano i nomi di divinità della quercia probabilmente slavi, chiamati “Perkunas”, e “Perun”, ma anche loro usurpatori del regno di Varuna, il dio primitivo della quercia.
Da citare nel nostro territorio la località “Pertusella”, il cui toponimo sarebbe originato dall’indoeuropeo Perkwu.
Dai libri degli storici: Gualtiero Ciola “Noi Celti Noi Longobardi” e Marco F. Barozzi “I Celti E Milano” apprendo che l’aggettivo celtico “Maghnach”, sarebbe originato dalla radice sanscrita “magus”, = “campo”, un aggettivo all’origine del sostantivo “Campestre”, da cui arguisco che il nome gallico di Cassano Magnago era “Kassano Maghnach”, vale a dire “Quercia Campestre”, ma il suffisso “ach” richiama il ligure “lak”, sinonimo di lago o palude, quindi Maghnach potrebbe anche significare: “campo allagato”.
Ma non si può escludere il latino Magnus derivato dal sanscrito “Mah” sinonimo di grande da cui magno usato nell’antichità per indicare personaggi illustri, pertanto “Maghnach”, poteva essere usato per illustrare l’importanza della quercia, che era sacra anche per i romani.
L’origine primitiva del toponimo Cassano la troviamo in Iran, in un’oasi situata tra i monti “Karkas”, e il margine dell’altipiano centrale iraniano a 1600 metri di altitudine, attorno alla quale è sorta una città chiamata Kashan, forse il luogo d’origine dei cassiti
Il suo nome deriva da un’antica città esistita già nel 6500 a.C., chiamata Casian situata sulla collina di Sialk, nei pressi della quale sorge la città moderna.
Quindi anche Casian sorgeva su un altipiano che si affacciava sopra a una palude.
Sull’altipiano di Siak otre al ritrovamento di reperti storici che datano la presenza dell’uomo fin dall’età della pietra antica, si staglia anche una Ziqqurat datata 3000 a.C.
Siamo ai piedi della catena montuosa del “Karkas” la terra di origine dei cassiti, mentre alcuni studiosi sostengono che Casian sia la città di provenienza dei Re Magi.
In Siria, lungo il tratto del fiume Tigri che segna il confine con la Turchia esiste un’altra città chiamata Kasian.
Dal sito internet “Mercurius L’inventore di tutte le arti”, di Dario Giansanti e Oliviero Caneti, apprendo anche la voce “Macniacus” tradotta poi in “di Magnocum”, che secondo gli autori era l’appellativo del Mercurio celtico, in realtà si tratta di una voce di transizione dell’epoca epoca romana, quando i galli che si convertivano alla religione romana, nel dubbio tentavano di assimilare Mercurio, al il dio gallico della quercia: “Lug”, “il Lucente”, una divinità solare e universale, una forma di monoteismo solare retaggio delle radici persiane dei pitti, i quali fondendosi con i bretoni hanno originato la nazione Gallica.
Un esempio di ciò ce lo fornisce un’ara romana ritrovata a Mesero, nei pressi di Magenta, sulla quale è scritto: “MERCURǾ / C. CASSIUS / PHOEB /, siccome “PHOEB”, non trova riscontro nella lingua latina, i lemmi che più gli si avvicinano, sono: “PHOEBE”, e “PHOEBUS “, cioè la forma singolare e plurale di “lucente” originate dal greco “FEBO”, epiteto che i greci rivolgevano al dio solare Apollo e a sua sorella Artemide la dea lunare, e che i galli rivolgevano a Lug.
Quindi “PHOEB”, sarebbe un errore dovuto alla scarsa conoscenza del latino, che tradisce l’origine gallica di C. Cassius”, il quale dedica l’ara al Mercurio lucente, alias Lug.
Da precisare che le conversioni religiose dei galli, non erano scelte maturate da convinzioni intime, ma solo una preferenza imposta dalla moda e dal desiderio di apparire il più possibile romanizzati, quindi subentrava il dubbio e la paura del castigo di Lug, pertanto cercavano un compromesso rituale che non urtasse le due divinità.
Quindi considerando che Macniacus potrebbe essere una corruzione romana di Maghnach e visto il riferimento divino dell’aggettivo, possiamo pensare che Maghnach fosse un aggettivo con il significato di: “Protettore dei campi”, pertanto Kassano era l’albero che rappresentava Lug, come protettore dei campi, la stessa funzione della croce per i cristiani.
Considerando che se Maghnach era un epiteto rivolto a un dio, etimologicamente potrebbe essersi evoluto nei latini “Magnanimus”, e “ Magnus”, dai quali gli italici magnanimo e magno
Da notare che in epoca cristiana, “Lug” veniva chiamato anche “Hesus il Buono”, un altro palese tentativo dei galli di adorare due divinità diverse nello stesso tempo, un’ambiguità sicuramente incoraggiata dai cristiani allo scopo di avvicinare gli ariani alla chiesa di Gesù, una testimonianza della politica di associazione dei simboli ariani a quelli cristiani, come vedremo più avanti anche con la chiesa di Santa Maria del Cerro e la vecchia chiesa di San Pietro.
A Cassano Magnago, la tradizione vedica del culto degli alberi, è continuata in piazza Santa Maria del Cerro, dove esiste un grosso cerro “Quercus cerris” il quale dà il nome all’attigua chiesa e alla parrocchia, la presenza del cerro, in quella piazza è una tradizione secolare, che nei documenti del clero si perde nella notte dei tempi, infatti, Santa Maria del Cerro è citata da “Goffredo da Bussero”, già nel XIII secolo nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, quindi siamo di fronte a una tradizione che ormai supera il millennio, e si perde nella notte dei tempi
Il cerro attuale sostituisce un altro cerro abbattuto da un fulmine nel 1922, il quale a sua volta sostituiva un cerro plurisecolare morto nel 1820,
La piazza è raggiungibile anche da una strada di costruzione ottocentesca chiamata “Via Vallazza”, “Valascia “, in dialetto, un toponimo che etimologicamente potrebbe derivare dalla stessa radice del sanscrito “Varahi” = “centro spirituale” o “terra del cinghiale”, da sottolineare che Valascia ha come suffisso “scia”, il re dei persiani, mentre la radice “Vala”, “Var” in sanscrito, sarebbe la corruzione di “Varuna”, per gli ariani il primo figlio (Serpentario) della Grande Madre Danu, nato per partogenesi, signore dell’universo e delle acque ma poi ripudiato dalla Madre per essersi proclamato re del mondo.
Quindi “Valascia”, avrebbe il significato etimologico di “ regno di Varuna”, il quale aveva come albero sacro la quercia e potrebbe essere il nome antico di piazza Santa Maria del Cerro, che si è tramandato fino ai giorni nostri, per l’abitudine della gente di chiamare quel luogo “Valascia”, pertanto mi sembra giusto considerare che il cerro “Quercus Cerris”, era una quercia sacra, simbolo del culto religioso dei liguri, dei galli e poi dei romani, albero dal quale si è originato il nome di Cassano.
Da aggiungere che il lemma Valascia potrebbe essere una forma dispregiativa cristiana di Varahi, mentre tra gli alberi sacri, c’è da segnalare la quercia di Abramo, giunta alla veneranda età di 5000 anni, attraverso la quale Yhavè parlò al patriarca semita, si tratta dell’unico esemplare di un querceto che ricopriva il monte Thabor, sopravvissuto fino ai giorni nostri
Tra l’alto il nome latino del cerro, etimologicamente si accosta al nome della dea Cerere “Ceres” e alla sua sinonima umbra “kerri”, quindi non si può escludere che almeno in epoca romana il cerro fosse sacro a Cerere, alla quale durante le Cerealia: 12 aprile, veniva sacrificata una scrofa sacra
Piazza Santa Maria era un centro spirituale dei celti? Ma la terra del cinghiale cosa centra? Nella tradizione vedica il cinghiale è chiamato Varaha, e per gli ariani, era la incarnazione di Varuna, Lug il lucente per i galli e Vishnu per gli induisti, ragion per cui nella bibbia le carni suine sono considerate impure, mentre la femmina del cinghiale semi lanuto, in quanto essendo destinata a congiungersi carnalmente con il “Mocco”, così era chiamata l’incarnazione di Lug, era la “mezzana”, cioè colei che funge da intermediaria spirituale tra il dio e il druido.
Per questo motivo la scrofa sacra era chiamata “lӧgia”, dal greco “loghia” = “discorso”, oppure “oracolo divino”, da ciò anche l’origine di aggettivi che indicano lo studio di una materia, prima tra tutte la teologia per esempio.
Ovviamente in segno di spregio, con il cristianesimo lӧgia è diventato un aggettivo giunto fino ai giorni nostri, il quale nel dialetto lombardo indica una donna di facili costumi.
Una testimonianza del fatto che la Valascia era un centro spirituale ce la fornisce anche la leggenda di Teodolinda, la quale arrivando a Cassano seguendo il sentiero che sale dalla val d’Arno, si trovò a passare obbligatoriamente dalla Valascia, vedendosi così circondata da un branco di maiali, mentre i contadini fuggivano, temendo una punizione.
Ai tempi di Teodolinda i culti ariani e naturistici erano ancora ampiamente praticati, anche dai longobardi, nonostante che il concilio di Tours VI secolo d.C. e quelli successivi, avessero invitato le autorità ad impedirli; la vera cristianizzazione dell’Insubria avverrà solo sotto Carlo Magno.
Quindi unendo la leggenda alle tradizioni e alle abitudini delle popolazione di cultura ariana si può pensare che i cassanesi per sfuggire al rigore della chiesa cristiana, continuavano a praticare i loro culti clandestinamente, magari sostituendo la quercia farnia, l’albero sacro per eccellenza con il cerro e il cinghiale semilanuto (che con ogni provabilità era stato sterminato dai cristiani) con il maiale, da qui all’arrivo di Teodolinda, la fuga dei cassanesi timorosi di essere puniti dalla regina, grande nemica degli ariani, ma non si può escludere che i maiali siano stati abbandonati volontariamente in segno di spregio verso Teodolinda, da qui anche la generosità della regina nei confronti dei parrocchiani di San Giulio, i quali con ogni provabilità erano di origine giudaico bizantina, giunti nel territorio al seguito di Costantino e di San Giulio, ancora fortemente attaccati alla tradizione biblica, che proibiva il consumo di carme di maiale, pertanto la regina ritenne di punire quelli di Santa Maria, premiando i parrocchiani di San Giulio con i terreni appartenenti alla fara e con ogni provabilità rimosse anche lo sculdascio che aveva la signoria del luogo, una sfacciata forma di clientelismo ancora in vigore ai giorni nostri.
Teodolinda amatissima dai cristiani, nutriva un grande disprezzo (ricambiato) per gli ariani, tanto che alla notizia che la figlia Manigunda si sarebbe fatta monaca, avrebbe esclamato: “Meglio sposa di dio che di una bestia”.
In merito a Teodolinda bisogna ricordare che era figlia di Garibaldo, re dei bavari, un popolo germanico romanizzato e cristianizzato, mentre i longobardi erano ariani, quindi considerando il matrimonio di Teodolinda con il loro re Autari e che alla morte precoce di questi si sposò con il successore Agilulfo, e al fatto che il fratello della regina fosse diventato duca di Asti, fa supporre il che il vero potere era nelle mani dei bavari, i quali avrebbero sollecitato l’alleanza dei longobardi per accorrere in aiuto di papa Gregorio Magno, impegnato nella sua diatriba con il patriarcato bizantino di Aquileia, e gli eruli, i quali si erano impadroniti del regno d’Italia sottomettendolo all’imperatore di Bisanzio
In seguito alla morte di Agilulfo Teodolinda assumerà per nove anni la reggenza del regno d’Italia per conto del figlio Adaloaldo, il quale verrà assassinato dopo meno di un anno di regno, e al suo posto assumerà il regno Arioaldo, genero di Teodolinda per aver sposato la figlia Gundeperga, ma capo della fronda anticristiana; in seguito alla morte di Adaloaldo, Teodolinda si ritirò in convento, mentre Gundeperga la seguirà qualche anno dopo.
È interessante notare che mentre la presunta figlia di Teodolinda, Manigunda, rimane un fantasma, in quanto non è citata in nessun documento, Gundeperga che diventerà regina dopo l’assassinio del fratello Adaloaldo a sua volta abbandonerà il trono per farsi monaca evento che potrebbe essere la causa dell’esclamazione: “Meglio sposa di dio che di una Bestia”.
Quindi dando per certo che la chiesa di Santa Maria del Cerro è una continuazione del culto ariano della quercia, forse un compromesso per riappacificare la gente, anche se i celti più accaniti si erano spostati sempre più a nord, trasformando la Svizzera in un’isola ariana, in un mondo cristiano, da qui poi anche il nome “Elvezia”, che per i cristiani diventerà Svizzera, il quale nella lingua tedesca Schweiz richiama il nome del maiale “schwein” così come il nome dialettale di Soiano “Suiàa”, è riconducibile all’inglese “sow” e al tedesco “sau” entrambi con il significato di scrofa, da ricordare che nel Canton Ticino, su un altipiano che domina la valle del Tresa, esiste una piccola località che si chiama Suino, la quale fa parte del comune di Sessa, un toponimo la cui etimologia porterebbe al prefisso Latino “sesqui”, abbreviazione di “semisque” = “mezzo”, quindi un'altra “Mezzana”, un'altra Suino è un quartiere del comune di Sesto Calende, luogo d’importanza preistorica ampiamente attestato dai ritrovamenti archeologi.
Tracce del culto della quercia sono ancora presenti nel nostro territorio, a Mezzana, con il santuario della “Madonna della Ghianda” tra l’altro il toponimo Mezzana significa “Mediatrice”, il ruolo della scrofa, e può assumere lo stesso significato di Mediolanum “, “al centro della landa”, quindi un centro spirituale che nella tradizione ariana, faceva capo a quattro villaggi.
Purtroppo il terremoto che in questi giorni ha colpito il reatino, mi porta a conoscenza dell’esistenza ad Amatrice, nella frazione di Sant’Angelo, di una chiesa consacrata alla Madonna di Gallorum, di fronte alla quale si erge un maestoso cerro vecchio di almeno 600 anni.
Il latino Gallorum è facilmente traducibile in “oracolo dei galli”, oppure fa riferimento a un luogo dove i galli pregavano, in ogni caso la Madonna di Gallorum e il suo cerro sono la continuazione cristiana di una tradizione vedica, probabilmente legata ai galli senoni, In quanto ci troviamo nel “Ager Gallicum”, la terra che i senoni hanno conquistato ai piceni, per poi perderla a loro volta dai romani.
Del resto anche il toponimo Amatrice fa riferimento alla quercia “drys”, in greco, da cui sull’esempio di “Mendrys”, un provabile “Amadrys”; etimologicamente il toponimo ha origine dal greco arcaico “hamadryàdos”, continuato dal greco classico “hamadryàs”, dal latino “hamadrias e dall’italiano:” Amadriadi”, le quali erano le ninfe delle querce, il cui compito consisteva nel proteggere l’albero, in quanto sarebbero morte con lui, le driadi invece erano immortali.
Quindi anticamente il toponimo Amatrice indicava un luogo dove la gente adorava la quercia.
In Umbria va ricordata anche la “Madonna della Cerqua”, un’edicola sacra, posta all’interno del tronco di una quercia ormai morta da secoli, situata ad Onelli, una frazione di Cascia, che come Casciano Casciago è Cassiano è un altro toponimo che fa riferimento al nome primordiale della quercia, “Cassano-s”, Cerqua è il nome dialettale della quercia
La tradizione legata alla “Madonna della Cerqua è ripresa in molte chiese e dipinti presenti in Umbria, ed anche nelle zone confinanti.
Un accostamento di Valascia a centro spirituale, lo troviamo anche ad Arsago Seprio, dove una strada consorziale, che conduce alla Lagozza di Centenate, è chiamata della Vallazza (italianizzazione di Valascia), nei pressi della quale è stato ritrovato un masso che fungeva da altare votivo, con incise delle coppelle votive e vari cerchi solari, che riconducono alle incisioni della val Veddasca e della val di Vara.
Un’altra Valascia la troviamo nel Canton Ticino, lungo la strada che sale al passo del San Gottardo, si tratta di un altipiano a mille metri di quota, il regno dei leponzi, dove troviamo il paese di Quinto, località che con le sue otto frazioni occupa tutto l’altipiano della Valascia, due di queste frazioni, le più importanti, “Ambrì e Piotta”, formano il nucleo centrale del paese, ebbene, traducendo i loro toponimi nella lingua dei celti avremmo: “Centro del Piano”, quindi “Mediolanum” o “Mezzana”, sinonimi di Valascia, infatti il toponimo “Piotta”, ha il significato etimologico di piatto, da comparare anche con il latino “plautus” = “piatto”, “largo”, mentre “Ambrì”, etimologicamente deriva da “Ambone”, dal greco antico “àmbon”, = “prominenza”, anticamente l’ambone era una specie di podio sul quale salivano i sacerdoti per parlare alla gente, in seguito fu sostituito dal pulpito cristiano, e la Valascia di Quinto è il pulpito ideale per rivolgersi alla gente della valle Leventina.
Ambone era anche una prominenza al centro dello scudo, in oltre ambone si traduce nell’inglese “omphalos”, un aggettivo greco adottato dalla lingua inglese, non a caso viene usato dagli archeologi per indicare i centri spirituali, in modo particolare l’oggetto sacro posto al centro del piazzale.
Quindi davanti a questo esempio possiamo affermare con sicurezza che la Valascia era un centro spirituale e che le origini di Cassano sono precedenti all’arrivo dei Galli.
Una corruzione del sanscrito "varahi", la troviamo anche a Champoluc in valle d'Ayas, si tratta della località: "Pratone Varasc", il quale era sicuramente un antico centro spirituale sacro a Lug, dal quale deriva anche il nome di Champoluc, vale a dire: "Campo di Lug".
Plinio il Vecchio cita il “Foedo Cassianum”, oggi sappiamo che significava: “federazione della quercia”, un’alleanza che i latini festeggiavano ogni anno sul monte “Cavo”, oggi Albano.
Ma quello che ancora non si sa, è che questa alleanza è ancora più antica della fondazione di Roma, in quanto i latini l’avrebbero stipulata tra il XII e il XIV secolo a.C., con i fondatori di Ardea, i quali come vedremo nel capitolo dedicato ai latini, erano esuli kassiti, o comunque genti di origine persiana, che hanno portato in Italia il culto di “Giove Kassio”.
In oltre la radice “Cassio” derivante Da Giove Cassio il dio della quercia, che costituisce un nome romano molto diffuso, la troviamo nei nomi di molte tribù liguri e celtiche, come ad esempio i cassi e i cassini in Inghilterra, i quali furono acerrimi nemici di Giulio Cesare, nella Bretagna francese si segnalano i vellocassi, i tricassi, i viducassi, i bodiocassi, che potrebbero essere associati a Bodio Lomnago, i cocosati e tra loro anche il ramo occidentale dei veneti, quindi Cassio era un epiteto che anche i celto liguri rivolgevano al loro dio della quercia “Lug”, conseguentemente Cassio era un nome in uso anche ad Albalonga.
Un’altra testimonianza importante ce la fornisce il mitico Omero, il quale nel creare il personaggio della profetessa inascoltata di Troia, si è ispirato alle “pizie”, sacerdotesse dell’oracolo di “Zeus”, a Dodona, le quali emettevano i loro vaticini passeggiando in un bosco di querce sacre, mentre masticavano ghiande, quindi etimologicamente il nome Cassandra sarebbe composto dal nome antico della quercia e dal greco “andròn” = “passaggio tra due cortili”, quindi si avrebbe: “passare tra le querce”, o “colei che passa tra le querce”..
Sull’isola di Corcira (Corfù) ricca di querce e popolata dai latini prima di arrivare in Italia, c’era un tempio dedicato a Giove Cassio, secondo la mitologia greca, la regina di Libia “Cassiope” per sfuggire all’ira di Poseidone, il quale per punirla avrebbe inondato la Libia, si rifugiò a Corcira sotto la protezione di Giove Cassio.
Romolo dopo aver sconfitto i “Ceninesi”, coinvolti nel ratto delle Sabine, salì sul Campidoglio e gettò le armi del nemico ai piedi di una quercia sacra, attorno alla quale tracciò il solco del primo tempio romano, dedicato a “Giove Feretrio”
Durante l’assedio di Marsiglia, Giulio Cesare per vincere la paura di abbattere un bosco sacro, che bloccava i suoi alleati galli, abbatté personalmente una quercia.
A Cassano Magnago di toponimi d’origine celta ce ne sono tanti, il più eclatante è la Magana, un vasto campo al centro della città che miracolosamente si è salvato fino ai giorni nostri, il quale si affaccia sulla Valascia, la piazza Santa Maria del Cerro, ora la Magana è parco pubblico e vanto dei cassanesi.
L’etimologia di “Magana”, sarebbe originata dal celtico: “magus” = “campo”, originato a sua volta dall’indoeuropeo “mahi” = “terra”, e dal suffisso greco antico “Ana” = “regina” quindi Magana = “Campo della regina”, sul modello del già attestato “Rigomagus” = “Campo del Re”, ana era sinonimo dell’italica “Anna Perenna”, una divinità legata al culto della terra.
Da precisare che nella tradizione indoeuropea più antica, i terreni definiti Magana oltre ad essere sacri alla Grande Madre, proprio perché tali costituivano il pubblico demanio coltivato da tutti i componenti della comunità, sotto alla guida del sacerdote, il quale poi provvedeva a ripartire in parti uguali i frutti del demanio.
In seguito con la maschilizzazione del culto il termine mutò conservando solo la radice “gana”, con il significato di demanio pubblico, tanto che Gana la troviamo in molti toponimi, come Valganna per esempio, mentre con la romanizzazione saranno chiamati “Ager Pubblicus”, ed infine “Vigano” con i longobardi, per poi essere soppressi e assegnati agli istituti religiosi, con il chiaro intento di affamare gli ariani.
Nella lingua sanscrita “Ana “ha il significato di “cibo”, quindi con questo concetto Anna è diventata la dea dell’agricoltura, e da ciò anche regina.
Ma nella cultura indoeuropeo oltre ad essere la dea dell’agricoltura, “Anna Perenna”, assume anche il significato di “anno infinito”, sinonimo del sanscrito “varsam sanӓtana”, ciò indica il ripetersi all’infinito del succedersi delle stagioni, con il nome della regina usato per indicare ogni ciclo.
Da Ana ha origine il greco antico “anassa” = “regina”, poi divenuto “Anna”, ma molto più significativa è la comparazione di Magana con il sanscrito “Maharani”, = “regina della terra”, da “mahi” = terra, e “rani” = regina, chi fosse la regina è difficile dirlo, sicuramente una “Grande dea Madre” continuatrice della tradizione neolitica, possiamo pensare a “Cerere”, adorata dagli umbri con il nome di origine indoeuropea: “ Kerri,Kerres o Kerria”, “Ceres o Cereris”, in latino, nomi che etimologicamente sono comparabili all’italico “cerro”, quindi provabile albero sacro a Cerere, ma da considerare anche Anna Perenna, l’italica “Matuta”, la grande madre buona, protettrice dei parti e dea della luce mattutina, adorata anche dai greci con il nome di “Leukotea”, = “la Dea Bianca”, divinità legate al culto della terra, senza dimenticare la celtica “Belisama”, la fata dalla coda serpentina, un attributo retaggio della tradizione neolitica, sorella di Bel amatissima dal popolo irlandese, fino a costringere la chiesa ad incorporarla nella tradizione cristiana come Santa Veronica.
Nei pressi di Monza, a Burago Molgora esiste una via “Cascina Magana” e la relativa cascina, unica traccia della presenza dei liguri
Una località chiamata “Magaňa”, la troviamo anche in Spagna nella comunità autonoma di Castiglia e Leon, situata ai piedi dei monti Cantabrici, luogo frequentato dai Galli.
Magaňa è una località di 115 abitanti situata su un altipiano ai piedi di una rocca fortificata, la cui altitudine supera i 900 m; a piedi dell’altipiano scorre il fiume “Barranco de Magaňa”, “Burrone di Magaňa”.
Ad accrescere la teoria dell’antica frequentazione della Magana è la presenza al margine sud est del campo, di un breve vallone perfettamente in asse con il tratto iniziale della via Santa Maria e la curva del Rile dove svolta verso sud, sicura traccia di un antica sorgente, forse alimentata dalle numerose paludi che allora ricoprivano l’altipiano cassanese, quindi la sorgente costituiva un luogo di aggregazione, attorno al quale sarebbe nata la prima comunità di Cassano Magnago, a ciò si aggiungeva anche la sacralità delle sorgenti, fonti di vita e quindi manifestazione della ”Grande dea Madre”, pertanto Magana è da comparare anche con la sorgente “Mojenca” di Rondineto Como, sono due aggettivi di origine ligure, i quali indicano due luoghi di natura diversa, ma sacri alla Grande dea Madre.
Da considerare anche la particolarità della sorgente Mojenca, la quale è stata monumentalizzata con la realizzazione di una galleria sostenuta da due pareti in pietra, pertanto si può ritenere che anticamente, anche alla Magana ci fosse questo tipo di monumento.
Ad accrescere la certezza sulla presenza di una sorgente, le case del borgo antico situate ai piedi della collina sono attraversate da un vicolo che ancora oggi si chiama “Vicolo dell’Acqua.
Ma sempre al margine sud est della Magana, affacciata sulla pianura sottostante si erge la torre di san Maurizio, monumento nazionale, perché è uno degli edifici ancora integri più antichi della Lombardia e sta alla pari con altri monumenti romani famosi in tutto il mondo.
Gli archeologi lo indicano come una torre di segnalazione risalente all’epoca tardo romana, ma gli eventi bellici del territorio e la posizione sul ciglio dell’altipiano della torre, mi fa pensare che facesse parte delle fortificazioni del villaggio, in quanto la torre è stata sicuramente preceduta da altre fortificazioni costruite dai celti prima dell’arrivo dei romani.
Ce lo dimostra la collina, la quale è stata fresata alla base per una lunghezza di quasi tutto il territorio cassanese, fino ad ottenere una parete verticale di almeno tre, quattro metri, quanto basta per rendere inaccessibile il versante sud della collina, lo stesso vale anche per la ripida strada d’accesso alla torre, la quale essendo addossata alla parete verticale lasciava esposti gli attaccanti ai colpi dall’alto dei difensori, i quali potevano scagliare grosse pietre direttamente sulla testa degli invasori, oppure colpirli con lunghe lance, senza correre rischi, un sistema difensivo caratteristico delle città fortificate, del quale gli archeologi citano come esempio le porte “Schee” di Troia.
Anche la scaletta di san Maurizio configura una porta fortificata, simile a quella indicata come porta principale di "Ugarit", una delle città più antiche. WWW.Ugarit Wikipedia
Questo tipo di porte erano utili durante gli assedi, in quanto erano passaggi difendibili con facilità, ma utilizzabili per compiere sortite, o l’ingresso nella cittadella di rinforzi e rifornimenti.
Quindi i celti sarebbero i primi indiziati alla fondazione di Cassano, ma costruire muri non era da loro (i galli almeno), invece con la conquista romana una legione si fortificò a Busto Arsizio, quindi Cassano Magnago divenne sicuramente un avamposto, con il compito di sorvegliare i celti non ancora pacificati e segnalare al comando della legione, eventuali sommosse, quindi la torre di San Maurizio potrebbe essere stata edificata dai romani all’inizio del II secolo a.C.
Uno dei toponimi rimasti nella memoria dei Cassanesi è il “Brigurìi”, fa riferimento a un altipiano quasi a forma di sperone accessibile solo da nord il quale affacciandosi sulla pianura sottostante, circondato a est dalla valle del Rile e a Ovest dal vallone dove oggi scorre via Marconi, costituiva una vera e propria roccaforte naturale.
Brigurìi ha una pronuncia finisce con un suono Inglese a metà strada tra la” i “e la “e”, mentre “Brigurit”, erano i suoi abitanti, il toponimo è stato storpiato in varie forme ino ad essere italianizzato in “Brugorino”, vale a dire brughierino, senza considerare che la brughiera non ha nulla da spartire con il territorio paludoso che lo circondava.
Brigurìi è un toponimo composto da due radici celto liguri: “Brig” = “altura” o “collina”, come ad esempio sono attestati: “Brinzio, “Brianza” e “Briançon”, zona d’origine dei “Briantes” = “Montanari”, la seconda radice è il celto ligure “Rì”, che come “reno”, “rheino”, “rino” indicava un ruscello o torrente, acqua che scorre, quindi Brigurìi stava ad indicare un villaggio situato sopra il Rile, un torrente che non ha mai avuto un nome proprio, ma continua a portare quello comune dei celti; Rì, ed è confrontabile e forse originato dalla stessa radice dalla quale deriva anche il greco: “rheino”, = “acqua che scorre”, un esempio sono le numerose località chiamate “Sorgiorile”, una palese italianizzazione di un idronimo celta, che indicava la sorgente di un torrente
Se c’era un villaggio, doveva esserci anche un centro spirituale, e questo non poteva essere che il longobardo o franco San Giorgio in Campora
Nel convertire i celti e i longobardi, i cristiani si servivano spesso dei Santi guerrieri, in quanto riscuotevano l’ammirazione degli ariani, mentre per il toponimo Campora possiamo ipotizzare il dialettale “Camp” col significato di campo, voce che ritroviamo nella lingua inglese con lo stesso significato e stessa pronuncia del dialettale, praticamente: “chemp”, + il greco “phoros”= “passaggio”, quindi “Campora” = “passaggio tra i campi,” quando gli insubri hanno fortificato la collina, il vallone dove oggi scorre la via Marconi, era il passaggio più facile per salire sull’altipiano cassanese, quindi era indispensabile fortificare il passaggio , pertanto è presumibile che gli insubri, per maggior sicurezza si siano affidati anche alle forze divine e nel luogo dove oggi troviamo la chiesa di Sant’Anna, abbiano realizzato un luogo sacro a Rethia Phora, una divinità identificata con la luna e considerata la: “Guardiana della Porta del Cielo”, e quindi: custode delle porte e dei passaggi, adorata anche dai veneti e dai reti, quindi il toponimo indicherebbe un altare o un “Campo Sacro a Rethia Phora”, quindi una Magana del villaggio situato sul Brigurìi.
Rethia Phora è un teonimo originato dal greco Phoros sinonimo di passaggio, dal quale si è originato l’italico “porta” mentre il corrispettivo latino è “Ianua”; la divinità sarebbe giunta in Italia durante l’epoca minoica o poco prima.
Tra le numerose località chiamate Campora la maggioranza delle quali è situata in luoghi alti, è interessante la Campora in val Muggia nel Canton Ticino, dove sono state ritrovate delle tombe romane, si tratta un luogo impervio lungo la strada che sale al confine con l’Italia e una strada chiamata giro di Campora a Mendrisio, una via Campora esiste anche a Vercelli.
Sempre al Brigurìi, esiste una villa in stile medio evo costruita alla fine del XIX secolo, chiamata “Castello dei Cento Tetti”.
Trovo curiosa la costruzione del castello proprio sull’antico sentiero che saliva verso la chiesa di sant’Anna lungo il fianco ovest dell’altipiano dove è situato il Brigurìi, il quale divide la valle del Rile dal vallone di via Marconi, forse il ricordo di un antico fortificazione o casaforte, un’ipotesi avvalorata anche dall’esistenza di una strada che risalendo l’altipiano dal versante del Rile, si congiunge con l’altra nel cortile di una vecchia cascina.
Forse è un caso, ma quello che è stato un vezzo modaiolo della “bella epoche”, sembra la continuazione di un ricordo ancora presente tra i cassanesi del XIX secolo.
Leggendo una ricerca dei professori Guenzani e Fimmanò, scopro che via Monte Rosa, anticamente era chiamata “Strada delle Albanelle, infatti si tratta di una strada che dalla provinciale per Santo Stefano si dirige verso l’area bagnata dal Rio Freddo, la quale era chiamata Albanella, quindi un’area che porta il nome di un rapace delle paludi, dotato di piumaggio essenzialmente bianco.
Le albanelle erano legate al culto di Demetra e Kore, madre e figlia, due divinità greche alter ego delle romane Cerere e Proserpina, che soprintendevano il culto della fertilità femminile e della terra, pertanto possiamo ritenere che per i cassanesi primitivi, quella terra era sacra a Cerere.
Infatti, dopo la cristianizzazione dell’Impero Romano, per mantenere vivi i culti delle divinità pagane, senza incorrere nelle ire della chiesa, i nomi degli dei furono sostituiti con quelli degli alberi e degli animali a loro sacri.
Essendo quella dell’Albanella un’area tendenzialmente paludosa ancora oggi è possibile notare qualche airone cinerino di passaggio, che la utilizza come luogo di caccia.
Sempre per sfuggire al furore antipagano dei cristiani, l’area situata sull’argine sinistro del Rile era chiamata Candia un soprannome capitolino di Cibele, la “Magna Mater” dei romani, la quale in origine era la “Grande Madre”, di tutte le divinità dei frigi, un popolo che aveva le stesse radici etniche degli insubri, vale a dire la Tracia, dalla quale migrarono in Anatolia nel 700 a.C.
Il toponimo Candia potrebbe riferirsi all’abete bianco, chiamato anche:” cedro del Libano”, il quale era sacro a tutte le Grandi Madri, in particolare di Cibele si ricorda il culto della “pigna”.
Cibele era adorata anche dagli insubri, e pertanto i romani, seguendo le loro tradizioni, come avevano già fatto con il culto di Giunone durante la guerra con Vejo, per annullare la sua protezione sulla città della quale era Matrona, altrettanto fecero con Cibele durante la seconda guerra punica, con lo scopo di neutralizzare la sua benevolenza verso gli insubri, i principali alleati di Annibale, e la adottarono come Magna Mater.
A tale scopo inviarono i loro ambasciatori a Pessinunte, in Asia Minore, dove nel tempio a lei sacro, era custodita la: “Pietra Nera”, ritenuta la dimora della dea, e dopo aver corrotto gli oracoli del tempio, gli ambasciatori la portarono a Roma, dove fu accolta con grandi onori e collocata sul Palatino, nel tempio della Vittoria, in attesa che ne venisse costruito uno apposito.
Anche se Tito Livio racconta che: dopo aver consultato i libri sibillini i romani si convinsero di essere stati abbandonati dagli dei, e per questo si rivolsero a Cibele, dobbiamo considerare che si tratta di una affermazione abbastaza discutibile, in quanto lo stesso Tito Livio raccontando la vicenda di Giunone, parla di riti propriziatori che i romani celebravano, per accattivarsi la benevolenza delle divinità dei nemici, tanto che dopo aver conquistato Vejo, trasferirono a Roma la statua di Giunone con tutto il suo tesoro.
Una traccia del culto della “Magna Mater”, è stata ritrovata nella vicina Parabiago, si tratta di una patera d’argento del diametro di 40 cm, risalente al IV secolo d.C., nella quale la figura centrale raffigurava Cibele con l’amato figlio Attis, sul carro trainato dai leoni.
Da ricordare però che nella cultura dei campi di urne, la simbologia più ricorrente era il cerchio solare e l’uccello acquatico bianco, assomigliante al cigno, il quale potrebbe essere un alternativa all’albanella, in quanto il cigno era un uccello particolarmente sacro ai liguri, perché legato a una leggenda tramandata da Esiodo, la quale racconta di Cicno figlio di Stenelo e re dei liguri , parente e amico intimo di Fetonte figlio del sole (Apollo), che lo pianse intensamente il giorno che Zeus lo fece precipitare nell’Eridano, tanto che il dio del fulmine lo trasformò in cigno, stessa sorte toccò alle sorelle di Fetonte, le Eliadi, le quali mentre piangevano furono trasformate i pioppi e le loro lacrime in ambra.
In merito alla leggenda di Cicno merita essere ricordato che in Cilicia, la fertile pianura che si estende tra i monti Tauri e il mar Mediterraneo, e che in origine fu sede della cultura Cardiale, la prima civiltà contadina ad affacciarsi sul Mediterraneo, poi portata avanti dai danai, scorre un fiume anticamente chiamato: Cidno oggi: Tarsus Ҫayi, quindi possiamo supporre l’esistenza di una divinità con questo nome, tanto che da come dimostrano i ritrovamenti archeologici: la città di Brescia sarebbe stata fondata sul Colle Cidneo.
I cigni erano sacri al dio solare Apollo, del quale trainavano il carro sacro, una tradizione diffusa nel mondo minoico, trasmessa tra i liguri con il nome di Bel.
Anche Zeus si trasforma in cigno, allo scopo di avvicinare e possedere Leda, regina di Sparta, mentre si bagnava nuda nelle acque dell’Eurota, dopo quell’amplesso leda deporrà un uovo di cigno, dal quale nascerà Elena e partorirà i gemelli Castore e Polluce, altre leggende affermano che le uova erano due, dalle quali nascerà anche Clitemnestra, futura moglie e assassina di Agamennone, re di Micene
Da citare anche Candia Lomellina, bagnata dal Sesia e Candia Canavese con il relativo lago di Candia, una Candia è anche la città più popolosa dell’isola di Creta, luogo dove è nata la cultura minoica ed il culto di Demetra, nella quale affondano le loro radici le culture dei liguri e degli umbri, Candia sorge dove c’era il porto di Cnosso, ma qui i linguisti attribuiscono l’origine del toponimo all’arabo “al-Khandaq”, = “fossato”, in quanto la città sarebbe circondata da un fossato, ma nell’isola di Creta cresce la “Ophrys candica”, una specie di orchidea presente anche nell’Italia meridionale, la quale potrebbe essere anche lei all’origine del toponimo.
Nell’isola di Creta sarebbe esistita anche un’antica città chiamata “Kissamos” della quale non esistono tracce archeologiche, il toponimo è un evidente riferimento etimologico al nome antico della quercia,
Anche Gortina è una città cretese le cui origini risalgono almeno all’età del rame l’etimologia del nome ci porta alla città italiana di Cortina D’Ampezzo, situata ai piedi del Col di Lana, una montagna sacra ai popoli emigranti, che nell’età del bronzo si spostavano dal mondo ellenico verso l’Italia.
Rione Cattabrega
Un capitolo a parte merita il rione Cattabrega, in quanto pur essendo l’ultimo arrivato tra i rioni storici di Cassano Magnago, è passato alla storia come il luogo dove San Giulio fondò la prima comunità cristiana a nord di Milano, tracce di quel evento sono i resti di due chiese che nel corso dei secoli si sono sovrapposte alle fondamenta di un antico tempio romano,
Fondata dai veterani romani all’epoca della centuriazione voluta da Giulio Cesare, 50 a.C., circa, nel terzo secolo d.C., probabilmente in seguito a un intervento di Sant’Ambrogio gli ariani cedettero la loro terra a un gruppo di cristiani guidati da San Giulio.
Attualmente attorno al sito oltre alle fondamenta del tempio primitivo, sono state individuate svariate tombe di origine rinascimentale, che non sono ancora state scoperchiate a causa della scarsa importanza archeologica che hanno.
Il toponimo Cattabrega non è altro che l’italianizzazione del dialettale “catabrig”, “persona arrogante e litigiosa”, mentre l’etimologia sull’origine dell’aggettivo, mi propone il “greco” kata”, = “sotto”, ed il celtico “brig” = “monte”, oppure “collina, o “altura” considerato che il rione antico era situato proprio sotto la collina del “Brigurìi” praticamente si sono addirittura appoggiati al muro che fortificava l’altipiano, mi sembra palese che il toponimo facesse riferimento alla posizione orografica del villaggio.
L’avverbio “kata” è diventato un verbo del nostro dialetto con il significato di “raccogli”, “prendi” comunque si riferisce sempre ad una azione che parte dal di sotto.
Il toponimo Cattabrega o Cattabreghetta è diffuso in tante parti d’Italia, sempre in prossimità di piccole alture o di toponimi come “Cassina di sopra”, dalle nostre parti posso indicarne una nella periferia ovest di Busto Arsizio, un'altra nel bosco naturale di Vanzago altre tre o quattro, nell’hinterland milanese e in particolare, una Cattabrega citata dagli storici antichi e moderni, situata nelle vicinanze di Pesaro.
La Cattabrega marchigiana fu fondata in epoca romana dai senoni, ormai pacificati ed ellenizzati, alcuni nel ricostruire l’etimologia di Cattabrega hanno ipotizzato il celtico “catto”,= “gatto”, che io non trovo credibile, in quanto alle spalle dell’antica Cattabrega marchigiana ci sono delle colline sulle quali sorgeva “Roncaglia, il nome antico dell’attuale “Gradara”, la giusta traduzione di “Ronco”, quindi è palese che con Cattabrega si voleva indicare una località ai piedi di un’altura, più a nord c’è anche Cattolica, la quale ha potuto conservare il suo nome originale per via del riferimento religioso.
Anche qui si è scomodato il “catto”, il quale non so proprio cosa centri con i toponimi celti, Cattolica non è altro che la combinazione del Greco “Kata” e del celtico “lika”, = “pietra”, con l’evidente riferimento al fatto che Cattolica è situata sotto alla rocca di San Marino.
La conferma alla mia ipotesi di Kata, la troviamo in Sicilia, esattamente a “Cattolica Eraclea”, la quale è situata ai piedi della rocca sulla quale sorgeva l’antica “Eraclea”.
Il rione Cattabrega nato in epoca romana ai piedi della collina, si raggruppava attorno alle attuali via Manzoni e via Ronchi e considerando che ancora nel 1700, l’attuale via san Giulio era occupata da un cimitero, dobbiamo considerare che via Manzoni e via Ronchi, per secoli sono state l’asse stradale più importante del paese.
Oggi sono chiamate “Drè Via” perché oramai sono due vicoli nascosti dalla successiva urbanizzazione del territorio, la particolarità di queste strade consiste nel fatto che fanno parte di un antico asse stradale che partiva da Gallarate raggiungeva Cassano Magnago salendo per l’attuale via Da Vinci o dalla via Santa Maria, ma anche per gli attuali vicoli: Castello e dell’Acqua (un forte indizio sulla presenza di una fonte), che sbucavano ai piedi della torre e della sorgente e dopo aver raggiunto la torre di San Maurizio scendeva per via Volta, per congiungersi con via Manzoni, la quale passando ai piedi della collina, raggiungeva l’antico tempio romano (ex chiesa San Giulio) mentre via Ronchi proseguiva fino ad oltrepassare il Rile e imboccare Via delle Candie, la quale a sua volta continuava per Bolladello, arrivando davanti all’antica chiesa di San Calimero, e proseguire mantenendo lo stesso asse stradale, fino alla chiesa di Peveranza, dietro alla quale ancora oggi, parte un vicolo che uscito dall’abitato storico si dirige a Castelseprio.
Sono molti i paesi che rivendicano il passaggio della via “Novaria”, perché non Cassano? Dopotutto sarebbe stata la via più semplice e meno faticosa.
Soiano
Il nome di Soiano “Suiàa” in dialetto, richiama i suini e la leggenda della Regina Teodolinda, la quale avrebbe paragonato i cassanesi ai maiali =” Schweine”, in tedesco, da considerare anche l’inglese “sow” e il tedesco “sau”, tutti con il significato di “scrofa”.
Ma considerando che il toponimo Cassano potrebbe essere originato dalla presenza di un “Forum Cassi”, vale a dire “Mercato dei Cassi”, come succede nella provincia di Viterbo, dove nelle vicinanze di un Forum Cassi, troviamo toponimi come Suriano e Sora, i quali porterebbero alla presenza di popolazioni siriane adoratrici di Cassio, giunte in Italia con i cassiti, dopo la metà del secondo millennio a.C., pertanto il toponimo Soiano potrebbe essere dovuto alla presenza di un clan di siriani. da cui: “Soriano”, derivato da Soria, il nome medioevale della Siria.
Ma non si possono escludere i Sueoni, che Tacito cita per primo con il nome di “Suiones”, si tratta di un popolo di origine svedese come la regina Teodolinda, un clan dei quali potrebbe essere giunto in Italia con i Goti o con gli stessi Longobardi.
Infatti Teodolinda, anche se di origine svedese e quindi di stirpe ariana, era cristiana in quanto la madre, Waldrada appartenente alla dinastia dei Letingi, che regnava sui longobardi, sposando Garibaldo duca di Baviera si era cristianizzata.
Da considerare che adiacente al quartiere Soiano, è stato identificato il toponimo antico “Lavernate”, il quale sarebbe la corruzione del celtico “L’Arvernate”, un nome che richiama “l’Arvernia”, la terra dei potentissimi galli arverni, ma era anche un altro epiteto con il quale i galli “arverni” acclamavano “Lug” come uno di loro, pertanto “Arvernate”, sarebbe il nome di un quartiere gallico sacro a Lug.
Gli Arverni erano la tribù gallica più potente ed agguerrita, tanto che molte delle altre tribù gli erano sottomesse, originari dell’Arvernia e della Gergovia, il loro re più famoso si chiamava “Luernio”, e guidati da “Vergingetorige si opposero ai romani fino allo stremo.
La loro capitale era “Augusto Nemetum” = “Bosco Sacro”, con i romani divenne “Clarus Mons”, “Monte Chiaro”, forse in riferimento al vicino “Puy de Dome” secondo alcuni “Poggio del Duomo”, ma trattandosi della montagna più alta del Massiccio Centrale si potrebbe intendere anche “Picco che Domina”, mentre in epoca moderna “Clarus Mons” e diventata “Clermont Ferrand.
E a un nobile gallico ci potrebbe ricondurre all’edificio posto all’angolo tra via Cantù e via don Gnocchi, il quale presenta la tipica caratteristica di una casa forte, che con la sua posizione in riva alla scarpata, sembra controllare il traffico sulla strada che allora conduceva da Gallarate ai valichi alpini.
La sua posizione staccata da quello che era il villaggio primitivo fa pensare che in origine fosse la residenza di un nobile e spiegherebbe l’antica presenza del toponimo “Lavernate”, un chiaro riferimento ai potentissimi galli arverni, o in alternativa poteva essere un fortilizio romano, che vigilava sulla sottostante strada che portava ai valichi alpini.
La presenza nello stabile di una chiesa sacra a san Rocco fa pensare alla famiglia Cagnola che era la patrona della chiesa in epoca medioevale, come agli antichi proprietari dell’edificio. I Cagnola di Cassano Magnago nel 1277 erano iscritti nel libro doro delle famiglie nobili milanesi e nel 1377risultano iscritti alla Matricula Nobilium Familiarum con il diritto di elezione a canonici del Duomo di Milano.
Tra i personaggi antichi più illustri, nel 1117 si cita un Ariprandus Cagnola Console di Milano e in documenti del 1173 si riferisce di un Anselmus Cagnola.
Nel 1294 un marchese Cagnola è giusperito del Comune di Milano.
Questi nomi ci fanno capire che si tratta di una famiglia di origine germanica già romanizzata, quindi proveniente dalla Renania Palatinato, terra colonizzata, pertanto il cognome potrebbe trarre origine da Colonia o da campagnolo come i toponimi Cologno o Crugnola.
Da ricordare Gaio Canìnio Rèbilo, legato al seguito di Giulio Cesare, un liberto del quale potrebbe aver assunto il cognome Cagnola, in quanto servo fedele del senatore.
A tal proposito va ricordato che personaggi illustri come Carlo Magno e Ottone Visconti, non essendo romanizzati, non avevano cognome.
Ma i proprietari primitivi dell’edificio potrebbero essere i Bossi una famiglia la cui esistenza in epoca romana è attestata da un sigillo di ferro avente l’insegna di un bue con incise “BEN.US BOSS. EPISC. MED” che starebbe per Benignus, Bossius Episcopus Mediolanensis e costituiva lo stemma di san Benigno Bossi (di Azzate), arcivescovo di Milano dal 465 d.C., al 472.
La presenza del bue nel sigillo di san Benigno e nello stemma famigliare, indica chiaramente che la famiglia è di origine celtoligure, in quanto il cognome è un evidente riferimento al bue sacro per eccellenza cioè l’uro chiamato anche Boss, o Bö, dal quale deriva anche il tribale gallico Orumbovi o Orobi (adoratori del Bue), stanziati nella Brianza e nella Bergamasca dove i Bossi sono diffusissimi
Sempre in tema di famiglie antiche cassanesi bisogna citare i Luoni, ancora oggi tra le famiglie cassanesi più numerose, in quanto nell’archivio capitolare di Santa Maria a Novara, in un documento datato 17 giugno 885 a.C., è citato un signum + Luoni de Uuaraio (Varallo).
Nella Matricola Nobilum Familiarum si cita anche la famiglia: “Cassano” di Busto Arsizio, della quale si sono perse le tracce, se non, forse nel cognome Cassanmagnago, diffusissimo nel lissonese, che li distingueva dai Cassano di Cassano Spinola.
La troviamo nel 1530 in un Pietro da Cassano Magnago Console di Macherio con il quale viveva anche il fratello. (Città di Lissone famiglie dalla a alla z)
Anche i Candiani di Busto Arsizio, il cui cognome viene associato al toponimo Candia, potrebbero essere di Cassano Magnago
Di Soiano oltre alla Magana, bisogna citare il Belvedere, un punto d’osservazione naturalmente disposto verso est, a cercare il sorgere di Bel o a celebrare Matuta e Belisama le due divinità matrone della luce del mattino.
Il Belvedere si affaccia su una rampa d’accesso oggi in disuso, molto simile a quella di via san Maurizio, la quale sale dalla valle sottostante (via Marconi).
I muri di contenimento della rampa sono stati rifatti in epoca recente, ma anche se dotata di vie d’accesso sia a monte che a valle è totalmente estranea a ogni contesto urbano presente e passato, pertanto si può ritenere che in tempi remoti quella rampa costituiva certamente una via d’accesso alla cittadella fortificata, e introduceva a una porta sacra a Bel.
Un altro toponimo dimenticato è il Casà, che etimologicamente richiama il dialettale Casàa, o il nome primitivo di Cassano allo Ionio “Cossa”,
Considerando la sua posizione dominante sull’imbocco della val D’Arno, e che in origine la facciata della chiesa di santa Maria del Cerro (con relativo albero) era rivolta proprio in quella direzione, si può pensare che il toponimo indicava la Cassano primitiva, poi abbandonata dopo la romanizzazione.
La Mornera
Il toponimo Mornera sarebbe originato dalle radici indoeuropee “Mur” o Mor”, che hanno il significato generico di distesa d’acqua, mentre il suffisso deriverebbe dal greco antico “era”, radice di “terra”, quindi sarebbe un sinonimo del ligure Maghnach, in quanto indicava una terra allagata.
Etimologicamente Mornera è comparabile con il nome, del Mar Nero, che i greci chiamavano “Ponto Eusino”, mentre il mar D’Azov situato all’estremità più a nord del Ponto, era chiamato “Palude Meotide”, per via delle grandi e numerose paludi che lo circondano e del livello bassissimo delle sue acque, che d’inverno si ghiacciano, Polibio tentò anche di calcolare in quanto tempo il Ponto sarebbe stato interrato dai sedimenti trasportati dai numerosi e importanti fiumi che vi sfociano, bisogna citare il Don e il Kuban, perché è proprio nelle terre attraversate da questi due fiumi, che si è formata la ”madre” delle lingue indoeuropee, quindi “Mar Nero” sarebbe una corruzione di “Mornera”, nome forse attribuito al Ponto dai germani, i quali provenivano dalla palude Meotide, che evidentemente già allora chiamavano “Mornera”, e furono gli ultimi a popolare le rive del Mar Nero, prima dell’arrivo degli “Ottomani”.
Non a caso a Cassano Magnago, con la voce Mornera, ancora oggi si indica una zona che come abbiamo già visto, ad ogni pioggia era soggetta allo scorrimento di notevoli quantità di acqua alluvionale che scendeva verso Gallarate, e ancora oggi lungo il suo corso si possono notare le tracce delle cave d’argilla i cui depositi raggiungevano una profondità superiore ai due metri, depositi originati dal ristagno dell’acqua probabilmente dovuto alle numerose esondazioni del torrente, che scorreva verso il territorio più basso.
Da ciò abbiamo la conferma che il toponimo Maghnach, equivalente di campo allagato, avrebbe origini liguri, mentre Mornera sarebbe un sinonimo di origine gallica o forse romana
Oggi il Tenore,un idronimo di originato dal latino “tenorem”, sinonimo di ciò che tiene un corso ininterrotto senza fermarsi, il quale scende dalla storica roccaforte di Castel Seprio, un toponimo che deriva dal latino “Sibrium” italianizzato in Seprio attraverso il dialettale “Sevar”, quindi roccaforte degli insubri, è deviato verso sud dai romani a valle di Bolladello, ma perfettamente in asse con la deviazione del Rile in piazza Libertà, è difficile dire quando siano stati deviati ma l’allineamento delle loro deviazioni conferma l’esistenza di un unico fiume che scorreva ai piedi delle colline.
Oltre ai due torrenti noti ai giorni nostri per le loro esondazioni, possiamo considerare la via Marconi come il letto di un antico torrente che scendeva dalla Campora riversandosi nel Rile, a testimonianza di ciò la notevole quantità di acqua, che ancora giorni nostri, prima della tombinatura scendeva dall’altipiano attraverso via Marconi, quindi a difesa dell’altipiano c’erano: un fiume e delle paludi, una posizione sicura, ma la presenza del toponimo Mornera anche a sud di Sciarè mi fa pensare che a Gallarate le fortificazioni si siano spostate più avanti, forse per poter sfruttare meglio i campi e le acque dell’Arno, infatti la Mornera di Gallarate confina con la Miachera in territorio di Cassano Magnago la quale era percorsa da un canale ancora oggi presente sulle carte geografiche, anche se scomparso, il quale si diramava dal Rile all’Incrocio con l’attuale via San Pio X, percorrendola con l’attuale via Buffoni fino al territorio di Gallarate, il toponimo Miachera potrebbe essere una corruzione di Mornera, in ogni caso è comparabile ai francesi “marècage” o “marècageux”, tutti con il significato di palude o paludoso, quindi possiamo supporre che nel 225 a.C. il Rile era già stato deviato ed era collegato con l’Arno per allagare il territorio a sud del gallaratese e impedire ai nemici l’utilizzo dell’acqua del fiume
Il canale proseguiva fino ai piedi del ronco di Cardano, a conferma di ciò, ancora oggi è vivo il ricordo di una chiusa situata nei pressi dell’attuale via Prà Palazzi, mentre ai piedi del ronco, iniziava una trincea che si dirigeva al ciglione della Malpensa, il quale per gli attaccanti costituiva un ostacolo impervio.
Anche la “Cascina Quadro”, luogo di ritrovamento di un tesoretto romano, può essere messa in relazione alle fortificazioni sul Rile, Giulio Cesare, nel De Bello Gallico racconta che in Gallia transalpina, i nobili vivevano in luoghi separati dal villaggio, un’usanza che dopo la romanizzazione si è diffusa anche nella pianura padana.
Quindi la cascina Quadro come luogo di residenza di un nobile gallo, pertanto anche se si tratta di un’ipotesi molto vaga, mi sembra giusto ricordare “Gaio Voluseno Quadrato”, figlio di un nobile Gallo, e prefetto di cavalleria al servizio di Giulio Cesare, segnalatosi per il grande valore in battaglia, fino ad essere ferito gravemente, in seguito diventerà prefetto della plebe.
Dai dati storici (Rassegna di Archeologia, dell’associazione archeologica Piombinese), risulta che i Voluseni, dei quali la personalità più importante sembra essere stata proprio Gaio Volusenus Quadrato, sono originari della zona di Sentinum (oggi Sassoferrato Ancona), luogo dove nel 295 a.C. si svolse una battaglia, nel corso della quale i romani sconfissero una coalizione composta da piceni, sanniti, etruschi, umbri e galli senoni.
Dopo la battaglia di Sentinum nacque la provincia romana chiamata “Ager Gallicus”, abita da: galli, piceni e umbri un territorio che si estendeva lungo la costa adriatica, da Rimini fino in Abruzzo.
La prosperità dei Voluseni si basava sulle proprietà fondiarie e la produzione di ceramiche e laterizi, dei quali sono noti alcuni reperti archeologici con il bollo Voluseni, quindi due attività compatibili con la centuriazione del nostro territorio e la sua tradizionale vocazione nella produzione di laterizi.
Ciò non toglie che Quadrato possa essersi trasferito nell’Ager Gallicus in un’epoca più tarda, quando facendo politica era più opportuno abitare vicino a Roma.
Di sicuro sia il toponimo Quadro che il soprannome Quadrato erano in diretta relazione con la fabbricazione dei mattoni, in quanto nella lingua latina quadro aveva il significato di quadrare, quindi si poteva intendere l’atto di fabbricare i mattoni, mentre il soprannome Quadrato sarebbe dovuto all’attività della famiglia, la quale si occupava appunto della fabbricazione dei laterizi
Gaio Voluseno Quadrato era certamente presente nel nostro territorio durante la sua centuriazione, e sicuramente avrà acquisito o acquistato qualche proprietà, poi fatta lavorare dagli schiavi, infatti non bisogna trascurare il fatto che molti legionari preferivano capitalizzare la centuria per dedicarsi ad altre attività.
Nella toponomastica del territorio di Sentinum possiamo trovare tracce della cultura celto ligure, come la moderna Sassoferrato, un riferimento a una montagna, sacra a una divinità della resurrezione, della quale l’albero cultuale era il Fearn, l’ontano, non a caso Sassoferrato sorge sule pendici del Monte Strega, un palese spregio cristiano a un sito della religione vedica, chiamato: “Montagna dell’Ontano”.
Nei pressi del monte Strega troviamo anche il monte Catria, il cui toponimo potrebbe essere una forma umbra che indica una “Cattedrale”, infatti nei pressi della cima è stato ritrovato un bronzetto votivo di fattura romano gallica, mentre alle sue falde c’era un tempio umbro, sacro al dio delle cime Summano, che i romani adoravano come “Giove Appennino”.
Alle falde del monte Catria, nel comune di san Abbondio c’è la sorgente “Avellana”, un idronimo latino sinonimo di nocciolo, un albero che nelle tradizioni druidiche era simbolo di saggezza, non a caso verso la fine del primo millennio, i cristiani edificarono sul sito un’abazia camaldolese.
Da citare anche Belvedere Ostrense, “Belvedè”, in dialetto locale e lombardo, “castro Belvideris”, per i latinofoni, a testimonianza della presenza del culto di Bel, infatti alla periferia di Belvedere troviamo il santuario della Madonna del Sole, un tempio postumo. costruito in un luogo diverso da quello primitivo.
Sull’origine del toponimo Quadro, esiste anche un ipotesi legata alla fondazione di Roma, in quanto Romolo avrebbe conferito alla sua città una forma quadrata, una tradizione che sarebbe stata tramandata negli insediamenti di accampamenti delle legioni romane e nella fondazione di altre città, una caratteristica che posiamo riscontrare anche nel centro storico di Busto Arsizio, altre tradizioni si rivolgono al “pomerion”, una fascia di territorio sacra e inviolabile che circondava le mura di Roma, sia all’esterno che all’interno, ma non mi sembra il caso del Quadro, si cita anche una fossa sacra e quadrata, nella quale venivano gettate delle offerte votive, probabilmente alla “Madre Terra”, un ipotesi avvalorata dal tesoretto ritrovato, quindi il toponimo quadro nascerebbe da un accampamento o da un insediamento romano o forse da un tempio alla “madre Terra.
Come madre terra si può ipotizzare anche la dea” Tellus”, la dea dei terremoti e dei morti, una manifestazione negativa di Cerere, il cui ruolo positivo era invece di protettrice della fertilità, in onore di Tellus, veniva celebrato il “Caereris Mundus”, una cerimonia celebrata tre volte l’anno, il 24agosto, il 5 ottobre, e il 8 novembre, la quale prevedeva l’apertura di una fossa quadrata.
Durante il Caereris Mundus veniva sospesa ogni attività, soprattutto le guerre, in quanto la buca collegava idealmente il mondo dei morti con quello dei vivi, pertanto si temeva che i vivi fossero attratti nel mondo dei morti.
Il Caereris Mundus potrebbe anche essere stato un rito in onore di Proserpina, la figlia di Cerere rapita da Plutone e trascinata con lui nel regno dei morti.
In seguito al rapimento, Cerere ottenne da Giove che la figlia vivesse sei mesi all’anno nel regno dei vivi mentre per altri sei mesi doveva rimanere nell’Ade come sposa di Plutone.
Quindi la buca quadrata poteva essere anche un omaggio a Plutone, in quanto simbolicamente facilitava il ritorno di Proserpina nel mondo dei morti.
In seguito a questa condizione Cerere divise l’anno in stagioni, inverno quando la figlia era nel regno dei morti, estate quando tornava dalla madre, pertanto Proserpina potrebbe essere considerata la dea che presiede alla rigenerazione della natura, non a caso il suo nome è comparabile al latino “Proserpere”, sinonimo di spuntare, come i germogli dai semi.
Al nome di Proserpina si può attribuire anche l’origine dell’aggettivo lombardo “Prӧsa”, il quale indica lo spazio dell’orto dove si è seminato, in genere si tratta di un quadrato o rettangolo dove il germogliare dei semi simboleggiava il ritorno tra i vivi di Proserpina.
Tra i greci Proserpina era conosciuta con il nome di Persefone o Kore, sinonimo di fanciulla.
Il toponimo Quadro lo ritroviamo anche Somma Lombardo, e a Cedrate, ma in questi casi si riferisce solo a dei campi, mentre a Sesto Calende esiste una via Quadra, la quale parte dalla riva del Ticino e sale a Oneda, una frazione di Sesto Calende.
Sulla tradizione del Caereris mundus, si può ipotizzare che il toponimo Oneda sia una corruzione di Omega, e in quanto ultima lettera dell’alfabeto, il simbolo della morte quindi la via Quadra che conduce a Oneda e tutte le località Quadro andrebbero ascritte alla tradizione del Caereris Mundus.
Lungo la strada della Mezzanella c’è una cascina che nella tradizione popolare è chiamata: “Campo Morto”, sul perché della nomea di questa località non ho mai sentito niente, perciò posso supporre che sia legata anche lei alla tradizione romana del Caereris Mundus, alternativamente si può ipotizzare un campo di battaglia, come il Campo Morto di Siziano, dove nel 1061 d.C. ci fu una battaglia tra i milanesi e i pavesi, sostenitori del Barbarossa, che a causa di quella carneficina, da allora è chiamata Campomorto, toponimo ancora oggi presente nelle carte geografiche.
Un'altra Campomorto, oggi Campo Verde, teatro di una battaglia lo troviamo a San Pietro in Formis, nei pressi di Aprilia, il 18 Agosto1482 d.C. su quel campo, le truppe del Pontefice Sisto IV, capitanate da Roberto Malatesta signore di Rimini, sconfissero le truppe di Alfonso duca di Calabria ed erede al Regno delle due Sicilie.
Non lo so se anche al Campo Morto di Cassano si sia combattuta qualche battaglia.
Oltre la linea della Miachera, oggi troviamo la cascina Vecchia Villa, così chiamata, perché in passato era la residenza di campagna degli eredi dei Visconti, ma bisogna considerare che villa era anche l’aggettivo con il quale i romani indicavano le case coloniche.
La cascina si compone di due cortili quadrati, chiusi su tutti e 4 i lati, storicamente fondata dai monaci cistercensi, i quali tradizionalmente fondavano le loro “Grange”, recuperando i resti delle ville e dei Castra Praetoria romani, abbandonati durante le invasioni barbariche.
Ma la “Vecchia Villa”, si trova sull’asse stradale che in epoca romana collegava l’Olona con il Ticino all’epoca chiamata: “Via Mediolanum-Verbannus”, alla quale nello stesso tratto vi si sovrapponeva anche la via “Novaria Comum” sentiero di origine pre romana al quale l’imperatore Settimio Severo apportò dei miglioramenti, pertanto, considerando che il luogo era isolato da ogni centro urbano per svariati Km, quindi privo di ogni forma di sicurezza, si può supporre che la Cascina Villa era sede di un “Castra Praetoria” (Guardia pretoriana), allo scopo di proteggere i viaggiatori, i quali spesso venivano rapiti per alimentare il mercato degli schiavi.
Infatti, in mezzo alle due unità rurali, campeggia un edificio più elevato e dalla forma quadrata, tanto che ricorda molto da vicino i caratteristici torrioni che facevano parte delle ville romane.
Una caratteristica dei Castra Praetoria era la presenza di un tempio, generalmente sacro a Mercurio, protettore dei viandanti, all’interno del quale i viaggiatori, pagando un obolo, trascorrevano la notte al sicuro, quindi è ipotizzabile che accanto al Castra si sia sviluppata anche un’attività agricola che facesse da supporto ai viaggiatori.
Una conferma del passaggio della Mediolanum-Verbannus, la troviamo in via Gasparoli, una strada che fino al 1960 era chiamata Via Spino, vale a dire una corruzione del romano “Strada Spina”, il toponimo con il quale i romani indicavano le strade che si innestavano sulle vie più importanti, infatti la Strada Spina collegava il villaggio di san Giulio o Cattabrega, alla via Mediolanum-Verbannus.
Secondo le esigenze del tempo, le vie di comunicazione seguivano le rive dei fiumi, le quali oltre a garantire il rifornimento idrico, offrivano maggior sicurezza, in quanto molto frequentate.
E pertanto la strada che partiva da Milano per raggiungere il Verbano, risaliva le rive del fiume Olona fino a Fagnano Olona, dove risalendo i 50 metri di dislivello entravano in quel fertile altipiano, oggi chiamato Alto Milanese, dove ancora oggi il castello visconteo di Fagnano Olona testimonia l’antica presenza di un altro Castra Praetoria.
In pratica, l’antico asse stradale della Mediolanum-Verbannus si snodava in linea retta e pianeggiante, partendo dal castello di Fagnano Olona fino alla riva del Ticino, dove allora confluiva nella strada, che seguendo il percorso fluviale collegava Pavia con il Verbano.
Durante le invasioni barbariche venne a mancare l’autorità statale, che garantisse la sicurezza lungo le strade, perciò i Castra Praetoria, e le ville coloniche isolate dai centri abitati vennero abbandonati.
Ma nel XII secolo d.C., sotto la guida di san Bernardo i monaci cistercensi iniziarono il recupero delle terre rimaste incolte, fondando quelle fattorie passate alla storia con il nome francese di “Grange”, sinonimo di granaio.
Al lavoro nei campi i cistercensi associarono anche l’assistenza ai pellegrini e ai viandanti, e nel fare ciò recuperarono le ville e i resti delle fortificazioni romane, le quali tornarono alla loro funzione originaria, e come da regola, per garantire la capillarità dell’assistenza, le grange distavano le une dalle altre, una giornata di cammino.
In seguito la Villa di Cassano Magnago entrò nella disponibilità dei Visconti, i quali secondo Cesare Cantù, venivano nel Gallaratese a praticare la caccia con il falcone, e a tale scopo assumevano i migliori ammaestratori di falchi, portandoli a vivere nel nostro territorio, quindi la “Villa” era sicuramente il luogo dove venivano allevati e ammaestrati i falchi dei Visconti.
In seguito a una visita pastorale san Carlo Borromeo (1570) constatando il grave disagio in cui vivevano i contadini, il cardinale volle intervenire affinché si costruissero nuove abitazioni, per cui fu realizzato un altro edificio posto davanti alla chiesa di san Bernardo, costruita in occasione della visita di san Carlo Borromeo, ma al suo interno custodisce una lapide in marmo databile al mille e duecento d.C., ciò farebbe supporre che secondo logica faceva parte di un altare medioevale già presente nel luogo.
Un altro esempio di un Castra Praetoria associato a una villa, lo troviamo anche nel toponimo “Villa Guardia”, una località situata lungo la strada antica che da Mozzate porta a Mendrisio, dove un castello medievale l’ha sostituita nel compito di garantire la sicurezza delle strade.
Da precisare che l’attuale percorso dalla statale del Sempione che ha sostituito la Mediolanum-Verbannus nel tratto tra Milano e il ponte di Sesto Calende è soltanto una realizzazione napoleonica, che aveva lo scopo di accelerare gli spostamenti dell’esercito, ma anche a quei tempi era totalmente inutile al traffico lento e non protetto.
Oggi, dopo Cascina Villa il territorio è devastato a causa della costruzione dell’autostrada e dello scalo ferroviario, ma subito dopo, presso la chiesa di Madonna in Campagna, ritroviamo il vecchio asse stradale che si dirigeva a Magus Cardunum (Cardano al Campo), per poi ridiscendere nella piana della Malpensa, da dove seguendo l’omonimo ciglione, la strada scendeva (o saliva) seguendo i vari terrazzamenti che degradano verso il fiume, i quali agevolavano la risalita.
Prima di arrivare in riva al fiume la strada passava attraverso la piana della Malpensa, dove in località Bell’aria incontrava la strada Novaria che risalendo da Castelnovate si dirigeva a Comum, quindi la Verbannus scendeva alla frazione di Somma Lombardo chiamata Maddalena, dove probabilmente era posto un altro Castra Praetoria, per poi, seguendo un’ultima rampa in diagonale arrivare al livello del Ticino nei pressi di Porto della Torre, dove i romani imbarcavano o sbarcavo le merci.
Ormai il tratto tra Magus Cardunum e Porto della Torre, caduto in disuso, è stato cancellato dallo sviluppo della brughiera e dalla devastazione prodotta dalla realizzazione dell’aeroporto, ma a dimostrazione dell’antica presenza umana rimangono le cascine Malpensa, e Bellaria (Case Nuove), con i ritrovamenti archeologici avvenuti in varie epoche nei loro dintorni, come le centinaia di tombe riconducibili alla cultura di Golasecca e un ripostiglio di rottami datato 1300 a.C. i quali dimostrano che anticamente il luogo era antropizzato.
In oltre bisogna tener presente che, l’antico asse stradale Fagnano Olona-Somma (Bellaria), era percorso anche dalla via Novaria-Comum in quanto il suo percorso risaliva il Ticino, fino a Castelnovate, una città fortificata, fondata dai golasecchiani, dove esisteva anche un guado sul Ticino, da dove, la Novaria, risalendo sull’altipiano Milanese, si indirizzava presso la località Bellaria, e quindi si dirigeva verso la valle Olona e Como.
La stessa cascina Malpensa non fa altro che ricalcare la forma e le dimensioni di un accampamento romano, e anche la posizione della cascina, decisamente staccata da quello che poteva essere il percorso stradale, mi fa ipotizzare l’esistenza di un “Pomerion”, la terra di nessuno che storicamente circondava le città e gli accampamenti fondati dai romani.
Per motivi di sicurezza il Pomerion era sacro e inviolabile, e la sua violazione era considerata un atto ostile verso Roma, per cui la pena era la morte immediata.
Lo stesso motivo per cui Remo fu ucciso dal fratello Romolo.
Da precisare che a Magus Cardunum la strada si divideva in due rami ed il secondo raggiungeva il centro storico di Casorate Sempione seguendo il percorso dell’attuale via Monte Rosso, un toponimo che richiama un centro spirituale insubre, forse costituito da un terrapieno di argilla rossa, come le Moot Hill scozzesi, o le Mutere venete.
In oltre, in merito ai tratti stradali antichi rinvenuti a Casorate Sempione e Somma Lombardo, che secondo gli studiosi facevano parte dell’antico tracciato della Mediolanum-Verbannus, a mio parere erano sicuramente parte di una strada romana che collegava Como e Castelseprio al Verbano, passando per Gallarate, ma non erano la strada del Verbannus, bensì una sua diramazione.
Seguendo la strada per Fagnano Olona si passa per il Boschirolo il dialettale “Buschirő ripropone il dilemma del Pasquirő, bosco sacro o strada nel bosco?
In ogni caso anche al Boschirolo c’è da supporre che l’origine della cascina sia dovuto a una locanda o stazione di posta.
Da considerare che nel dialetto della valle Leventina “Buschirӧ” è sinonimo di “boscaiolo”, quindi una voce che nel nostro territorio si è persa a causa dell’industrializzazione, in ogni caso il suffisso “rӧ”, = “ruote” sembra estraneo al sostantivo Boscaiolo, infatti, dalla comparazione di boscaiolo con buschirӧ, si può pensare a un più antico “buscaiӧ”, poi corrotto in buschirӧ, da buscaiӧ potrebbe derivare anche il nome di, Buscate, “Bϋscà” in dialetto.
Anche la cascina Malpaga, situata tra Via Bonicalza, e via Confalonieri, sarebbe di origine romana.
Infatti considerando la grande diffusione del suo toponimo, devo ritenere che Malpaga derivi da tradizioni molto più antiche di quanto faccia apparire la sua struttura odierna.
Etimologicamente Malpaga è un toponimo formato utilizzando come prefisso una forma tronca del sostantivo male antecedendolo al sostantivo paga, il quale è originato dal latino pacare, sinonimo di “Quietare”, derivato a sua volta Da “Pacis”, quindi la forma primitiva di Malpaga dovrebbe essere: “Malus Pacis”.
Essendo la cascina situata in un territorio centuriato, si può prendere in considerazione la tradizione romana legata al culto di Pax, la dea della pace (Eirene per i greci, in quanto il suo fondatore l’avrebbe consacrata a questa divinità.
Si tratta di una divinità introdotta a Roma dall’imperatore Augusto e veniva raffigurata con in mano un ramoscello d’ulivo ed in braccio un bambino chiamato Pluto (da non confondere con Plutone dio degli inferi), il quale era la divinità della ricchezza.
Un simbolismo molto significativo che ritroviamo anche nell’Ara Pacis dove Pax è raffigurata con in braccio due gemelli e circondata da mucche pecore e maiali.
Infatti Pax era adorata soprattutto dai veterani delle legioni, che dopo il congedo diventavano agricoltori, e in segno di riconoscenza per essere sopravvissuti alla guerra, gli consacravano le terre che ottenevano con la centuriazione.
Quindi considerando che questi veterani erano galli la cui madre lingua era di origine norrena, presumo che usavano un linguaggio influenzato dalla lingua madre, per la quale il sostantivo “mål”, era un sinonimo di obiettivo o meta, quindi con “Målpax”, si intendeva dire: “Sono arrivato alla pace”, oppure: “Voglio la Pace”.
Il prefisso Mal farebbe pensare anche all’influenza cristiana, i quali pur condividendo il principio di pace, non potevano accettare i sacrifici rituali praticati dai pagani, specialmente se di maiali, in quanto originariamente il cristianesimo era praticato da gente di origine ebraica, quindi legati strettamente ai dogmi biblici sulla purezza, pertanto secondo loro i maiali erano animali impuri, da ciò il rifiuto di queste usanze e la nascita del concetto di pace sbagliata, o modo sbagliato di celebrare la pace, quindi Malpaga, o Malpax
Non si può escludere nemmeno l’ipotesi che il toponimo manifestasse l’insoddisfazione per il premio ricevuto.
Ma un’ipotesi molto interessante potrebbe nascere se: consideriamo che l’ingresso e la facciata della cascina sono rivolte verso via Confalonieri, come se in passato questa via sia stata più importante della provinciale 20 che oggi collega Cassano Magnago con Busto Arsizio, la quale passa alle spalle della cascina, scorrendo parallela a via Confalonieri.
Infatti via Confalonieri è un lungo rettilineo che inizia ai piedi della collina, in via Delle Candie, l’antico sentiero pre romano che collegava Golasecca con Castelseprio e Como, e scorre parallela al confine con il territorio di Fagnano Olona, dove dopo aver guadato il Tenore e incrociato la vecchia strada del Verbano va a perdersi nel territorio dove oggi è situata la base Nato.
Quindi dobbiamo supporre che in epoca romana l’attuale asse stradale del quale fa parte via Confalonieri, sia stato un’importante via spina, che metteva in comunicazione il nord e il sud, del territorio con la via del Verbano, pertanto ritengo che anche la cascina Malpaga in origine fosse una mansio romana.
Anche il toponimo “Spino” (Spina) (oggi via Gasparoli), è di origine romana, si trattava di un sinonimo del moderno: “innesto stradale”, in quanto i romani chiamavano via Spina tutte le strade che si inserivano sulle vie consolari, e la via Spino collegava l’antica Cattabriga con la strada del Verbano, che allora iniziava a Fagnano Olona, dove lasciava le rive del fiume Olona per raggiungere quelle del Ticino, nei pressi di Somma Lombardo, seguendo un percorso pedecollinare che attraversava il territorio di Cassano Magnago, Gallarate e Cardano al Campo.
Osservando il lungo rettilineo che costituisce la provinciale n12, mi domando come abbia avuto origine e come mai dopo la centuriazione non ha subito mutamenti.
La sua caratteristica di scorrere da est verso ovest partendo dal punto più alto per arrivare nel punto più basso sovrapponendosi tra l’altro a un tratto del corso del Rile canalizzato dai romani, mi porta a due ipotesi.
La prima è che il punto più alto coincide con il ponte sul Tenore, in coincidenza del luogo dove il torrente svolta verso Sud, questo mi fa pensare che originariamente il tenore sia stato canalizzato fino a confluire nel Rile, per poi essere deviato verso Sud nel punto più basso, l’attuale piazza della Libertà.
Quindi l’attuale alveo del Tenore, che scorre nel territorio di Fagnano Olona potrebbe essere la conseguenza di un disastro ambientale risalente al primo Medio Evo, causato dalla mancanza di manutenzione, che ha portato a una rotta dell’argine, o di qualche intervento postumo per favorire qualche potente locale.
La seconda ipotesi mi porta a supporre che proprio perché partendo dal punto più alto del territorio, l’attuale provinciale 12, costituiva il Decumano Massimo della centuriazione, la cui larghezza doveva essere di 40 piedi romani (11,84 m), mentre l’Umbilicus avrebbe dovuto trovarsi all’incrocio con l’attuale provinciale n 2, la quale con ogni probabilità costituiva il Cardo Massimo, largo 20 piedi romani (5,92 m), mentre le altre strade erano larghe 8 piedi romani, (2,37m).
Quella del decumano Massimo era una larghezza esagerata, che con ogni probabilità doveva contenere anche i canali per la raccolta delle acque per l’irrigazione, ciò avvalorerebbe anche l’ipotesi che il Tenore fu canalizzato fino a farlo confluire nel Rile
La Strada Della Mezzanella
Ma a Cassano ci sono altre tracce materiali delle antiche tradizioni, come per esempio la strada della Mezzanella, il cui nome si ricollega a Mezzana e al ruolo di mediatrice della scrofa, e non a caso il suo asse stradale iniziava a Bergoro, il cui toponimo ha origine dal teonimo ligure delle acque: “Bormanus”, nome che origina anche toponimi come Bormio, Bornate, Bordighera, ecc. ma in particolare Boario famosa località della val Camonica, ricca di sorgenti, il cui prefisso “Bor”, unito al celtico “gora”, = ”gorgogliare”, ci dà Bergoro o più propriamente “Borgaro”, com’era chiamato anticamente il paesino, e non a caso la Mezzanella iniziava proprio davanti alla sorgente di “Manigunda”, quindi considerando che fin dal neolitico le sorgenti erano il simbolo del sorgere della vita, posso ritenere che quel luogo fosse sacro, una sacralità che ha mantenuto anche agli occhi della cristiana Manigunda e del vescovo di Pavia “Anastasio”, un abituale frequentatore della sorgente, al quale per volontà della regina Teodolinda, era stata affidata la giurisdizione sui beni del convento di Cairate.
Purtroppo non ci è dato a sapere cosa ne pensasse la cristianissima Teodolinda e se fosse a conoscenza dei “sacrilegi” commessi dalla figlia e dal vescovo.
La Mezzanella dopo aver attraversato il territorio di Bergoro e guadato l’attuale corso del Tenore, incrociava un'altra strada della Mezzanella, la quale partiva dalle Fornaci di Fagnano Olona e arrivava in centro a Bolladello, una strada che collegava le due località, un tempo appartenenti a una stessa amministrazione, della quale parlerò con l’argomento Bolladello, quindi dopo l’incrocio, la nostra Mezzanella arrivava a Cassano Magnago per l’attuale via Monti, all’imbocco della quale troviamo una deviazione, per poi proseguire con via San Antonio, curiosamente noto che anche la Mezzanella di Olgiate Olona è intitolata a san Antonio, all’incrocio con via Grandi si interrompeva, per riprendere appena oltrepassato l’attuale parco pubblico, che come vedremo più avanti, per i celti era un pascolo sacro, la Mezzanella poi riprendeva con via Santa Caterina, via Genova dove si interrompeva nuovamente a causa di un luogo forse stregato, anche del quale ne parleremo in seguito, ed infine riprendeva con via Mantova, Galilei e Rossini delle quali è già stato attestato l’antica dicitura di Strada della Mezzanella, della quale ricordo io stesso l'esistenza di questo toponimo, in quanto è stato sostituito nel 1960, ma molto sorprendentemente giunta nel territorio di Cedrate, la strada della Mezzanella, ancora oggi, anche se divisa in due tratti mantiene il suo nome fino al cimitero di Cedrate, per poi diventare via Praderio, l’antica uscita autostradale e perdersi nel reticolo stradale di Sciarè, ma oltrepassato il sito ferroviario troviamo Via Ferni la quale dopo poche decine dimetri sbuca in piazza San Lorenzo, ebbene, tanto la piazza che via Ferni sono perfettamente in asse con il tracciato della Mezzanella, in oltre da piazza San Lorenzo si diramano via Matteotti e Cantoni, le quali formano un angolo acuto come al Pasquèe di Cassano Magnago.
In Piazza San Lorenzo, fin dal XIII secolo esisteva una chiesa omonima all’intero della quale c’era anche un altare consacrato a Sant’Agnese, protettrice dei parti, la chiesa fu chiusa nel 1788 e definitivamente demolita nel 1929.
Piazza San Lorenzo fu anche il luogo dove avvenivano le esecuzioni capitali e qualche anno prima dell’arrivo degli spagnoli, anche luogo di martirio per le persone accusate di stregoneria.
Il fatto che la strada della Mezzanella facesse parte di un unico lungo rettilineo, e portasse lo stesso nome in tutti i paesi che attraversava, a quei tempi la poneva come strada di primaria importanza sia civile che religiosa.
Ma la strada della Mezzanella è ancora più preziosa in considerazione di altri monumenti nascosti al nostro sapere.
Infatti il cronista “Galvano Fiamma” (1283-1344), per mezzo di Cesare Cantù “Storia della provincia di Milano”, ci racconta che nel mille e trecento, davanti a molte chiese c’erano ancora i “Pasquee”, il più grande dei quali era dietro al duomo e che nel broletto del vescovo, si tenevano rumorose caccie al cervo.
Pertanto possiamo considerare questa usanza medioevale un’altrettanta simbolica caccia al dio celtico della fertilità, Cernunnos, rappresentato dal cervo.
Naturalmente la corrida che ancora oggi si pratica in Spagna, ha la stessa origine della caccia al cervo milanese, in quanto il toro era ovviamente un altro animale totemico della stessa entità divina.
Quindi considerando anche l’etimologia del nome cristiano “Pasquee”, ritengo che si trattava della cristianizzazione di un pascolo sacro a “Cernunnos”, protettore delle mandrie, delle greggi e dio della fertilità il quale veniva rappresentato nella forma di toro con le corna da cervo, e un serpente tatuato sul braccio destro, a simboleggiare l’uccisione del serpente cosmico e il suo incontro con la “Grande Dea Madre”.
Si trattava di una entità che simboleggiava la fertilità del toro, mentre le corna da cervo, con la loro caduta e ricrescita rappresentavano il rigenerarsi della terra e della vita, una specie di “Osiride”, che muore in autunno e risorge in primavera; non a caso i suoi riti avevano come riferimento la costellazione del toro con la sua stella più brillante “Aldebaran, che sorge a primavera.
A causa delle capacità che gli venivano attribuite era il dio più amato dai contadini e il cristianesimo per screditarlo agli occhi della gente, finì per paragonarlo al diavolo, sovvertendo anche la tradizione nordica delle corna come simbolo di virilità, tramutandola in un emblema del disonore.
Un altro esempio di demonizzazione di una divinità è Belfagor il dio sole dei caldei, i quali assieme ai moabiti ai cananei ed altri, erano popoli semiti che si erano acculturati attraverso il contatto con i sumeri e gli indoeuropei, dai quali hanno acquisito anche le divinità, a cui diedero nomi tradotti nella loro lingua.
Nel teonimo Belfagor oltre al prefisso “Bel”, che indica chiaramente il dio solare dei liguri, in “fagor” possiamo identificare il latino “Fulgor”, sinonimo di splendente, il che sarebbe una ripetizione di “Belo”, ma possiamo ipotizzare anche la radice primordiale “phegòs” sinonimo di faggio e mangiare, quindi si otterrebbe: “il sole che nutre, che poi ebrei e cristiani hanno facilmente interpretato mangiare per mangiatore.
A Cassano Magnago il toponimo “Pasquee”, con il suo diminutivo “Pasquirő”, fin quasi ai giorni nostri e sulla base delle tradizioni cristiane, possiamo collocarlo dove oggi sorge l’antica chiesa di San Pietro, costruita in loco con il compito di sostituire il culto di Cernunnos.
Ricordo che ancora negli anni 60, il prato posto di fronte alla chiesa di San Pietro, tra la via Borromeo e la via Andrea Costa veniva indicato come il “Querceto”, anche se ai margini del quale c’erano solo 4 gelsi che lo delimitavano.
Quindi si può ipotizzare l’antica presenza di un bosco sacro.
Da chiarire che Pasquèe e il suo diminutivo Pasquirő, erano nomi cristiani dati ai luoghi che gli ariani consideravano sacri a Cernunnos, quindi dove veniva rappresentato da alberi o da semplici pietre con la funzione di altare votivo.
Nell’epoca longobarda i pascoli sacri degli ariani vennero denominati “Vigano”, che significava: “Demanio del villaggio” e i nobili longobardi che li amministravano erano chiamati Viganò, che divenne il loro cognome, in quanto non erano romanizzati.
In seguito questi demani vennero soppressi da Berengario I e donati agli istituti religiosi
In pratica i Viganò svolgevano funzioni paragonabili a quelle del capo villaggio, e a Cassano Magnago, la loro importanza politica ed economica la possiamo verificare ancora oggi con il fatto che queste famiglie, sono tutt’ora proprietarie di terreni nei pressi delle ex chiese di san Pietro e San Rochìi, così chiamata in ossequio alla chiesa di san Rocco a Soiano, che in epoca romana facevano capo a pascoli sacri del bassopiano.
Nella tradizione cristiana i Pasquèe erano luoghi di partenza di processioni per benedire i campi, raggiungevano le varie cappelle sparse nelle campagne, le quali erano i Pasquirő, dove il corteo si fermava per celebrare un rito propiziatorio, per poi riprendere il cammino verso il Pasquirő successivo.
A Cassano Magnago si può ipotizzare che la processione partendo dal Pasquèe, raggiungeva via Pero, dove la forma di un edificio posto all’angolo della strada ricorda la forma di una cappella, poi proseguiva per San Martino un'altra cappella dimenticata e successivamente per la “Capeleta” di via Confalonieri, da qui si può pensare che proseguisse per Bolladello e le Fornaci, per poi tornare a Cassano per probabilmente raggiungere altri luoghi sacri, ormai dimenticati.
In merito alla liturgia degli ariani, si può dire che grossomodo ricalcava quella dei cristiani, con pietre e alberi sacri al posto delle cappelle.
La particolarità delle strade che si incrociano davanti alla chiesa, formando una “x”, con due angoli ottusi ai lati e due angoli acuti ai vertici nord sud, fino a formare una “x “schiacciata sui lati, è una singolarità nettamente in contrasto con il reticolo stradale del territorio della pianura Cassanese, in quanto si tratta di vie generate dalla centuriazione romana, pertanto hanno un andamento nord sud e est ovest, ciò mi ha incuriosito ed indotto a cercare un eventuale significato simbolico, finché ò pensato al simbolo della costellazione del toro, ed infatti, la chiesa che sostituisce l’altare celtico potrebbe rappresentare la testa del toro e Aldebaran, la stella più lucente, mentre via Andrea Costa e Solferino (allora strada che mette dal Pasque al Pasquirő), simboleggiano le corna, con via Grandi e Borromeo a comporre il muso, le quali vanno a congiungersi con i due terminali della Mezzanella, via san Antonio e via Santa Caterina simulando la bocca aperta, si può supporre che chi percorreva la strada della Mezzanella, giunto al Pasquèe, doveva compiere una deviazione verso l’altare, allo scopo di onorare il dio e poi riprendere il suo cammino
Questi incroci tra vie e pascoli sacri, aveva una logica nel contesto della festa dell’”Imbolc”, una tradizione indoeuropea che si festeggiava al due di febbraio, in onore di Belisama, chiamata anche Brighit, madre vergine, per questo era la Grande Dea Madre dei celti, una tradizione acquisita anche dall’ebraismo e dal cristianesimo, con la festa della “Candelora”.
La celebrazione dell’Imbolc si svolgeva in due fasi, la prima era la “Purificazione”, durante la quale i fedeli dovevano immergersi nelle acque dell’Olona o della sorgente di Bergoro, sacre alla dea madre, per poi dirigersi in processione al Pasquee, per le celebrazioni in onore di Cernunnos, il dio della fertilità, delle mandrie e delle greggi, il quale favoriva la nascita di capretti, agnelli e vitelli e rendeva fertili i campi
Le vie Andrea Costa e Solferino, che simboleggiavano le corna del, toro finiscono per incrociare una strada, che già nel settecento era chiamata “Di Pero”, “Di Peer” in dialetto, siccome trovo improvabile che a quel tempo i cassanesi potessero dedicare una via alla città di Pero, la quale per altro ha assunto l’attuale toponimo solo nel 1898, derivandolo dal precedente “Cassina del Pero”, la cui esistenza è attestata da una pergamena datata “962d.C.”, quindi si può pensare a un antica tradizione legata a un pero sacro, o a un broletto.
Etimologicamente si può considerare anche il greco “perone” = “puntale”, pertanto trovo convincente l’ipotesi che gli incroci delle attuali vie Solferino e Andrea Costa con via Di Pero “la strada dei puntali”, rappresentassero la punta delle corna del toro; quindi il pascolo sacro si estendeva dall’asse della Mezzanella fino all’attuale via Pero.
Ma la presenza del toponimo Pero nei pressi di un luogo sacro a Cernunnos, non può essere un caso, in quanto fa pensare al “pero cervino”, una specie di pero meno pregiata, che nel dialetto lombardo era chiamata “perlo”, quindi ritengo che il perlo aveva certamente una sua importanza spirituale, quindi è possibile che la via facesse riferimento a un brolo dove venivano coltivati i peri, e che ospitava una cerva totemica.
Non esiste una letteratura specifica sul valore simbolico del pero e dei suoi fiori e frutti, ma in genere viene associato al melo e alle rose come simbolo delle divinità femminili, in quanto come quasi tutti gli alberi da frutto, appartiene alla famiglia delle rosacee.
La forma del frutto del pero ricorda il seno delle madri ed anche il loro ventre, pertanto le pere erano certamente un simbolo della fertilità e dell’abbondanza, quindi si può ipotizzare che nei pressi di via Pero anticamente c’era un bosco sacro a qualche dea madre, il quale poteva essere il Pasquirolo.
Ma essendo la località Pero vicina a un luogo di culto sacro a una divinità maschile, non si può escludere anche un riferimento agli organi genitali maschili, in quanto, dai latini pyrus, pirolus e dal lombardo perlo deriva anche il nome lombardo del pene, pertanto si può perfino ipotizzare che “perlo” o “pero cervino”, era il nome del pero sacro a Cernunnos.
L’aggettivo lombardo “perlo” è all’origine del toponimo Perledo, località situata a monte di Varenna, un altro toponimo che con il prefisso “Var”, richiama la presenza di un luogo sacro, poi abbiamo una Perlo in provincia di Cuneo dove è attestata l’antica presenza di un luogo di culto vedico e in provincia di Aosta troviamo una Perloz, ai quali possiamo aggiungere la Pero in provincia di Milano e un'altra Pero nel comune di Varazze.
Da ricordare che Varenna “Varena”, in dialetto, con ogni provabilità era un Varahi sacro a Cernunnos, in quanto il suffisso “rena” deriverebbe da renna, animale assimilabile al cervo e a Cernunnos.
Da citare anche la valle Varenna e l’omonimo torrente che attraversa Genova, il che testimonia che siamo di fronte a luoghi di culto che rientrano nella tradizione ligure.
Alle lacune della mitologia può sopperire l’archeologia, in quanto gli archeologi hanno accertato la grande diffusione del pero fin dalle epoche più remote, tanto da essere stato la prima alternativa alimentare alla faggina, e hanno attestato la sua coltivazione nel nostro territorio fin dal 3000 a.C.
Per i neonati le pere, più delle mele, erano la prima alternativa al seno materno, anche da ciò il collegamento spirituale con la dea madre.
Nelle mitologie greca e romana il nome Pero è associato a donne che avrebbero allattato i rispettivi genitori condannati a morte per fame.
La configurazione stradale del Pasquèe, se rovesciata potrebbe rappresentare anche la costellazione del “Boòte”, o più probabilmente “Bӧ”, chiamato anche “IL Boaro”, oggi questa costellazione è conosciuta con il nome di Aquilone, in quanto ha la forma di un pentagono con un lato vuoto dove le due stelle poste alle estremità dello spazio vuoto, formano un triangolo, o coda, con Arturo, la stella più brillante della costellazione, la quale è posizionata dietro alla coda dell’Orsa Maggiore.
Il riferimento al boaro, ed il fatto che Arturo sia vicino alla coda dell’Orsa Maggiore sembra simboleggiare una divinità che proteggeva le mandrie dalle bestie feroci.
Anche se ci sono molte discordanze, tra i linguisti prevale l’opinione che Arturo, sia la radice che ha originato i vari nomi dell’orso nelle lingue indoeuropee, per esempio i celti lo chiamavano “Artios”.
I greci invece chiamavano la stella: “Arktuy ros”, vale a dire: “guardiano degli orsi”, mentre i romani la chiamarono Arcturus, un aggettivo che contiene la radice latina “taurus”, mentre l’orso è chiamato “ursus”.
Quindi Arturo è un toro, che con la sua mole, la sua forza e la sua aggressività sorveglia e assale gli orsi che osano avvicinarsi alla mandria.
Da ricordare che la vicina Brianza era abitata dagli Orumbovi, meglio conosciuti come orobi, i quali adoravano direttamente il toro, quindi non è da escludere anche la presenza nel nostro territorio di un loro clan.
Per quanto riguarda l’interruzione della strada della Mezzanella nei pressi dell’attuale “Viale delle Rimembranze”, dobbiamo rifarci al toponimo strada “dello Streccione”, sostituito dalle attuali vie Rimembranze e Piave, etimologicamente Streccione mi porta pensare agli “strigiformi”, rapaci notturni, specie della quale fa parte il gufo, storicamente l’uccello menagramo per eccellenza, infatti il singolare strige derivante dai latini “strix” o “strigis”, a loro volta derivati dal greco “striks ”, hanno sempre il significato di “strega”, o “stria”, come si dice in dialetto e nella lingua dei celti, da considerare anche l’ipotesi di “Streccione” come italianizzazione di una radice celtica che ha originato il dialettale “stregòo” (stregone), oppure “stregaa” (stregata).
A conferma di ciò, nella mitologia romana troviamo la “Strige bevitrice di sangue”, uccello notturno associato al gufo, uno strigiforme che in Egitto era simbolo della morte, mentre per i fenici era l’uccello sacro ad “Astarte”, dea dell’amore e della fertilità, continuatrice della tradizione sumera di “Inanna”.
Allo stesso destino del gufo era legata anche la civetta, uccello sacro ad Athena e alla romana Minerva, non a caso il nome scientifico della civetta è “Athene noctua “, quindi è ipotizzabile che nei pressi del viale delle Rimembranze ci fosse un luogo sacro a Minerva ed Athena, che come vedremo più avanti, nella tradizione cristiana sono diventate la strega “Nicolina, nome originato da “Nike”, dea della “Vittoria”, com’erano chiamate le due divinità.
Un'altra strega era Brigida, continuazione medioevale di Brighit, una divinità gallica figlia del Dagda, l’alter ego di Lug, protettrice di poeti, guaritori e fabbri, era conosciuta anche col nome di Belisama, madre vergine, per questo dea dei parti.
Ma non bisogna dimenticare che la strada dello Streccione ancora oggi costituisce la linea di confine tra le parrocchie di San Giulio e Santa Maria, quindi anticamente era il confine tra la cristiana Catabrig e il mondo ariano, pertanto Streccione potrebbe essere derivato dal latino “strictus”= “stretto”, sinonimo del dialettale “Strèng”, o “Strìng” Polibio cita il romano “strige”, e lo indica come una delle porzioni rettangolari dell’accampamento romano, delimitate ai lati dall’intreccio di strade, all’interno del quale venivano alzate le tende dei legionari, quindi un luogo stretto in un reticolo di strade, quindi una “stringa”, pertanto si può pensare a Streccione come a un luogo recintato, magari da una siepe artificiale formata da rami intrecciati, non a caso, il termine militare di strige mi ricorda la “Vignazza”, una macchina da guerra che assomigliava a una vigna, perché costruita intrecciando i rami, allo scopo di offrire riparo dalle frecce, ed essendo mobile aveva anche una funzione di barriera, e la località “Vignazza” la troviamo proprio al capo estremo est della Mezzanella, proprio al confine con Bolladello.
Quindi i cristiani che si insediarono a Cattabrega si sarebbero opposti al passaggio dei pellegrini ariani sulle loro terre, e per fare ciò distrussero alcuni tratti della Mezzanella e del Pasquee, ponendo al confine del loro territorio dei reticoli per impedire il passaggio.
Il confine parrocchiale ancora oggi si ferma ai piedi della collina e lascia tutto l’altipiano, compresi il Brigurìi e la chiesa di Sant’Anna, sotto la Parrocchia di Santa Maria, ciò m’induce a pensare che i primi cristiani del rione Cattabrega non erano ariani convertiti, ma cristiani bizantini o provenienti dal Medio Oriente.
Per quel poco che si conosce di San Giulio, sembra che si trattasse di un predicatore fortemente radicalizzato sui concetti biblici legati alla purezza della razza, del corpo, ed anche della terra e degli animali, il quale si sarebbe allontanato con i suoi seguaci, dal mondo ellenizzato, perché insofferenti a una forma di cristianesimo troppo libertina, quindi è opportuno considerare anche l’ipotesi che i fondatori della parrocchia di San Giulio, come gli abitanti di Gerusalemme fossero terrorizzati dalle profezie di un castigo divino, provocato da uomini o animali impuri, che entrati nella loro terra la potessero profanare assieme alle loro bestie.
Nella bibbia il maiale e il cinghiale sono considerati animali impuri a priori, delle cui carni è proibito nutrirsi, quindi la comunità cristiana si trovò circondata da terre abitate da gente che per il proprio nutrimento era fondamentale l’allevamento dei maiali, I quali, come vedremo più avanti, erano liberi di pascolare allo stato brado, e come i cinghiali potevano intrufolarsi nelle proprietà dei cristiani.
Pertanto lo Streccione e la Vignazza potevano essere delle barriere artificiali realizzate intrecciando i rami degli alberi per impedire profanazioni, in seguito arrivarono gli eruli, barbari cristianizzati provenienti dalle rive del Mar Nero, i quali essendo di cultura bizantina continuarono il culto della purezza, integrandosi con i cristiani che li avevano preceduti, fino a scomparire con l’arrivo dei longobardi, i quali nonostante la continua guerra al papato, furono i più forti oppositori all’espansione bizantina in Italia, almeno fino a quando non sono stati cristianizzati
Lo Streccione fu certamente causa di numerosi litigi tra i celti e i cristiani, e se il toponimo Cattabrega o “Catabrig”, come sarebbe la pronuncia antica, nel dialetto locale è diventato sinonimo di persona litigiosa, non è proprio un caso.
Per contro Magana potrebbe essere la radice che ha originato il sostantivo “Magagna”, poi continuato dalla lingua italiana, quindi possiamo pensare che Catabrig e Magagna, erano due dispregiativi usati dai nostri antenati per insultarsi a vicenda.
Per capire il pensiero dei primi cristiani, si potrebbe fare un paragone con i moderni musulmani, etnicamente loro discendenti e come loro terrorizzati dal concetto biblico di purezza e castigo divino, la bibbia ebraica li chiamava “semiti ellenizzati”, il riferimento era agli “etero battisti”, guidati da san Giovanni Battista, i quali adoravano Jaweh come dio solare seguendo il rito mitraico, e per questo san Giovanni Battista venne decapitato come profanatore di Gerusalemme, la stessa sorte toccò a Gesù per aver celebrato l’eucarestia a Gerusalemme, un altro rito mitraico, che la casta di Gerusalemme considerava una profanazione.
Quindi è da ritenere che i paleo cristiani erano semiti, ancora intimoriti dalle profezie bibliche, e abbracciavano il messaggio di pace lanciato da Gesù, in modo vago e confuso.
Parallela tra il corso del Rile e alla strada dello Streccione passava la strada del “Legorino”, Il toponimo faceva riferimento a “Giacomo Legorino”, capo con Battista Scorlino, di una delle bande che nel 1550 infestava il bosco della Merlata, si trattava in pratica della romana Selvalonga, che si estendeva da Milano fino ai piedi delle colline del Seprio.
Arrestato nel maggio del 1566, confessò sotto tortura e condannato a morte gli furono spezzate gambe, Braccia e schiena, a colpi di “sigurino”,(accetta), messo alla ruota, dopo due ore non era ancora morto, tanto che, per evitargli ulteriori sofferenze, il cappellano dovette intervenire affinché gli sia dato il colpo di grazia.
Con il Legorino e lo Scorlino furono arrestate altre ottanta persone, tra i quali si fanno i nomi del: Trentuno, il Zopeghetto, il Girometta, il Ferracino, il Rigoletto, e il Battista da Mombello, i quali furono giustiziati nei mesi successivi.
Da sottolineare che il sigurino è l’italianizzazione del lombardo “sigűrìi”, diminutivo di “sagura” = “ascia bipenne”, citata da Erodoto come arma dei persiani.
Dopo pochi anni finita la guerra del Monferrato “1627”, i mercenari rimasti disoccupati si diedero al banditismo e quindi infestarono nuovamente il Bosco Merlato e il gallaratese.
Queste vicende legate al banditismo attribuiscono rilevanza storica anche a località cassanesi come la “Baraggia”, Il Boscaccio”, e il “Bosco delle Tane”, luoghi allora completamente isolati dai centri abitati ed impenetrabili, quindi tane sicure del banditismo.
La strada del Legorino finisce per incrociare la strada Tognasca, che dal Sempione, in località “Tre strade”, al confine tra Gallarate e Busto Arsizio, si dirige verso sud est in prossimità della Baraggia”, il toponimo “Tognasca” dovrebbe essere originato dal dialettale “tugnit”, = “tedeschi”, quindi con il suffisso “asca” = “nascosto”, abbiamo: “luogo dove si nascondeva la banditaglia formata da mercenari di lingua tedesca”.
La Via Legorino esiste anche a Sesto Calende, mentre a Busto Arsizio vive uno scrittore di cognome Legorino, quindi non si può escludere che il toponimo sia stato originato da un altro personaggio
Nella memoria dei vecchi cassanesi è rimasto il “Tecett”, luogo lungo la riva dell’Arno dove una volta si faceva il bagno, non saprei dire in che punto fosse localizzato, ma ritengo molto provabile che si trattasse del nome pre gallico dell’Arnetta, o di un torrentello che scendeva dall’altipiano, non a caso quella zona aveva la nomea di “Fontane”, mentre oggi ci sono delle cave di argilla che ovviamente si sono riempite di acqua.
Percorrendo la via Don Gnocchi che scende da Soiano verso la val d’Arno, oggi interrotta, ci si trova a camminare di fianco a un canalone stretto e profondo, ai piedi del quale c’è un discreto deposito alluvionale, quindi arginando il ruscello con pietre e terra si poteva realizzare un laghetto dove i ragazzini potevano fare al Bagno.
L’idronimo “Tecett” la cui radice etimologica si avvicina al nome del Ticino o meglio del transalpino “Tessen”, potrebbe essere anche il nome ligure dell’Arno, poi sostituito dai galli con il nome dell’ontano, (come vedremo nel capitolo che riguarda Gallarate), da confrontare anche con gli altoatesini: “Tesero, Tèsimo (ted. Tisens) e Tesino, valle del torrente oggi chiamato: Grigno, da citare anche “Teschen”, città divisa in due tra la Polonia “Cieszyn” e la Cecoslovacchia “Ceski Teschin”.
Da considerare che il dialettale “Tecett” è sinonimo dell’Italiano “tetto piccolo”, quindi vale anche l’ipotesi di un luogo coperto, ma forse anche: “acqua che scende dal tetto.
Di fianco alla località Fontane si cita una Sardenna, per la quale bisogna considerare la provabile origine ligure dei Sardi, che sembra confermata anche dalla presenza di una valle di “Serdena”, situata a nord di Lugano, in un luogo alto e isolato, dove sorge il fiume “Vedeggio”, un altro idronimo che ha come riferimento il “Veda, mentre a Buguggiate esiste un quartiere chiamato Sardegna e in Corsica abbiamo una Cassano, facente parte del comune di Montegrosso, con le altre frazioni di Lunghignano e Montemaggiore, una toponomastica dalle caratteristiche liguri, alla quale si accompagnano le località di Asco e relativo fiume e Popolasca, due luoghi dalla nomenclatura spiccatamente leponzia, che come tradizione ligure sono nascoste tra i monti della Corsica
La conferma di un eventuale legame etnico tra i liguri e la cultura nuragica ce la potrebbe offrire una tribù tracia, di cultura celta, chiamata Serdi o Sardi, la cui capitale era Serdica o Sardica, oggi è chiamata Sofia, capitale della Bulgaria.
Robert Greaves cita antichi documenti romani che indicavano l’origine tracia dei liguri e dei danai, e se in Bulgaria, nella località di Breznik, troviamo l’unico esemplare di pozzo sacro monumentale, simile a quelli caratteristici della civiltà nuragica, non sarà proprio un caso.
Bisogna però precisare che l’esistenza della tribù dei Serdi è attestata nel I secolo a.C., quindi con ogni probabilità si tratta di una tribù gallica, che nulla ha a che vedere con i traci appartenenti alla cultura di Varna, che come dimostra il prefisso Var nella toponomastica ligure, invasero la pianura Padana e la Sardegna durante l’età del Rame.
Tra Milanello e Santo Stefano troviamo la “Maisa”, dal sanscrito “mahi”, = “terra”.
Altri toponimi come Valloni dei Gatti strada delle Ciappe ecc. sono tutte corruzioni o sinonimi dell’aggettivo Valascia e dell’avverbio kata, il quale è diventato anche un verbo dialettale sinonimo di “ciapa”, “prendi”, acquisendo il significato di raccogli, quindi un’azione che inizia dal basso.
Ciapa indica anche la parte bassa e nobile del corpo umano, questo lascia supporre che con la strada delle ciappe i cristiani si riferivano agli odiati maiali, i quali pascolavano liberamente in un querceto, mettendo ben in evidenza i loro quarti posteriori.
Da citare il nome lombardo del prosciutto: “Giamboo”, continuato dalla lingua francese come coscia, quindi è da ritenere che per i galli, il riferimento ai quarti posteriori del prosciutto fosse proprio “giamboo”
Nella lingua italiana, prosciutto ha il significato di “carne pre asciugata”.
È facile intuire che Il nome della contrada “Spino”, è dovuto alla presenza del “pruno”, un arbusto spinoso che cresce nelle brughiere, il toponimo Cortia invece è da attribuire a un’erba selvatica, sulla cui cima si formano dei rametti fioriti, che si raggruppano prendendo la forma di ombrello, anche il nome del Talino, ha le sue origini nella botanica, infatti si tratta di erbe e fiori appartenenti alla famiglia delle “portulacaceae”, in particolare posso citare la specie “Talinum paniculatum”, e la “Talinum fruticosum”, dai fiori ciclamino molto graziosi, ma Talino (Talìi e non Talin in dialetto), ci ricorda il dio ligure Taranis chiamato anche Taraino, un omonimo di Lug.
L’unico riferimento al nome del centro storico di via Santa Maria è l’attuale “Corona” o “Curona “, in dialetto, sicuramente si tratta di un toponimo di origine tardo cristiana, legato alla tradizione della “Sacra Spina”.
Per il nome primitivo si può pensare a un'altra Cattabrega, infatti oltre alle analogie legate alla fondazione dei due villaggi durante la centuriazione romana, come la posizione sotto la collina e i due luoghi di culto dedicati a San Martino, si potrebbe considerare l’abitudine degli abitanti di San Giulio di chiamare “Casàa da sott” il rione Corona, una tradizione che mi fa pensare ad un'unica amministrazione romana, con un unico toponimo per i due villaggi, i quali si distinguevano come “Catabrega da sura”, (corruzione del latino supra) e “Catabrega da sota (o suta)”, (corruzione del latino subtus).
Considerando l’origine romana del quartiere e la diffusione di toponimi che contengono la radice curia, si può anche considerare l’esistenza di una curia dove si riunivano i rappresentanti del popolo sotto l’arbitrato del curione, l’anziano del villaggio.
Ma non bisogna trascurare l’antica presenza di una sorgente sacra. e forse anche di un tempio, quindi si può ipotizzare anche la primitiva presenza di un Gurù o di una sacerdotessa, George Greaves ipotizzava l’esistenza di una dea dei druidi chiamata Druantia, ma non si hanno certezze sull’esistenza di druide, è certo invece che quando il druido porgeva il frutto dell’immortalità (la mela) questa doveva passare dalle mani di una donna.
Dal confronto delle voci dialettali: sopra e sotto, con i sinonimi latini, si può notare la difficoltà dei celti nel pronunciare i vocaboli della lingua romana, una difficoltà nell’uso del latino, rilevata anche dagli epigrafisti moderni, sulle lapidi del II e III secolo d.C., che ha portato alla nascita del nostro dialetto.
Tra i ricordi storici di Cassano Magnago, uno dei più popolari è la rivalità tra gli appartenenti alle due parrocchie storiche, i quali quando non ricorrevano ad atti di violenza, si insultavano usando epiteti come Frocc e Marocc.
Si tratta di una rivalità che in un altro luogo sarebbe stata originata dal semplice campanilismo, ma come abbiamo già visto, fin dal trecento d.C., a Cassano Magnago esisteva un problema religioso e razziale.
E la conferma sull’origine delle ostilità la trovo mentre sto cercando notizie relative al monte Pora, una montagna dell’alta val Seriana, un tempo sacra alla dea dei passaggi, dove individuo l’esistenza della Valle dei Frocc, e la località di Songavazzo, la quale secondo gli storici: sarebbe stata teatro di feroci scontri tra guelfi e ghibellini, quindi si può ipotizzare che i sostenitori della laicità dello stato, essendo seguaci del “gallicanesimo” un movimento progressista ispirato dalla cultura ariana diffuso in tutta Europa, dopo la sconfitta del Barbarossa, per sfuggire alle persecuzioni dei guelfi si sarebbero rifugiati sul monte Pora.
Ovviamente a Cassano Magnago, villaggio metà cristiano e metà cristianizzato con la forza, il gallicanesimo era un argomento di attualità, e la battaglia di Legnano deve aver coinvolto i cassanesi in modo tragico, offrendo l’occasione per ulteriori scontri e vendette, un odio che ha continuato a trascinarsi per secoli.
Per continuare nella ricostruzione delle vicende antiche, devo mettere il dito nella piaga dell’oscurantismo storico, al quale la letteratura cristiana ci ha condannati.
Infatti quella che i cattolici ci hanno presentato come una vittoria degli italiani sull’invasore straniero, in realtà è stata una guerra civile tra gli oppositori ai privilegi della chiesa e i suoi sostenitori, costituiti per lo più da nobili e da mercenari al loro servizio.
Quella che viene presentata come la Lega Lombarda, in realtà era di tutto tranne che Lombarda, infatti si trattava di mercenari al servizio del papa e dei nobili asserviti alla chiesa, personaggi di cultura bizantina e semita che non avevano nulla in comune con la cultura degli abitanti del nord ovest d’Italia, che invece erano sostenuti dal Barbarossa.
Per dare un esempio sulle ragioni dei ghibellini si può citare la vicenda del podestà di Milano, Beno dei Gozzadini, molto amato dal popolo e per questo rieletto nella carica, il quale nel 1255 fu linciato dai nobili, perché faceva pagare la tassa sull’uso dell’acqua dei canali d’irrigazione anche al clero, che tra l’altro all’epoca era il principale fruitore di quel servizio.
Da episodi come questi si è arrivati alla lotta tra i Toriani, inizialmente paladini dei ghibellini e il vescovo Ottone Visconti, che si concluse nel 1278, con la distruzione di Castelseprio e la costruzione del castello di Cassano, un’impresa resa necessaria a causa della presenza nel Sibrium di un soverchiante numero di ghibellini.
L’epiteto “Marocc potrebbe riferirsi al toponimo Marocco, il quale deriva dal nome della città di Marrakech, traslitterazione francofona dell'arabo Marrākeš, derivato a sua volta dal termine berbero “Mur-Akush”, sinonimo di: “Terra di Dio”, quindi si potrebbe anche ipotizzare che i cristiani considerassero il loro territorio come una specie di terra promessa.
Ma tra i cristiani di Catabrig ci potevano essere anche persone di pelle nera o carnagione più scura rispetto a quella degli ariani, forse ex schiavi, senza dimenticare per esempio che la legione tebana era composta da cristiani egiziani quindi va considerata anche l’ipotesi che: tra i primi cristiani giunti nel nostro territorio ci fossero molti africani, pertanto Marocc poteva anche significare “marrone”, o "moro", "mor" in dialetto, ed essere un epiteto razziale.
Fino a qualche decennio fa, Frocc era ancora scarsamente in uso nel dialetto lombardo come sinonimo di “Frocio”, infatti Frocc è affine a “frocco” equivalente di tonaca e ci porta all’inglese “froch” sempre con il significato di tonaca, dal quale deriva il francese frak.
Quindi Frocc sarebbe un riferimento alla tonaca e dunque farebbe pensare a un epiteto sul genere di “donnicciole”, o “effeminati”, come ci viene confermato dal tedesco “Frau”, sinonimo di donna.
È provabile che come gli scozzesi, i nostri antenati di cultura ligure si ostinavano ad indossare “ul scusà”, suscitando l’ilarità dei cristiani.
L’aggettivo frocc va inteso al plurale e va considerato il modo di pronunciare la “c”, in quanto il suo suono potrebbe essere dolce come “ci” o duro come “k”, quindi la pronuncia può cambiare tra “Froci” o “Frok”.
Ovviamente lo stesso ragionamento vale anche per Marocc la cui pronuncia potrebbe cambiare in “Maroci” o “Marok”.
Tratto da: “Gli Insubri a Cassano Magnago e nel Seprio”, II, III, IV, V Capitolo
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